365 GIORNI DI NORMALIZZAZIONE IMPERIALISTA


Panama

Ad un anno dalla "normalizzazione" americana, il paese è alla disgregazione sociale ed al collasso economico. Dei 420 milioni di dollari promessi dagli USA per la deportazione di Noriega e la riaffermazione del loro controllo sul Canale, il governo di Endara ne ha ricevuti appena 66. Il debito estero è arrivato a 5 miliardi di dollari americani. La disoccupazione si è attestata al 30% e si calcola che i danni subiti dal paese in seguito all'invasione ammontino a 1 miliardo di dollari che l'Amministrazione USA si rifiuta di pagare al governo panamense. Nonostante che l'intervento americano in Panama sia servito, oltre che ad eliminare lo "scomodo" e "ribelle" Noriega, a far piazza pulita degli ancora più "scomodi" dirigenti sindacali del paese, numerosi scioperi e mobilitazioni contro il governo Endara e l'Amministrazione USA si sono avuti a pochi mesi di distanza dall'invasione. Oltre alle mobilitazioni del novembre scorso, anche a dicembre di quest'anno, migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro la politica economica del governo e la presenza militare USA nel paese. Nel frattempo, l'imperialismo nord-americano continua ad alzare il tiro delle sue richieste al governo fantoccio di Endara. L'ultima risale ad aprile di quest'anno: l'amministrazione USA ha impasto al governo di Panama, in violazione delle sue leggi, di avere con il libero accesso al segreto bancario, il totale controllo dei suoi movimenti finanziari.

Honduras

Il "democratico" governo di Rafael Leonardo Callejias è in carica solo dal gennaio '90. Suo obiettivo è di arrivare a pagare entro i termini fissati gli interessi sul debito e ridurre (di necessità, virtù) la dipendenza del paese dagli USA (che, in 8 anni, durante l'attività della Contrar in Nicaragua, ha elargito all'Honduras 1.000 milioni di dollari americani). Il proletariato honduregno ha "salutato" il programma del governo Callejias con 35 scioperi generali in 6 mesi. Fra questi scioperi il più importante è stato quello dei lavoratori della multinazionale Tela Railroad Company, sciopero che è durato 43 giorni, cosa che non accadeva dal 1954.

Guatemala

Lo scorso giugno Il Congresso USA ha approvato una riduzione del 70% degli "aiuti" al paese, da 9 milioni di dollari, a 2,8. Il 6 gennaio di quest'anno, con la vittoria del MAS di J. Serrano, naufragavano le illusioni di tutti coloro che, qui in Occidente, avevano salutato qualche anno fa il "lento ma inarrestabile processo di democratizzazione" del paese. Per gli USA, la potente lobby degli agroesportatori guatemaltechi (UNAGRO) e l'esercito del paese, perfino il reazionario Cerezo è risultato essere troppo morbido nei confronti delle mobilitazioni popolari, che si sono avute la scorsa estate, contro le misure economiche del governo. Serrano, portavoce della "derecha empresarial" ha subito dichiarato che il suo governo non affronterà nessuna riforma agraria. All'esercito (che assorbe il 32% delle spese statali) ha ribadito il suo incondizionato sostegno. Nonostante che le URGN avessero deciso, in segno di disponibilità alla trattativa con il futuro governo, di non sabotare le elezioni, ha votato solo il 30% della popolazione ed i candidati uccisi, dagli squadroni della morte, sono stati 16.

EI Salvador

Il governo Arena ha seguito fedelmente i diktat del FMI: privatizzazione delle imprese pubbliche e del sistema sanitario. Il programma di "risanamento economico" ha comportato che la disoccupazione nel paese, passasse dal 60% all'80%. Ma nonostante il servilismo del governo Cristiani, e le crescenti disponibilità e "garanzie" offerte dal Fronte Farabundo Martì per arrivare ad una soluzione negoziata con il governo (patto sociale fra le classi; libere elezioni; le aree liberate sono diventate "territori di transizione"; politica di neutralità nei confronti dei conflitti internazionali; cooperazione nella lotta al traffico della droga, ecc.), il consigliere alla sicurezza degli Stati Uniti - Colin Powell - ha dichiarato, l’11 aprile di quest'anno, che gli USA non escludono la possibilità di un intervento militare nel paese.