Volantino distribuito alla manifestazione del 12 gennaio a Roma
GUERRA IMPERIALISTA,
"PACE" IMPERIALISTA
O GUERRA SANTA DI CLASSE?
Non possiamo sapere se alla scadenza posta dall'Onu per il 15
gennaio sarà scatenata la guerra per "riportare la libertà " nel
Kuwait e restaurare l'emiro degno paladino di tale "1ibertà" oppure
se una soluzione di compromesso verrà trovata fra le potenze imperialiste ed i
loro intoccabili interessi vitali e la borghesia irakena che è stata costretta
a difendersi prendendo a cannonate l'emiro-fantoccio per alleviare la morsa
esercitata dall'Occidente su di essa e sulle masse oppresse.
Molteplici fattori decideranno se sarà guerra vera e propria
o se sarà "pace".
In primo luogo, da parte imperialista, il calcolo, la
previsione di quanto dura, violenta, generalizzata possa essere la risposta
all'aggressione da parte del mondo arabo-islamico e di quanto quelle fiamme
possano arrivare qui da noi, nelle "ricche e civili" metropoli
occidentali dove già, passata la sbornia dovuta alla campagna di intossicazione
contro "Il nuovo Hitler", una minoranza comincia ad intuire che le
cause reali, profonde, di quel conflitto, di quella oppressione, di quel milione
di morti (guerra Iran/Irak) stanno proprio qui: qui nel "civile e
democratico" Occidente nelle miracolose leggi del "libero
mercato" che avevano portato il barile di petrolio sotto i 15 dollari. Ed 1
barile fa 159 litri!
Dall'altra sponda, da parte della borghesia irakena, il
calcolo di quanto e fin dove essa possa controllare le masse che deve pur
mobilitare ed armare se vorrà difendersi sul serio, fino a dove cioè l'odio
delle masse contro l'Occidente e la guerra santa contro di esso non finisca per
travolgere, se l'incendio scoppia, le borghesie arabe stesse.
Una cosa è però sicura e dobbiamo esserne coscienti: per
milioni e milioni di uomini oppressi e diseredati arabo-islamici è ormai
intollerabile lo stato della propria oppressione, della propria miseria. Prima o
dopo, con alla testa questo o quel "liberatore " vero o presunto che
sia la loro collera esploderà.
Ebbene, crediamo davvero che una eventuale soluzione "di
pace", sollecitata magari - come nei fatti lo è - dagli imperialisti
europei in lotta sotterranea con gli Usa, possa rispondere realmente ai bisogni
di quelle masse?
Lo possiamo sul serio credere senza rispondere alle domande:
la "pace" di chi? La "pace" per quali interessi? La
"pace" per fissare quale prezzo al barile di petrolio che stia in
equilibrio fra la necessità del capitalismo di rapinare materie prime e le
necessità vitali di quei popoli?
Sì, è vero, da noi si può ancora credere che gli interessi
"nostri" cioè l'interesse "democratico" dell'Occidente
imperialista possa conciliarsi con quello delle masse e col loro bisogno di
liberazione. Che si possa fare "un'altra politica, più giusta, più
equilibrata" e meno brutale di quella condotta da Wall Street, dalla City
di Londra o dalla Borsa di Milano in vista di un comune, armonico sviluppo per
tutti.
Lì no! Lì a questo non si crede più. A tutto ciò le masse
arabo-islamiche non possono più crederci. Lo hanno ben compreso sulla propria
pelle.
Si potrà allora non sentire o far finta di non sentire fino
a un certo punto, ma infine tutti noi dovremo rispondere ad una domanda precisa
che ci viene posta dal movimento delle masse arabo-islamiche. Essa non è una
domanda di "pace", ma al contrario è: qui si lotta per la nostra
liberazione, qui c'è la guerra santa contro l'Occidente, DA CHE PARTE STATE?
E' del tutto evidente che se dall'Occidente continueranno ad
arrivare a quelle masse solo messaggi del tipo di quelli contenuti nella
piattaforma che convoca la manifestazione di oggi che pone al primo posto il
ritiro dell'Iraq dal Kuwait, palesando un chiaro schiera mento di campo pro
occidentale, ancor più si allargherà il fossato tra la "metropoli "
e la "periferia".
Di fronte all'invio in proprio, da parte dell'Italia di aerei
e di navi in Somalia per controllare da vicino il decorso della rivolta popolare
contro, un fido tutore dei "nostri " interessi là (Siad Barre), e per
ricordare alle masse in rivolta che ad ogni costo va ripristinata la stabilità
sotto il patrocinio italiano, il comitato promotore della manifestazione non
solo non spende una parola, ma, recitando la costituzione, chiama alla
manifestazione dietro lo slogan: "L'Italia ripudia la guerra".
Quale Italia? Quella degli industriali, dei faccendieri, dei
capitalisti e dei borghesi? O quella dei proletari, dei disoccupati, di tutti
coloro che non avrebbero altro che da perdere, fungendo da carne da cannone, dal
ripristino dell'ordine imperialista in Medio Oriente.
E allora, il pacifismo espressosi fino ad ora altro non
testimonia se non una petizione di pace, della propria pace, della pace in casa
propria, tipica di quegli strati sociali (vera e propria ruota di scorta
dell'imperialismo) che per preservarsi dalle ondate e dai flutti… "per
forza di causa maggiore" …potrebbero anche essere "costretti" a
farla, la guerra.
Quel pacifismo sostenuto dal Pci, che prima si astiene sulla
decisione di invio del contingente militare nel Golfo, e che oggi si azzuffa al
suo interno sul riconoscere come un errore o meno tale decisione.
Sino ad oggi una voce è mancata, non si è espressa; ed è
proprio la voce di quella parte della società che in tutto l'Occidente può
tagliare le unghie alle mire di restaurazione che tutti i paesi imperialisti
(Italia in primo) hanno per il Medio Oriente, una restaurazione unicamente a
favore dei propri interessi di dominio e sfruttamento.
E' la voce del proletariato, di quella classe operaia che
subisce e ancor di più subirà le conseguenze dell'intruppamento sciovinista e
nazionalista al seguito del carro imperialista. Quella classe operaia che si
vorrebbe rappresentare da figuri del calibro di un Trentin addirittura accusa la
manifestazione di essere troppo "estremista " e pro-Saddam.
Il posto della classe operaia metropolitana deve essere al
fianco di quelle masse in rivolta perché comune è il nemico di classe.
Dobbiamo essere coscienti che solo se dall'Occidente sviluppato verrà un passo
concreto di solidarietà da parte proletaria verso quelle masse, solo se qui si
ritornerà alla lotta di classe quel movimento rivoluzionario ritroverà fiducia
in noi e potrà superare e scalzare i suoi attuali capi, gli Hussein, gli
Ayatollah, colpevoli non di certo di violare il diritto internazionale, ma
semmai di non condurre una reale lotta di liberazione.
La giusta guerra che intere popolazioni di tutta un'area
dalla Palestina al Magrheb sono costrette a portare avanti, difendendosi dalla
voracità dell'imperialismo, contro tutto l'Occidente, deve trovare sostegno ed
alleati nel proletariato di qui, per l'apertura di un fronte comune di lotta
internazionale.
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CONTRO L'AGGRESSIONE IMPERIALISTA
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SOLIDARIETÀ TOTALE ED INCONDIZIONATA
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CON LE MASSE ARABO-ISLAMICHE
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LA LORO LIBERAZIONE SARÀ ANCHE LA NOSTRA, O NON SARÀ!
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
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