NELLA GRANDE GERMANIA
La colossale operazione di annessione dei 5 Länder orientali da parte del capitalismo tedesco è entrata, a sei mesi dall'unificazione ufficiale dell'ottobre '90, nella sua fase delicata. Passate l'euforia e la "sbornia ideologica" per il capitalismo dilagante ad Est e capace di portarvi "libertà e democrazia", e soprattutto prosperità e sviluppo, - euforia che nel periodo dalla caduta del Muro alle elezioni pan-tedesche del 2 dicembre '90 ha permesso al Cancelliere Kohl di trionfare ripetutamente -, viene al pettine la realtà di un paese ancora profondamente (ed ovviamente) diviso: con un proletariato tedesco-orientale messo bruscamente di fronte ai costi della necessaria ristrutturazione capitalistica; un proletariato tedesco-occidentale (inclusa la sua cospicua fetta di lavoratori immigrati) il quale avverte che su di esso la borghesia tenterà di scaricare i costi dell'operazione, compresi quelli "assistenziali", indispensabili per mantenere la conflittualità sociale ad Est ad un livello tollerabile; ed una borghesia tedesca stessa che deve fare i conti con uno scenario internazionale ed interno molto cambiato rispetto a quello della sua marcia trionfale degli anni '89-'90.
Essa è costretta a rifare i suoi conti in negativo sulla base di questo scenario:
1) la recessione mondiale ha iniziato ad investire anche l'economia tedesca, il cui fortissimo export commerciale è in fase di contrazione, così come lo è l'esportazione di capitale, che anzi debbono essere convogliati entrambi verso la Germania dell'Est per finanziare l'operazione di annessione. Se è vero che la forte domanda proveniente dalla ex RDT parzialmente compensa questa contrazione (e di ciò beneficiano anche gli altri capitalisti, in particolare gli europei che si dividono una fetta del 20-30% dell'import tedesco), resta il fatto che, come rileva il giornale della Confindustria italiana: "Se da Wall Street cade la domanda di Porsche o di Bmw, difficilmente potrà essere compensata dalla domanda dei tedesco-orientali pur ansiosi di abbandonare le vecchie Trabant";
2) l'accresciuta e fortissima incertezza sui destini dell'URSS e dei paesi dell'ex "blocco socialista", i cui mercati la borghesia tedesca conta ed è predisposta ad occupare, ma da cui essa stessa - a sua volta - dipende.
Esemplare di questa interdipendenza ad alto rischio è l'accordo stipulato con l'URSS in febbraio: la Germania finanzia per 9 miliardi di marchi l'export delle fabbriche dell'ex RDT assicurando con ciò il lavoro a 500.000 operai tedeschi-orientali; i russi pagano nell'unica maniera loro possibile ossia fornendo alla Germania gas e petrolio, ma provocando così all'interno del loro paese un'alzata di scudi dei cosiddetti "ortodossi" e "conservatori" contro la svendita all'Occidente e la rapina delle risorse del paese;
3) i costi imprevisti della guerra dei Golfo - 15 miliardi di marchi - una guerra voluta dagli americani che la borghesia tedesca ha subito, e per la quale deve pagare "alleati" che l'hanno ripagata con critiche non velate ed addirittura pesanti "per lo scarso impegno economico e diplomatico della Germania" e che la ripagheranno cercando di utilizzare la loro vittoria militare ed il loro controllo sull'area del petrolio come arma di condizionamento e di ricatto contro il concorrente tedesco;
4) l'esplosione della protesta delle masse tedesco-orientali che ha avuto per il momento il suo apice nelle manifestazioni di marzo con centinaia di migliaia di proletari nelle piazze di tutte le principali città contro una ristrutturazione che ha già investito 1/3 della forza lavoro (attualmente sono circa 2,5 milioni i lavoratori occupati a tempo parziale, spesso "a zero ore", oppure in disoccupazione vera e propria). Certo, la borghesia sapeva bene che l'operazione di annessione non sarebbe stata indolore dal punto di vista del conflitto sociale, ma una reazione così repentina delle masse orientali, rispetto alle ovazioni anche operaie per Kohl di pochi mesi addietro, e di così ampie dimensioni non rientrava nella sua previsione. Il "Sole/24 Ore" ha parlato di una protesta che ha "scioccato" la Germania occidentale (leggiamo: la borghesia occidentale) e che dimostra "l'impossibilità per molto tempo di ridurre le spese in sussidi ad Est";
5) la palla perciò viene rimandata ad Ovest ovvero allo scontro aperto col proletariato tedesco-occidentale che con il 1° di luglio vedrà il suo salario diretto limato con un aumento del 7,5% sulle trattenute fiscali (tassa che resterà in vigore per 1 anno), il suo salario indiretto ulteriormente limato coll'aumento dei tabacchi e della benzina e soprattutto con i tagli previsti per le spese sociali (il ministro dell'economia Moellermann ha minacciato le dimissioni se il valore di questi tagli non raggiungerà i 10 miliardi di marchi), tagli allo "stato sociale" che, per inciso, metteranno nella peste molte amministrazioni locali a guida socialdemocratica. In questo quadro lo scontro sociale sui innovi contrattuali rischia di essere assai teso con un riformismo sindacale e politico impegnato nella sua solita opera di mediazione con l'argomento ben reale dei "sacrifici necessari come atto di solidarietà nazionale", ma questa volta la mediazione potrà essere non indolore per il suo apporto con le masse operaie ed all'interno stesso dei suoi apparati.
Il fatto positivo che ci sentiamo di poter incamerare in questo primissimo ingaggio della guerra di classe apertasi in Germania è che il proletariato pur ancora diviso da una condizione di vita materiale, di organizzazione sindacale e politica molto diverse, sta però opponendo una resistenza sostanziale all'attacco capitalistico.
Certo la sua non è una posizione di lotta tenuta come "classe per sé" cosciente dei propri e comuni interessi che la unificano e la contrappongono alla borghesia (del resto ciò era scontato, giacché alla coscienza di classe le masse non arrivano per via ideologica, "con la testa"), ma è una resistenza che i due reparti operai tedeschi oppongono con ritmi, modalità ed organizzazione di lotta ancora spaiati, per la difesa delle loro condizioni di vita immediate. Da questa base essenziale di lotta si potrà e dovrà passare ad un livello sempre maggiore di battaglia ed organizzazione unitarie rispondendo come classe alla tendenza obiettiva che vedrà via via ridursi il fossato fra le condizioni di lavoro e di vita dei due reparti operai.
Indubbiamente il passo in avanti fatto con le mobilitazioni di massa del marzo non cancella una situazione che rimane grave per i lavoratori ad Est. Essi rimangono esposti alla caduta di tensione, cioè alla mancanza di fiducia nell'efficacia della lotta collettiva, nel fatto che essa e solo essa può strappare al capitale le necessità vitali per i proletari. La stessa azione politico-sindacale dei socialdemocratici che hanno cavalcato la protesta "per evitare pericolose fughe estremiste" (e che per questo sono stati beccati dal grande capitale: la SPD o perlomeno 1’IG Metall forniscono pretesti all’"estremismo ed al terrorismo", questa l’"accusa"), se da un lato ha contribuito a chiamare nelle piazze i lavoratori, lo ha fatto non certo per rigettare e respingere la ristrutturazione e l'attacco capitalistici ma per chiederne una gestione "più equa", "più attenta ai costi sociali" (il che certo non è indifferente rispetto agli iniziali disegni thatcheriani del capitalismo tedesco), in sostanza però facendo intendere alle masse che non esiste alternativa reale all'amaro menù della ristrutturazione che comunque dovrà essere mangiato. Questa sostanziale mancanza di prospettive diverse, realmente alternative ai "sacrifici necessari" che la socialdemocrazia non può dare (e nessuno lo può! se non una forza di classe che ponga l'obiettivo del potere ai lavoratori, del socialismo, della rivoluzione insomma), contribuisce al riflusso del movimento di lotta quando questo non ha la forza di enucleare un suo programma, una reale alternativa alle necessità ed alle compatibilità della borghesia.
Rimane inoltre presente, ed anzi può aggravarsi col riflusso del movimento di lotta e soprattutto col perdurare di difficili condizioni di vita per i proletari, il pericolo di una esplosione del contrasto con gli immigrati che dall'Europa orientale e dal Sud del mondo non cessano di affluire in Germania (già il sindacato edile ha recentemente sollevato la questione dei lavoratori stranieri, in particolare polacchi, che si offrono a prezzi stracciati nei cantieri e si mettono in pericolosissima concorrenza con gli operai tedesco-orientali). Mentre, sempre ad Est per il momento, può presentarsi un'ulteriore complicazione sulla via dell'unificazione del fronte di classe, ossia una rottura fra chi è riuscito o riuscirà a salvare il posto di lavoro e chi invece resterà tagliato fuori e dovrà misurarsi con la cruda realtà della disoccupazione.
In sintesi: si confrontano ancora in Germania orientale due correnti oggettive: l'una disgregatrice della potenziale forza dei lavoratori, che fa aggio sulle loro reali difficoltà e sulla loro disillusione rispetto "ai politicanti di Bonn" per portarli alla passività sfruttandone nelle punte più estreme, la disperazione in senso nazionalista e xenofobo; l'altra che pur fra difficoltà e contraddizioni vede emergere la necessità di una lotta, di una difesa, di una organizzazione collettiva delle masse e che in questa prima fase si è espressa nella rivendicazione di "non voler essere trattati come cittadini di serie B".
Un fatto importante che ha marcato questa prima tornata dello scontro di classe è stata la chiusura della prima stagione di contratti separati per le regioni dell'Est. Probabilmente questi accordi, che bene o male hanno potuto garantire ai lavoratori (perlomeno quelli che salveranno il posto di lavoro!) un riferimento preciso verso la parificazione con gli operai dell'Ovest dando quindi una relativa sicurezza, hanno contribuito in maniera rilevante al riflusso del movimento di massa del marzo.
Esaminiamone sinteticamente i risultati, prendendo ad esempio il contratto dei metalmeccanici. La categoria nella RDT contava 1.600.000 addetti, con un salario orario netto di circa la metà rispetto agli operai occidentali, ma con un orario settimanale di 42 ore; oggi gli addetti sono già calati a 1.100.000 (e la previsione è che si ridurranno ad 800.000!), essi hanno ottenuto che da 1/4 che era il loro salario mensile sia portato al 60% degli operai occidentali, per arrivare nel 1994 alla parificazione salariale ma con un orario settimanale che fino al 1998 non potrà essere inferiore alle 38 ore.
(Ricordiamo che ad Ovest con il 1995 l'orario per i metalmeccanici dovrebbe essere ridotto alle 35 ore).
La stima del padronato tedesco è che alla data del 1994 il costo del lavoro ad Est sarà pari all'80% rispetto all'Ovest.
Inoltre i salari ad Est vengono agganciati a quelli dell'Ovest, vale a dire che tanto più la classe operaia tedesco-occidentale riuscirà a strappare ai padroni, tanto più aumenterà il salario degli operai tedesco-orientali: questa è un'acquisizione importantissima che concretamente lega gli interessi dei due reparti operai ed avvicina progressivamente le condizioni di vita e, di conseguenza la possibilità/necessità di una lotta unitaria.
Per gli operai orientali si tratta indubbiamente di un miglioramento delle loro condizioni di vita ed anche di una iniezione di speranza verso l'agognato raggiungimento degli standards occidentali nella fiducia che "le cose si aggiustino", con però due rilevanti riserve:
1) l'aumento del costo della vita (affitti, trasporti, servizi sociali) che se dovesse salire ai livelli occidentali (come per certe merci pare verificarsi) vanificherebbe la relativa conquista salariale; ma è da supporre che in questo caso lo stato intervenga sussidiando in pratica l'Est per mantenere la pace sociale (scaricandone però il costo sui lavoratori dell'Ovest!);
2) la sorte (e la reazione sociale) della massa di lavoratori messi in disoccupazione dal "risanamento" capitalistico. Una massa rilevante, nel caso dei metalmeccanici, abbiamo visto, circa la metà degli addetti precedentemente impiegati, che ben difficilmente potranno trovare nuova occupazione nelle attività che il "libero mercato" ha introdotto, attività che in Germania orientale, come in tutti i paesi "socialisti" apertisi al mercato, sono state definite da "snack bar economy" e non certo come imprese capaci di strutturarsi e competere e svilupparsi a livello occidentale.
Come abbiamo sopra scritto, la borghesia, "sorpresa" dalla reazione delle masse ad Est, tenterà di colpire più duramente i lavoratori occidentali, in particolare la classe operaia industriale. Lo scontro sociale, insomma, si sposta decisamente ad Ovest, rimanendo dei resto ad Est una situazione tutt'altro che stabilizzata e normalizzata.
Ad Ovest gli impiegati pubblici (compresi ferrovieri e postini) hanno chiuso a metà marzo il loro contratto strappando un 6% d'aumento (contro una rivendicazione iniziale del 10%); significativamente il loro sindacato ha firmato senza nemmeno aprire la procedura di "conflitto di lavoro" (una procedura che può portare allo sciopero con il consenso del 75% degli iscritti) usando come mezzo di pressione solo poche ore di "sciopero d'avvertimento".
Molto più aspro sembra il conflitto fra i metalmeccanici (richiesta: + 10%) ed il fronte padronale che offre un 4%. Dipenderà dall'intransigenza dei padroni e dalla pressione che le masse operaie saranno in grado di esercitare condizionando con ciò l’IG Metall a non scendere troppo, se anche per i metalmeccanici potrà essere siglato un accordo senza colpo ferire intorno al livello del 6%.
Ma anche in questa molto probabile ipotesi, avremmo comunque una battuta d'arresto per il salario degli operai tedesco-occidentali, se si considera che oltre all'aumentata pressione fiscale sul salario, esso sarà potato da un'inflazione che ufficialmente è prevista ad un livello del 3,5-4% (rispetto al 2,5% attuale). La conseguenza sarà perciò un accresciuto malessere e scontento degli operai occidentali ed in ragione dell'acutezza della crisi e dell'intensità della lotta una possibile rottura o messa in discussione del controllo riformista sulla classe operaia ed una serie di contraddizioni e rotture all'interno stesso del riformismo.
Proprio i destini e la capacità di controllo sulle masse del riformismo sono l'altra questione posta innanzi dall'evolversi sempre più acuto ed impellente dello scontro di classe.
Nelle prossime puntate occorrerà soffermarsi su questa delicata questione; per il momento ci basti dire (o meglio ribadire) che l'enormità della ristrutturazione cui è chiamato il capitalismo tedesco impone il disciplinamento ovvero la compressione del lavoro salariato, e se la difficoltà di imporre questa ristrutturazione al proletariato costringe la borghesia ad appellarsi ed a "aprire" alla socialdemocrazia, il punto è che - qualsiasi sia la forma ed il grado di cooptazione diretta al potere della SPD - il riformismo stesso dovrà prendere in carico la gestione delle necessità obiettive del capitalismo contro la classe operaia e le sue responsabilità sindacali e politiche.
Se Kohl dopo i "trionfi storici" dell'89-'90 pare oggi bruciarsi le mani con la gestione dell'unificazione, Brandt, Vogel e compagni possono forse aspettarsi "storici successi" elettorali, ma non avranno una sorte migliore di quella toccata all'attuale Cancelliere.