18 marzo 1990, schiacciante vittoria di Kohl nelle elezioni in RDT; 2 luglio, introduzione del marco-ovest in Germania orientale; 3 ottobre, ufficiale annessione alla RFT dei 5 Laender orientali più la città di Berlino che costituivano la RDT. Così, a ritmi incalzanti in meno di un anno dalla breccia deL Muro - 9 novembre 1989 - raccogliendo ed utilizzando l'incontenibile pressione delle masse orientali, la borghesia tedesca ha sanato la ferita inferta al suo Stato ed al suo apparato produttivo dai vincitori della 21 guerra imperialista mondiale nel 1945.
Essa ha potuto portare a termine l'operazione in questa maniera fulminea proprio grazie allo stato di debolezza o di sfacelo dei due massimi vincitori d'allora, USA ed URSS, mentre il suo sistema economico risultava essere nel 1989 più solido che mai: la RFT è il primo esportatore mondiale davanti ai giapponesi (con un surplus di 135 miliardi di marchi), è il secondo creditore nel mondo dopo il Giappone (prestiti per 427 miliardi di marchi). Agli americani, i più indebitati del mondo, non rimane che la supremazia militare e l'arma della finanza (in rosso…) per ricattare e tentare di contenere "gli alleati" di Berlino e di Tokio. Ai russi non rimane, invece, niente avendo abbandonato l'arma ideologica del richiamo anti-capitalista ed antimperialista con cui potevano sperare di raccogliere il proletariato d'occidente e le masse dei paesi dominati come forza d'appoggio al loro Stato borghese.
Il 3 ottobre, al momento del suggello ufficiale della grande potenza borghese tedesca svincolata dalla tutela dei "vincitori", questi non hanno potuto celare l'imbarazzo ed il timore. Gli inglesi hanno salutato la riunificazione parlando apertamente del "pericolo che il colosso economico tedesco rappresenta per l'Europa"; l'amico americano Bush ha rinunciato a partecipare alla cerimonia del Reichstag commentando che: "45 anni di conflitti tra Est ed Ovest sono adesso alle nostre spalle. Infine il giorno è giunto, la Germania è unita ' la Germania è completamente libera". Purtroppo libera di far valere la sua potenza anche contro gli interessi USA, ha inteso dire lo yankee. Senza alcun sottinteso è stato invece il commento del governo israeliano all'evento sancito il 3 ottobre: "Oggi si riunificano gli assassini"! Schiettezza veramente degna di quei galantuomini per nulla turbati dai quotidiani delitti da essi perpetrati contro i popoli arabi.
Tanto veleno israeliano non dev'essere casuale o dovuto al ricordo del passato olocausto se proprio nella polveriera mediorientale, al fuoco dello scontro sul Kuwait, è venuto alla luce il latente conflitto d'interessi fra il risorto gigante borghese tedesco e gli USA. Qualora infatti gli americani decidessero di "riportare la libertà" nella zona scatenando la guerra vera e propria, ne risulterebbe per il capitalismo tedesco che la sua riorganizzazione interna e la sua marcia verso l'Est ex-sovietico, condotte a suon di miliardi di marchi, siano ulteriormente caricate di gravissime incognite. Da qui la dissociazione pubblica di Kohl rispetto alla politica USA. Saddam Hussein ha intelligentemente centrato questo nervo sensibile ricordando, fra l'altro, una verità spiacevole per gli imperialisti anglo-americani e francesi specialisti in campagne sul "pericolo tedesco" e sugli orrori commessi "dai tedeschi": "Negli annali della storia araba - ha affermato - non risulta che la Germania si sia mai resa responsabile di torti contro la nazione araba o abbia cospirato ai danni della sua sovranità, o abbia agito contro il suo desiderio di unità", ed ancora: "E' nostro dovere incoraggiare il popolo tedesco a compiere ulteriori passi che facciano una distinzione tra gli interessi della Germania e gli interessi di chi cerca la guerra e l'egemonia"[1].
Sì, Bush ha proprio ragione, "la Germania è finalmente libera"!
Per giunta è del tutto evidente che il colosso tedesco è il vero punto di riferimento emergente dalle macerie del "socialismo reale". Una Germania già detentrice del 30% del mercato complessivo dell'Est (contro il 7% dell'Italia, il 6,5% della Francia!) si è preso ora la consistente fetta di traffici con i paesi ex-Comecon detenuta dalla RDT: Mosca, Varsavia, Budapest, Belgrado devono sempre più appellarsi al capitale tedesco, non certo ad una Washington squattrinata. Di conseguenza quelle nazioni "finalmente libere" dovranno rispondere ed adeguarsi alle direttive del capitale tedesco.
Una tale dipendenza così moltiplicata è però, non lo si dimentichi, reciproca: se, cioè, il capitale tedesco utilizzerà le risorse di quei paesi, in primis la forza-lavoro, per rafforzarsi e per attaccare la classe operaia metropolitana, non potrà permettere che il caos generalizzato squassi quelle nazioni o che, come si usa dire, "si diffonda l'anarchia", che la demagogia populista di dubbi "capipopolo" lanciata sopra masse immiserite (quando non affamate) possa portare la situazione fuori controllo. Alla Polonia, per esempio, il capitale tedesco ha già abbonato il debito contratto dal regime passato perché possa essere permesso e tollerato ad un elettricista di Danzica scherzare troppo con le parole (e con le promesse elettorali).
Non è difficile intuire come la posta in gioco è altissima e la partita diviene sempre più complessa e pericolosa…
Nessuno in Germania ha versato una lacrima per la scomparsa dello "Stato degli operai e dei contadini", fatta eccezione per uno strato di intellettuali e piccolo-borghesi di ambo i lati spaventati dalla Grande Germania la cui presunta "colpa" non è stata mai del tutto scontata e che dovrebbe continuamente battersi il petto come "causa" delle guerre mondiali, e per una estrema sinistra secondo cui il blocco sovietico aveva, bene o male, la funzione di sottrarre milioni di uomini dalla sottomissione al mercato ed al profitto ed era ritenuto un alleato più o meno tattico, e comunque un retroterra per la rivoluzione nelle metropoli, giusta le varianti del classico schema staliniano di "socialismo in un solo paese"[2].
Nessuna lacrima abbiamo versato noi, sulla riunificazione della Germania, al contrario salutando negli avvenimenti tedeschi la formazione della base oggettiva su cui dovrà poggiare la lotta antiborghese che verrà e che non potrà non avere come protagonista assolutamente indispensabile un proletariato tedesco finalmente unificato. Il difficile ma grande compito innanzi ad esso è esattamente quello di riuscire a sanare la ferita del 1945 che tagliò in due il reparto centrale del nostro esercito, la classe operaia tedesca appunto, ad opera dei vincitori demo-popolari divisi su tutto, ma uniti in questa operazione controrivoluzionaria.
SCHEDAAlcuni dati sulla Germania Orientale (novembre '90)
Le previsioni del sindacato, più pessimiste, si aspettano un 30% di lavoratori disoccupati prima che il ciclo di ripresa economica si manifesti anche all'Est (entro 1-2 anni). Le stime governative si attendono invece una disoccupazione attorno al 12% della popolazione attiva (quindi attorno al milione di unità).
Struttura dei redditi:
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Come suona stonata la nostra voce! Quasi fantascientifica o folle rispetto alla congerie di discorsi ed analisi sul "pericolo tedesco", sui costi sociali dell'operazione senza che alcuno sollevi appunto la questione degli interessi e dei destini comuni dei proletari, il che corrisponde d'altronde al sentimento di preoccupazione, di imbarazzo della stessa massa proletaria ad Ovest che vede ad Est, per il momento, più concorrenti e perturbatori degli standard di vita faticosamente conquistati che fratelli d'una medesima classe e d'una medesima battaglia.
La borghesia, al contrario, ha potuto gestire il movimento di massa ad Est e dettare le sue condizioni sfruttando a pieno questa condizione soggettiva del fronte proletario e quella oggettiva (alla base della prima) d'un capitalismo metropolitano ancora non toccato dalla crisi e dallo scontro sociale, avendo rimandato la crisi economica alla sua periferia. L'iniziativa della borghesia ha messo sulla difensiva la stessa socialdemocrazia che rappresenta e difende gli interessi degli operai dentro lo Stato borghese ed in subordine ai suoi sacri ed intangibili interessi, proprio perché sono messi in discussione in profondità gli interessi della classe operaia ed il suo "normale rapporto" con l'organizzazione riformista. La socialdemocrazia ha costantemente arrancato dietro al Cancelliere Kohl perché costretta nella morsa dell'interesse del capitale nazionale cui non vuole e non può opporsi, dal momento che proprio questo interesse capitalistico - data l'enorme posta in gioco - richiede la compressione non solo del livello generale di vita delle masse proletarie ma la stessa messa in discussione delle postazioni dei riformisti all'interno dell'apparato borghese (del "contropotere", come lo chiama enfaticamente Franz Steinkueler, leader dei metalmeccanici)[3].
Dicono bene i compari italiani della SPD: "Alla base della prudenza della SPD non c'è un sentimento patriottico più flebile, ma la ferma intenzione di mantenere ed estendere un sistema di vivere civile, un livello di vita e di consumi, una solida esperienza di welfare. Al contrario la maggior sollecitudine della CDU deriva dalla speranza di un'espansione produttiva fondata su una massiccia deregulation nelle condizioni di lavoro e nelle garanzie sociali"[4]. Questo è in effetti il centro della questione. La borghesia tedesca porta un'offensiva generale contro il proletariato: tenterà d'usare la massa degli 8 milioni di lavoratori annessa al suo mercato del lavoro interno per deprimere il prezzo complessivo del "capitale variabile" ossia del salario, cercando di sfruttare la concorrenza e la divisione dei lavoratori per scompaginarne l'organizzazione all'Ovest stesso (ed in questa operazione di "dumping sociale" utilizzerà per giunta la pressione di decine di milioni di proletari dell'ex blocco sovietico).
Unitamente all'offensiva materiale è portata quella ideologica, un vero attacco in profondità ed a tutto campo. "Mai più socialismo" dicono i manifesti della CDU in cui è raffigurato un Marx che chiede scusa ai proletari. Si ha di mira non solo il "socialismo reale" di marca staliniana ma ogni tipo di socialismo, sparando addosso anche a quello "ideale" (cioè quello dei sogni, che non deve venire mai) e ultraslavato dei socialdemocratici. Si vuol colpire l'idea stessa di un interesse di classe dei lavoratori indipendente o comunque contrastante rispetto alla Nazione. Scatenando questa campagna, la borghesia guarda al futuro e non canta semplicemente vittoria rispetto al "nemico" di ieri; essa cerca preventivamente di fare terra bruciata intorno al demone ora più che mai temuto della ripresa della lotta di classe, dell'affasciamento in essa dei proletari tedeschi ancora divisi ed al conseguente riemergere di una prospettiva di classe anticapitalistica come soluzione del conflitto sociale.
La contrapposizione fra le formazioni politiche apertamente borghesi e la socialdemocrazia non è una rappresentazione del teatrino delle marionette politiche per "deviare gli operai", ma è il riflesso d'uno scontro reale. Se gli uomini della Borsa di Francoforte si dicono sicuri che anche in caso di guida socialdemocratica del paese "non cambierebbe un bel niente, perché la SPD non si è mai sognata e non si sogna di modificare o peggio ancora indebolire l'economia tedesca", ciò è vero nel senso che mai la socialdemocrazia potrà condurre una reale politica anticapitalistica (questo lo comprendono anche i sassi), ma non sarebbe invece indifferente per il capitalismo tedesco una guida SPD, giacché questa non potrebbe che caricare di contraddizioni il paese dovendo in qualche modo venire incontro alle esigenze del proletariato e far ricadere i costi dell'enorme riorganizzazione capitalistica anche su chi "ha i redditi più alti", come si usa dire nella fraseologia socialdemocratica. Per il capitale tedesco sarebbe in sostanza una guida senz'altro più accidentata e più impedita, non per nulla tutto il mondo della Borsa e del business in generale è totalmente per Helmut Kohl.
A noi importa, nella nuova fase dello scontro sociale apertasi in Germania, intendere esattamente che la partita di caccia grossa portata dalla borghesia minaccia la pellaccia dei socialdemocratici avendo però come bersaglio di fondo l'orso proletario. I riformisti stessi dovranno in qualche modo sollecitare l'azione della classe: si pensi solo alla necessità vitale di impiantare ad Est una efficace organizzazione di difesa economica degli operai non foss'altro che per evitare che lo stesso sindacato ad Ovest venga travolto. Quanto la loro azione sia contraddittoria, imbelle ed impotente di fronte al capitalismo spetterà appunto a noi dimostrarlo e denunciarlo di fronte al proletariato tedesco.
Non si pone né mai si porrà per noi la questione di appoggiare più o meno tatticamente la socialdemocrazia o le sue ali sinistre come "male minore" rispetto alla valanga capitalistica che ci minaccia, o come forza che comunque può offrirci un "terreno migliore": il "male minore" non esiste, né "terreno migliore" esiste al di fuori della ridiscesa in campo del proletariato tedesco cioè dell'unica forza che appoggiamo (e sulla quale ci appoggiamo) e che sola può offrire l'ossigeno ed il terreno favorevole alla nostra prospettiva rivoluzionaria.
Possiamo prevedere che più di ogni altra forza borghese la SPD vada incontro ad una fase di contrasti interni che travaglieranno la vita, fino ad ora lineare ed ordinata, di questo elefante "operaio"-borghese. Al suo stesso interno, infatti, sono destinati a venire apertamente in contrasto il polo "pragmatico-realista", impersonificato dall'ex Cancelliere Helmut Schmidt, secondo cui si tratta di gestire la riorganizzazione capitalistica in maniera più morbida per le masse rispetto alla CDU ma senza alcun eccessivo e sconveniente riferimento alla classe operaia ed alla necessità della sua mobilitazione che allontanerebbe il ceto medio dal partito, e dall'altra parte l'ala sindacale della SPI) che dovrà riflettere, certo nella maniera più deviata e imbastardita, la necessità del mondo del lavoro di difendersi, e dunque di lottare contro un nemico di classe sempre più spinto e radicale nella sua offensiva.
Inoltre, anche sull'elefante SPD graverà il fatto che il gigante economico tedesco deve condurre una sua propria politica internazionale, ossia una politica imperialista fuori dalla posizione "nascosta" e defilata all'ombra degli USA e della NATO condotta nella precedente fase storica. Ebbene, il farsi carico delle necessità dell'imperialismo tedesco - ancora una volta in maniera quanto si vuole contraddittoria – creerà non pochi problemi ad una SPD, principale forza dell'Internazionale Socialista, che si presenta nella metropoli quale forza "pacifista", portatrice a scala internazionale di una politica "in favore degli oppressi" per il "riequilibrio fra Nord e Sud del mondo", per "un diverso modello di sviluppo" e così via. Ora, sotto questo manto ', progressista" non c'è che la lotta interimperialista per scalzare e strappare terreno all'imperialismo statunitense. Quanto alla maschera "terzomondista" e "pacifista" dei socialdemocratici, che nella loro Internazionale annoverano "compagni" dalle mani apertamente macchiate di sangue proletario come il Peres venezuelano, il Perez israeliano, il Garcia peruviano, non c'è dubbio che anche nella metropoli sapranno dimostrarsi degni dei loro avi Noske e Scheidemann qualora la classe operaia "irresponsabilmente" attentasse all'ordine ed alla stabilità dello Stato borghese, come hanno bene dimostrato di sapere fare, in piccola scala, nel 1977 quando il loro governo usò il pugno di ferro contro i ribelli anarcoidi della RAF trucidandone i capi nella prigione di Stammhein.
L'aut-aut perentorio posto dalla borghesia tedesca al proletariato è determinato dall'enorme portata dell'investimento richiesto dalla fulminea annessione della RDT. Strade, case, ferrovie, fabbriche sono da ristrutturare o da costruire per portare quello che il capitale riterrà di salvare del vecchio apparato produttivo della RDT (che comunque dava un Pnl superiore a quello della Spagna!) all'altezza che la competizione capitalistica mondiale richiede, mentre non potranno essere tagliati immediatamente e brutalmente i sussidi ed un minimo di welfare per non gettare del tutto sul lastrico chi rimane tagliato fuori dalla ristrutturazione.
La cifra dell'investimento dovrebbe situarsi, se non intervengono complicazioni nel quadro internazionale, fra i 1.000 ed i 1.200 miliardi di marchi nell'arco di una decina d'anni al termine dei quali, secondo le previsioni del mondo borghese, la parte orientale della Germania sarà realmente parificata ed unita al florido Ovest[5].
Parliamo di investimento, dunque di affare, nei calcoli del capitale tedesco a cui quei mille e passa miliardi dovranno ritornare con gli interessi. Sarà il lavoro salariato a sudarli tutti quei miliardi, perciò esso deve essere disciplinato dentro il ferreo ingranaggio della macchina capitalistica tedesca.
Bassi salari, disciplina in fabbrica e fuori sono la ricetta per la ripresa economica, e dunque per il buon esito degli investimenti. Potrà ben darsi che gli operai orientali - perlomeno quelli che riusciranno a salvare il posto di lavoro - riescano ad ottenere delle condizioni di salario ed un livello di vita e di consumi decisamente superiori a quelli precedenti ma, considerando la classe operaia tedesca il lavoro salariato nella sua globalità -avremo che questa esce indebolita ed impoverita dal processo di riorganizzazione rispetto alla forza crescente del capitale.
Forse il capitale tedesco conta di ripetere in proprio il business operato dagli americani con gli "aiuti" per la ricostruzione postbellica quando un possente flusso di miliardi di dollari irrorò la Germania occidentale, fece riprendere in breve la sua economia e riuscì a tacitare la massa proletaria i cui sacrifici han potuto essere ripagati. Il bilancio di quella operazione, il famoso piano Marshall, è decisamente impressionante: "Il confronto fra le assegnazioni di fondi ERP e l'aumento del prodotto sociale offre una dimostrazione veramente impressionante dell'effetto catalizzatore provocato dagli aiuti del piano Marshall. Ad ogni dollaro versato alla Germania in base al piano Marshall corrispondono da 10 a 20 dollari di beni prodotti e di servizi. Non si potrebbe esigere una prova più evidente dello straordinario successo dell'assistenza economica americana"[6].
Noi osiamo dubitare che un exploit del genere riesca alla borghesia tedesca - che dovrebbe invadere i mercati mondiali col suo prodotto - senza che l'infernale meccanismo si traduca in una nuova immane guerra. In ogni caso, anche nell'ipotesi più indolore e favorevole per la borghesia tedesca, cioè di un processo di ristrutturazione che proceda senza traumi troppo violenti in un contesto internazionale "di pace" (la borghesia tedesca è infatti oggi più che mai "pacifista" avendone vitale bisogno per fare i suoi affari), questa enorme concentrazione di forza capitalistica in Germania sarebbe ed in effetti è una dichiarazione di guerra contro la classe operaia internazionale.
Per competere contro un "made in Germany" sempre più forte ed invadente le borghesie concorrenti altro non possono fare che colpire la loro rispettiva classe operaia. Da questa elementare previsione si può valutare quanto sia delicato ed importante il corso dello scontro di classe a Berlino e come esso richiami obiettivamente lo scatenarsi del conflitto sociale nelle altre metropoli[7].
Di fronte ad un muro economico-sociale per niente abbattuto (vedi i dati riportati nell'allegato), ci si potrebbe forse stupire per la mancata scesa in campo del proletariato tedesco-orientale. In realtà esso ha vissuto questo anno di straordinari eventi passando da una "svolta storica" all'altra fino ad arrivare all'obiettivo "impossibile" della riunificazione a cui ha dato una spinta potente e decisiva, e solo ora comincia a farsi i conti in tasca. La spinta del proletariato tedesco orientale è stata raccolta da Kohl il quale ha costantemente lisciato e lusingato quelle masse con "l'ottimismo" del libero mercato e della libera iniziativa economica apportatrici di benessere per tutti, ma ha anche potuto dare qualcosa di concreto nel portare a termine l'annessione. Si pensi al cambio del marco alla pari (operazione costosa per le finanze dello Stato a cui la Bundesbank ha cercato d'opporsi e che lo stesso Kohl ha tentato di ritirare provocando l'immediata reazione delle masse orientali e dei suoi stessi fantocci CDU dell'Est), operazione che ha certamente rivalutato i risparmi dei cittadini orientali. Secondo un nostro calcolo la famiglia media ha potuto portare a casa una cifra intorno ai 15 mila marchi, cifra modesta - si dirà - di fronte alle incognite del "libero mercato", ma comunque pur sempre una riserva che, unita alla voglia di darsi da fare e alla speranza nel miracolo capitalista, ha consentito la tenuta della fiducia intorno alla forza politica portatrice di quel miracolo.
Inoltre, in tutto questo periodo in cui il capitale tedesco ha messo le mani sulla struttura economica della RDT, passandola al vaglio da cui salverà il meglio tagliando senza tante storie tutte le attività economiche "fuori mercato" il proletariato ha vissuto una situazione di attesa. Attesa di conoscere il suo destino, di sapere se la fabbrica chiuderà oppure potrà salvarsi ed in questo caso a che prezzo in termini dì riduzione degli addetti e di intensificazione della produttività. Una situazione di incertezza in cui il proletariato ha cominciato a imparare come fare i conti di fronte al libero mercato senza le garanzie del "socialismo reale" che pure continuano a sussistere per molteplici servizi come i trasporti, gli affitti (il sistema dei prezzi controllati verrà parzialmente smantellato a cominciare dal 1° gennaio 1991, ma un regime controllato dei prezzi dovrà sussistere ancora per un bel pezzo).
Gli operai in un certo senso aspettano il responso della Treuhand, l'organismo governativo incaricato di riorganizzare e privatizzare 8.000 fra Kombinat ed imprese "proprietà del popolo", che rappresentavano l'80% dell'economia RDT, nel quale organismo dettano legge i grandi gruppi, i Konzern, e nel quale non hanno accesso i rappresentanti sindacali (e qui anche Steinkueler dell'Ig Metall ha tuonato accusando la Treuhand di essere organismo "antidemocratico"). E il responso minaccia di essere molto pesante per gli operai tedesco orientali[8].
La situazione del proletariato tedesco orientale è stata insomma, ed ancora largamente è, quella di riporre fiducia in mano alla borghesia ed al suo uomo Kohl. Si è guardato e si guarda al Cancelliere come al "grande uomo" che non potrà "abbandonarci al destino", non potrà "lasciarci andare sul lastrico". Una situazione in cui il proletariato non ha ancora trovato la fiducia in sé stesso e la consapevolezza che i suoi interessi si difendono e si impongono attraverso l'azione collettiva, la comune azione militante di classe. In questo pesa indubbiamente il vero e proprio rigetto "ideologico" di tutto ciò che ricorda il vecchio regime: "non vogliamo mica ritornare alla lotta di classe o addirittura alla dittatura di classe proprio ora che ce ne siamo liberati", sembrano dire quei proletari. Essi dovranno imparare che la lotta, la militanza, la dittatura di classe antiborghese, non sono gli slogan o gli orpelli ideologici con cui si mascherava il precedente regime "operaio", ma sono una necessità materiale per i salariati se non vogliono soccombere sotto la reale dittatura di classe esercitata dalla borghesia. Queste sono lezioni che la classe operaia (re)imparerà solamente alla dura scuola del moderno capitalismo reale; resta il fatto della sua odierna situazione indubbiamente penosa e deprimente, se pensiamo ad esempio che zone ad alta densità proletaria e di antica tradizione rossa, nelle quali il nostro movimento ha le radici più profonde, come quelle di Lipsia, di Halle, di Chemnitz, hanno a più riprese plebiscitato il Cancelliere Kohl.
E' evidente che sotto l'incalzare del la riorganizzazione capitalistica questa situazione dovrà mutare e ciò vale anche per la situazione di preoccupata attesa del proletariato tedesco-occidentale. Un bivio si trova immediatamente davanti al proletariato tedesco-orientale, e con esso in realtà davanti a tutto il proletariato tedesco: o esso saprà ritrovare e riscoprire la fiducia e la forza nella propria azione collettiva, sia pure inizialmente attraverso movimenti di lotta parziali, di categoria e non andando al di là di un riformismo reclamante più -giustizia sociale", più controllo da parte operaia o magari sacrifici equalmente distribuiti, ma facendo comunque un passo verso l'affasciamento dei suoi interessi e dei suoi destini divergenti e distinti dall' "interesse generale" di "tutti cittadini", e potrà con questo movimento trovare una rispondenza da parte del proletariato tedesco-occidentale; oppure vi sarà la rotta, il "si salvi chi può" in un quadro di concorrenza generalizzata che non tarderà, come un'onda di piena, a tracimare ad Ovest e che porterà con sé, in una situazione di acuta incertezza sociale, lo spargersi dei più orribili movimenti ed ideologie agenti su una massa disperata che ha smarrito ogni riferimento di classe.
Lo stesso esito elettorale del 2 dicembre segnala l'emergere del duro aut-aut economico e sociale. Le "tematiche verdi", care allo stesso capo dell'SPD Oskar Lafontaine che gli attiravano le simpatie di un certo ambiente giovanile piccolo-borghese, tematiche proprie di un'affluent society dove pareva che il problema essenziale, oltre all'ambiente, fosse quello di come impegnare il tempo libero grazie all'introduzione della nuova tecnologia dell'epoca post-industriale, sono state repentinamente emarginate e sostituite dal "vecchio" problema dei problemi: questione della difesa del livello di vita e del lavoro - per gli uni -, della redditività dei propri investimenti per gli altri, per la massa anche medio-piccolo borghese. In un tratto sono evaporate così tutte le chiacchiere ed i sogni sui "modelli alternativi di sviluppo", la società tutta, cioè tutte le classi sociali che la compongono, si ritrova davanti al vecchio maledetto bivio: o capitalismo, addolcito quanto si vuole, oppure il suo ribaltamento e superamento cioè il socialismo.
Un primo passo nella direzione positiva è venuto ad Est con lo sciopero compatto di tutti i 260 mila ferrovieri delle vecchie "Reichsbahn" contro il piano di ristrutturazione, che dovrebbe comportare il licenziamento di 50 mila lavoratori e per l'adeguamento del salario vicino al livello dei colleghi occidentali. L'azione collettiva dei ferrovieri tedesco-orientali, la cui lotta dovrà fare d'esempio e da battistrada per gli altri proletari, ha portato alla sospensione dei provvedimenti di ristrutturazione. "Temporanea sospensione" ha ringhiato il capitale, ma per intanto la dimostrazione di forza ha pagato.
Dobbiamo tuttavia avere piena coscienza dell'enorme pressione esercitata dalla borghesia sulla classe operaia tedesca e di come possano essere decisivi e provvidenziali fattori esterni alla Germania che aiutino ad alleviare quella pressione ed a rendere meno accidentata la strada dell'unificazione del proletariato nel centro dell'Europa. Non per fare inutili congetture circa possibili futuri sviluppi, ma per evidenziare e dimensionare all'effettivo livello internazionale lo scontro di classe in atto in Germania pensiamo a quanto esso cambierebbe in termini oggettivi e soggettivi se scenario positivo - la classe operaia polacca, ad esempio, trovasse la forza di resistere all'attacco del capitale costringendo i boss di Francoforte e Berlino a rivedere i loro calcoli od ancora, dall'altra parte del globo, se il collasso prendesse decisamente l'economia USA e lì si aprisse una crisi sociale vera e propria…
Abbiamo affermato: con l'operazione di annessione la borghesia tedesca ha dichiarato guerra alla classe operaia internazionale. Ebbene a questa sfida non si può sfuggire, come non si è potuto far tornare all'indietro la storia attestandosi in una reazionaria difesa della RDT. Essa va raccolta per quello che è. La classe operaia internazionale, cosciente o no alla partenza nulla importa, è costretta a raccogliere questa sfida. La guerra di classe di Berlino si riverbera, si combatte e si decide in effetti anche a Milano come a Varsavia, a Parigi come a New York.
[1] Dalla lettera di S. Hussein al parlamento irakeno in occasione dei rilascio degli ostaggi tedeschi (la Repubblica, del 21-11-90).
[2] Del completo smarrimento dell'estrema sinistra avevamo accennato nel Che Fare n. 18. Molti dei gruppi di questa arca hanno finito per appoggiare nelle elezioni del 2 dicembre il PDS, l'ex SED tedesco‑orientale rinnovata con forti dosi di "democrazia", una formazione che tenta di proporsi come una versione "dura", "radicale" di socialdemocrazia. E' probabile che gli operai che ancora vi aderiscono finiscano per trovare più realista organizzarsi intorno alla schietta socialdemocrazia; non pensiamo cioè che questa formazione ibrida possa avere un futuro. Nell'ambito dell' "estrema sinistra" e delle amenità che essa ha sciorinato sulla "questione tedesca", la palma del grottesco ci sembra di potere attribuire alla IV Internazionale che per orrore del formarsi della Grande Germania è arrivata a "proporre" (si fa per dire naturalmente) l'alternativa: "Grande Germania o Mitteleuropea" (Cfr. Bandiera Rossa, n. 2/90) con grande simpatia per "l'ampia entità Mitteleuropea, cosmopolita e policentrica"…
[3] L'Ig Metall, colonna portante del DGB, il sindacato unitario tedesco, è la forza dello schieramento politico-sindacale di sinistra che più chiaramente si è espressa contro l'annessione: "Avremmo preferito che i due Stati tedeschi crescessero insieme in un graduale processo di riunificazione", dirà il suo leader al congresso del maggio '90, ed è quella più decisa nel tentare di contrastare il capitale nella sua riorganizzazione. E' vero che per tradizione il sindacato metalmeccanico è stato sempre più a sinistra della stessa SPD; riteniamo, però, che questa presa di posizione dell'Ig Metall sia determinata dalla coscienza di rappresentare il principale bersaglio dell'operazione di annessione della RDT.
[4] Così scrive Ottaviano Del Turco nel suo intervento su l'Avanti della domenica del 17-6-90.
[5] Per dare l'idea dell'entità dell'investimento, si pensi che questi 1000 e passa miliardi di marchi sono all'incirca la metà dell'intero debito dei paesi del Sud del mondo.
[6] Da Germania Oggi, 1955 (pubblicazione ufficiale a cura dei governo della RFT).
[7] Ritorna alla mente lo scenario descritto nel 1957 da Bordiga come epicentro rivoluzionario: "Può azzardarsi uno schema della rivoluzione internazionale futura? La sua area centrale sarà quella che risponde con una potente ripresa di forze produttive alla rovina della 2a guerra mondiale, e soprattutto la Germania, compresa quella dell'Est, la Polonia, la Cecoslovacchia. L'insurrezione proletaria che seguirà l'espropriazione ferocissima di tutti i possessori di capitale popolarizzato, dovrebbe avere il suo epicentro tra Berlino ed il Reno e presto attrarre il nord d'Italia e il nord-est della Francia…
[8] L'Avanti! della domenica del 7-10-90 fornisce il provvisorio bilancio del lavoro di vaglio della Treuhand: "Su ottomila casi, (ne) ha potuto prendere in considerazione solo duecento, e la conclusione della trattativa si è potuta avere solo per una ventina".