Sui contratti… e oltre
Smentendo nei fatti chi, da parte sindacale, pensava a una tornata contrattuale tutto sommato tranquilla, l'atteggiamento dei capitalisti italiani, al contrario, ha mostrato che questi contratti volevano essere un passaggio importante dell'attacco complessivo alle condizioni operaie. La peggiorata situazione dell'economia mondiale pone il proletariato al centro di un attacco duro e concentrico da parte di padroni e governo. Di fronte a ciò è necessario che la classe operaia comprenda la portata complessiva dello scontro, lottando per la difesa intransigente dei proprii interessi di classe scissi e contrapposti a quelli del capitale. Nel far ciò il proletariato dovrà fare i conti con una politica sindacale sempre più sottomessa alle "supreme" esigenze dell'economia nazionale.
Lo scontro dunque c'è stato: lo hanno voluto i padroni; lo hanno accettato gli operai; i sindacati hanno fatto di tutto per contenerlo, evitando una reale unificazione delle lotte e impedendo che esse assumessero una valenza generale contro la Confindustria, contro i sacrifici, contro il governo.
Dopo quasi cento ore di sciopero la vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, iniziata il 12 marzo 1989 con l'invio della piattaforma Fiom-Fim-Uilm alla Federmeccanica, si è conclusa il 14 dicembre con la firma dell' "ipotesi di accordo". Vediamo cosa prevede l'intesa:
I risultati, come si vede, sono più che modesti (e se lo ammettono i vertici sindacali… non c'è da dubitarne). Gli aumenti salariali scaglionati (anche tenuto conto della moratoria salariale per la contrattazione integrativa) non serviranno neppure a coprire l'inflazione reale, la riduzione d'orario strappata è meno che simbolica; inoltre la "clausola di armonizzazione" vale a rimettere in discussione anche queste risicate acquisizioni, mirando a legare sempre più la contrattazione all'andamento dell'impresa e alle richieste padronali di flessibilità. Si capisce allora come l'esito dei rinnovi abbia lasciato insoddisfatta e critica la classe operaia, tanto più se rapportato al potenziale di lotta espresso negli ultimi mesi e alle prospettive riposte in questa vertenza, che avrebbe dovuto permettere un primo recupero sul terreno salariale e nelle condizioni di lavoro.
Un dato positivo emerge dunque con forza da questo rinnovo contrattuale: di fronte all'offensiva padronale la classe operaia non è rimasta inerte e passiva ma è scesa in campo, ha lottato, ha sostenuto un buon livello di mobilitazione (soprattutto in alcune zone). La riuscita degli scioperi, l'alta partecipazione alle manifestazioni di piazza, la forte presenza dei giovani, le reazioni spontanee alla presentazione della "mediazione" di Donat Cattin e dopo la rottura delle trattative con cortei, blocchi stradali e ferroviari; tutto ciò testimonia della ripresa dell'iniziativa operaia e della sua disponibilità alla lotta. Quanto più si manifestava l'intransigenza padronale, tanto più la classe operaia ha fatto sentire la propria voce attraverso una mobilitazione reale, sentendo la propria scesa in campo come condizione necessaria per porre un alt all'offensiva capitalistica… e un argine alla linea dei cedimenti sindacali. E se qualcosa si è ottenuto, è solo grazie a questo rinnovato protagonismo che - in qualche modo - ha arginato il dilagare dell'assalto padronale.
Accanto a questo elemento positivo sono però venuti alla luce una condizione di relativa disorganizzazione in fabbrica e un certo disorientamento. Disorganizzazione e disorientamento che discendono da difficoltà reali in riferimento alla situazione internazionale (in primis i riflessi non certo galvanizzanti del "socialismo reale") e nazionale ("svolta del Pci" e, di riflesso, della Cgil nel mentre si accentua l'offensiva capitalistica).
Proprio per questo il proletariato e le sue avanguardie sono chiamati ad un serio bilancio di questa tornata contrattuale: degli obiettivi del padronato, del reali significato dell'operato del governo, dell'inadeguatezza della linea sindacale per una risposta efficace all'attacco capitalistico ed una ripresa dell'iniziativa di classe. Solo un bilancio di questo tipo potrà permettere di apprestare un terreno di difesa reale degli interessi proletari - in quanto scissi e contrapposti a quelli del capitale - in vista degli ulteriori, e già presenti, passaggi dello scontro.
Forte dei successi economici riportati negli ultimi anni grazie all'accresciuto sfruttamento della forza lavoro interna combinato con l'accentuarsi dell'opera di rapina ai paesi del Sud del mondo, il padronato nostrano era consapevole di come tali risultati non fossero acquisiti una volta per tutte. La "crisi del Golfo" conferma e acuisce le difficoltà del capitale a livello internazionale. La fine della possibilità di disporre di petrolio a basso costo - fattore niente affatto secondario nella ripresa degli anni '80 - si innesta su una base strutturalmente debole e rappresenta un'ulteriore ed esplosiva contraddizione nell'economia mondiale. La crisi capitalistica, scaricata e fatta duramente pagare alle sterminate masse del Sud del mondo, comincia a ritornare nelle cittadelle imperialiste. Questa situazione determina per i padroni la necessità di attrezzarsi rispetto alle difficoltà presenti e a venire.
E' a partire da questo quadro e da queste necessità che va letta l'intera vicenda contrattuale ed è possibile comprendere appieno le posizioni padronali rispetto ai futuri nodi della crisi. Questa tornata contrattuale è stata caratterizzata dall'intransigenza di un padronato compattamente determinato a fare di questi contratti un passaggio importante nell'attacco complessivo alla condizione operaia. Il vero obiettivo della Confindustria non era affatto l'eliminazione del sindacato come soggetto contrattuale. Lo scopo era quello di ottenere il massimo risultato sul terreno economico, concedendo il meno possibile alle richieste sindacali; e al contempo raggiungere un obiettivo più propriamente politico: ottenere da parte sindacale il più pieno riconoscimento delle "supreme necessità dell'economia nazionale". Nel mentre la concorrenza internazionale si acuisce, gli interessi operai devono essere sottomessi totalmente alle esigenze di compatibilità e produttività del capitale. Mortillaro è stato chiaro al riguardo: "D'ora in poi le piattaforme sindacali dovranno tener conto del pieno rispetto delle compatibilità".
Questo è stato fin dall'inizio il piano confindustriale per la stagione contrattuale. Dall'accordo del 25 gennaio sul rispetto delle esigenze di competitività del sistema-Italia in sede di rinnovo dei contratti, alla disdetta della scala mobile (al fine di ricevere dai sindacati la garanzia certa di una trattativa sulla ristrutturazione del salario e sulla revisione della scala mobile con l'accordo del 6 luglio), fino alla conclusione del contratto dei metalmeccanici, si è puntato ad ottenere dalla controparte, per altro già disponibile, il riconoscimento pieno della giustezza delle richieste padronali in funzione dei vincoli imposti dalla concorrenza internazionale.
E non è un caso che da parte padronale l'attacco frontale nei confronti della classe operaia vada insieme a tentativi di coinvolgimento dei sindacati nell'ottica di una loro funzione sempre più collaborativa, "alla tedesca", quale controparte istituzionalmente riconosciuta. E' quanto è emerso dagli accenni di Annibaldi sulla possibile presenza del sindacato nei consigli di amministrazione delle aziende o dall'operazione Fiat sulla "qualità totale" che, lungi dall'essere una forma "nuova" di ristrutturazione dell'organizzazione del lavoro, mira a velare l'attacco in fabbrica dietro il coinvolgimento politico del sindacato e, per suo tramite, dei lavoratori nel riconoscimento delle esigenze aziendali di competitività e produttività; o ancora la costituzione del "comitato paritetico" azienda-sindacati alla Fiat sui problemi occupazionali e sulla Cig.
Che a questi principio debbano essere ormai informate le "nuove e moderne" relazioni industriali viene sancito in modo inequivoco dall'impegno assunto dai sindacati alla trattativa prevista per giugno prossimo sulla "riforma del salario e della contrattazione". Ciò a cui si punta da parte padronale è una ridefinizione complessiva della struttura del salario nel senso dell'eliminazione di ogni automatismo e rigidità atti a salva guardare il livello di vita operaio. Dopo essere riusciti ad introdurre - con l'avallo dei sindacati - in occasione dell'ultima tornata contrattuale integrativa meccanismi che legano una parte del salario allo "stato di salute" dell'azienda, si tratta ora di estendere il campo d'applicazione di questi principi. Una parte sempre maggiore delle retribuzioni deve esse re legata direttamente al mercato, ovvero elargita secondo "meriti di professionalità" (leggi: produttività ovvero sfruttamento). L'eliminazione della scala mobile rientra nel piano di progressivo restringimento dagli spazi coperti degli automatismi salariali: al loro posto dovrebbe subentrare, al di là delle diverse ipotesi, un salario minimo che copra solo parte delle retribuzioni e lasci quindi ampi margini di manovra in quest'operazione di "flessibilizzazione" e "diversificazione" del salario. Tutto ciò ha come risvolto politico un attacco all'unità della classe operaia - tra settori, aziende e all'interno della medesima azienda - e alla sua organizzazione sui luoghi di lavoro: dividere il potenziale fronte unitario di classe innanzi tutto sul piano salariale diventa una condizione previa per poter attaccare in maniera ancor più rilevante che non oggi il complesso delle condizioni di vita del proletariato, compresa la massa globale del salario.
Con la sua posizione di estrema chiusura e intransigenza, la Confindustria ha mirato a che certezza dei costi per poter affrontare senza "sorprese" il terreno della concorrenza e stretto legame tra salari e andamento del mercato diventassero, insieme, l'asse centrale intorno al quale far ruotare la nuova struttura della contrattazione ai suoi diversi livelli. L'attacco padronale non mette in gioco la contrattazione in sé -neanche quella aziendale - bensì mira a farne un veicolo della flessibilizzazione totale del salario rispetto alle compatibilità economiche nazionali e aziendali. "Meno automatismi, più contrattazione" suona oramai lo slogan anche della Confindustria. La centralizzazione delle vertenze è tale nel senso della garanzia del rispetto di quelle compatibilità, ma non esclude affatto dei margini ad esempio per la definizione di quote di salario a livello aziendale in funzione esclusivamente della redditività e della produttività.
Si accompagna a tutto ciò la richiesta presentata al governo di uno sgravio strutturale e significativo degli oneri sociali a carico delle imprese e, più in generale, di una riforma dei contributi a carico del salario.
Questa strategia ha trovato da ultimo un immediato riscontro nella vicenda degli investimenti Fiat al sud per i due stabilimenti di Melfi e Avellino. Le ragioni della scelta stanno tutte nelle condizioni di massima flessibilità e produttività cui l'azienda -con il beneplacito dei sindacati- potrà sottoporre i lavoratori: tre turni per sei giorni (con deroga al divieto di lavoro notturno per le donne), una forza lavoro accuratamente scelta tra disoccupati privi di tradizioni di lotta, con un sindacato l'entrato nella logica delle compatibilità" (Magnabosco a la Repubblica dell' 1/12/90) a garantire questo "scambio " occupazioneflessibilità - oltre, naturalmente, ai finanziamenti pubblici che per buona parte copriranno gli investimenti. Senza dimenticare che tale operazione è parte integrante del progetto di ridimensionamento delle concentrazioni operaie più combattive (vedi Alfa di Arese, definita da Magnabosco la "Beirut operaia").
Nel governo Andreotti-Martelli il padronato ha trovato un valido alfiere capace di svolgere la propria parte nell'attacco a fondo alla classe operaia in difesa degli interessi complessivi del capitale italiano. Nel corso della trattativa contrattuale esso ha mirato a giocare il ruolo di mediatore "super partes": preoccupato per il possibile riemergere del conflitto operaio, ma al contempo schierato a difesa delle richieste padronali, ha operato a coinvolgere i sindacati limando gli aspetti più provocatori della posizione confindustriale. Si è così fatto, prima, garante dell'accordo del 6 luglio che sancisce l'impegno per una trattativa sulla ristrutturazione del salario, la revisione della scala mobile e un'ulteriore fiscalizzazione degli oneri sociali per 3.000 miliardi in due anni con garanzia di una loro riduzione "significativa e stabile". L'intervento del governo ha, poi, assunto un carattere decisivo via via che la trattativa sul rinnovo del contratto registrava un'impasse. Il ministro del lavoro Donat Cattin ha offerto la propria mediazione -"decisiva" per sbloccare la situazione di stallo e per chiudere infine il contratto- in cambio di un coinvolgimento dei sindacati sulla politica governativa. Quindi non certo un intervento al di sopra delle parti o addirittura filo operaio -come da parte sindacale si è tentato di presentare- ma un tentativo (riuscito!) di ottenere il silenzio-assenso di Cgil, Cisl, Uil sulle scelte governative e mantenere la pace sociale a tutto vantaggio dell' "azienda Italia". Un obiettivo questo tanto più rilevante oggi che la situazione internazionale - caratterizzata dai venti di recessione e dall'attacco alle masse mediorientali richiede una qualche forma di consenso o, per lo meno, di non aperta ostilità da parte operaia alla politica del "comitato d'affari della borghesia". In questo senso è estremamente esplicativo l'intervento di Craxi - uno dei più inflessibili rappresentanti della borghesia italiana rispetto alla guerra del Golfo - di ritrovata (e quanto falsa!) vocazione pro operaia nel richiedere "la più grande responsabilità, pensando in primo luogo ai lavoratori e alle loro famiglie" (!!!).
Da questo punto di vista la stessa Finanziaria '91 è sapientemente congegnata: mentre rappresenta un duro attacco alle condizioni di vita proletarie (tagli e tasse per 49.000 miliardi, aumenti delle tariffe, (contro) riforma del sistema pensionistico…, dall'altro lato introduce misure quali la tassazione sui capital-gains che, seppur di più che modesta portata, hanno il precipuo scopo di "ingraziarsi i sindacati" (Formica) fornendo una parvenza di contropartita a fronte dei sacrifici, veri, richiesti al proletariato.
Le posizioni assunte dai vertici sindacali durante la tornata contrattuale sono più che mai espressione di una politica sindacale che non è mai stata - né potrebbe esserlo - di contrapposizione complessiva al progetto di padroni e governo, bensì di subordinazione alle esigenze dell'economia nazionale e di rispetto della pace sociale. Il sindacato si è apprestato ai rinnovi contrattuali con piattaforme modeste, oltretutto condizionate dall'accordo interconfederale del 25 gennaio che contemplava il principio del contenimento del costo del lavoro da salvaguardare in sede di trattativa. I vertici di categoria hanno considerato nella sostanza irricevibili le richieste operaie di modifica alle piattaforme, così come emerse nelle pur frettolose e male organizzate consultazioni in fabbrica, e hanno condotto la mobilitazione e la lotta mantenendole all'interno di una sostanziale non messa in discussione della tregua sociale, guardandosi bene dal chiamare in campo il potenziale unitario di lotta dei lavoratori su obiettivi di difesa intransigente della condizioni operaie.
Su queste basi, alla totale chiusura opposta dalla Federmeccanica dall'inizio della trattativa, non ha fatto riscontro una altrettanto ferma risposta da parte sindacale, anzi le notevoli disponibilità mostrate in questi mesi su salario, orario, integrativi ecc… hanno portato ad un non irrilevante indietreggiamento del sindacato dalle posizioni iniziali già di per sé insoddisfacenti .
Così pure di fronte alla Finanziaria i dirigenti sindacali (con sfumature differenti) si sono limitati ad una blanda contestazione della manovra economica presentata dal governo definendola "discutibile" - e sotto certi aspetti finanche "apprezzabile" (!) - ed evitando accuratamente di promuovere iniziative di lotta. Del pari, all'annuncio da parte della Fiat della cassa integrazione, il sindacato ha immediatamente accettato tale richiesta vedendola non come un attacco alla classe operaia (ai suoi livelli occupazionali e alla sua forza contrattuale), ma come un semplice mezzo per "stabilizzare un trend negativo del mercato" e minimizzandone la portata. Quanto però fosse lungimirante il calcolo dei sindacati è mostrato dal successivo raddoppio dei cassintegrati e dalle prospettive di un uso ben più massiccio di tale strumento per i mesi a venire. In seguito, in occasione del prospettato taglio di 7.000 posti di lavoro all'Olivetti il sindacato ha assunto una posizione improntata al dialogo: "nessun dramma e relazioni sindacali avanzate" (Cofferati). Sempre più esplicitamente il sindacato fa propria dunque la logica del mercato, il che nei periodi di crisi significa accettarne tutte le conseguenze a carico della classe operaia. Così. anziché rilanciare la battaglia generale in difesa degli interessi autonomi del proletariato, si considerano inevitabili gli esuberi! Infine, di fronte al ricatto Fiat per gli investimenti al Sud, si è lasciata all'azienda mano libera nell'utilizzo della forza lavoro, aderendo in pieno alle condizioni poste dal padronato in nome di un "ruolo partecipativo" del sindacato alle scelte aziendali. Episodio questo estremamente significativo che ha visto la decisa e perentoria scesa in campo dei vertici per affermare inequivocabilmente quella che è la "moderna" strategia sindacale rispetto alle sempre più esigenti richieste padronali.
Passaggio importante all'interno di questa linea di… cedimenti è senz'altro rappresentato dalla disponibilità alla revisione della struttura del salario e del meccanismo della scala mobile, così da stabilire un rapporto nuovo tra salario contrattato e salario indicizzato a tutto favore - s'intende - del primo. In tal modo si accetta - un passo oltre la linea delle compatibilità - la logica della completa sottomissione delle condizioni operaie all'andamento del mercato, cui la forza lavoro deve essere flessibilizzata per permettere all'azienda di reggere la sempre più aspra concorrenza. Che cosa significa infatti ampliare la parte contrattata del salario?
Se scorriamo le ipotesi di Cgil, Cisl e Uil sulle possibili nuove forme di salario, vediamo come ad un salario minimo (circa sei-settecentomila lire che andrebbero a sostituire la parte rappresentata dalla scala mobile) e ad un salario professionale concordato a livello di contratti nazionali di categoria si dovrebbe aggiungere -elemento "nuovo" della futura struttura- una quota di salario da definire a livello aziendale, legato esclusivamente a criteri di redditività dell'azienda e di produttività del lavoro. "Vogliamo che i lavoratori vengano pagati di più (!?) e meglio (!?). Vale a dire, meno salario automatico. Il salario deve essere legato alla produttività ed alla professionalità" (Benvenuto a la Stampa del 2/1/91). Ciò si risolve immediatamente in un elemento di divisione tra i lavoratori e in un attacco alla massa globale del salario. L questo il vero contenuto delle "nuove relazioni industriali" che, nella visione del sindacato, dovrebbero garantire la sua compartecipazione a quelle scelte aziendali che mirano a legare i lavoratori ai destini del mercato, smantellando ogni automatismo dalla loro busta paga.
In questo quadro Cisl e Uil si caratterizzano come portatrici in prima persona di una linea apertamente filo padronale che prevede il completo assenso allo smantellamento delle residue rigidità operaie (salariali, normative, organizzative).
Da parte sua la Cgil, accentuando la subordinazione della propria politica ai vincoli posti dalla concorrenza internazionale, si trova vieppiù nella impossibilità e incapacità di proseguire - tanto più di fronte ai nuovi sviluppi, non certo rosei, dell'economia mondiale - nella politica di conciliazione fra esigenze dell'economia nazionale e difesa, al suo interno, delle condizioni operaie. La vicenda del cosiddetto autoscioglimento della componente Pci è espressione e, al contempo, risposta a tale difficoltà. La proposta di Trentin è la registrazione sul piano della struttura interna della trasformazione in atto nella linea sindacale quanto a contenuti e programma. Non devono ingannare le preoccupazioni espresse dalla componente Psi, che anzi vede finalmente concretizzarsi le auspicate trasformazioni: liquidazione del "vecchio" sindacalismo conflittuale a favore di un sindacato "moderno" e partecipativo (è necessario dire rispetto a che cosa?), dove lo strumento della lotta dovrebbe lasciare il posto ad un dialogo "responsabile" con governo e controparti sul terreno della riesumata politica dei redditi. Una prospettiva sulla quale, comunque, i socialisti vogliono mantenere, e anzi rafforzare, la propria influenza. Ciò a cui stiamo assistendo è un'operazione che da tiri lato rispecchia in campo sindacale la "svolta" di Occhetto e del nuovo Pds, dall'altro conferma il ruolo sempre maggiore della componente socialista (per ultimo vedi il rinvio all'autunno prossimo del congresso).
Quanto inconsistente sia l'attuale opposizione interna alla Cgil d'altra parte lo dimostra il fatto che essa ha preteso di vedere in tale operazione un passaggio in direzione di una maggiore democrazia sindacale. Se non fossero,bastate le immediate precisazioni di Trentin (un NO netto al principio "una testa un voto" sbandierato da Bertinotti & Co.), si rifletta su uno degli ultimi episodi nella vita interna del sindacato: la sospensione dall'esecutivo Fiom-Mirafiori di due delegati rei di aver criticato, in un manifesto, la gestione sindacale della vertenza contrattuale e del rapporto con i lavoratori. Ciò conferma come ogni ulteriore passaggio sulla linea dell'accettazione delle compatibilità capitalistiche, in contrapposizione ad una reale difesa degli interessi di classe, non può non accompagnarsi ad una chiusura sempre maggiore nei confronti delle aspettative e delle richieste della base. Altro che democrazia sindacale, bensì una reale blindatura del sindacato verso tutto ciò che mette in discussione la sua linea.
Il quadro che il proletariato si trova di fronte è denso di minacce tanto più oggi che la fase di "ripresa" dei paesi imperialisti occidentali segna il passo. Agnelli, e con lui tutto il padronato e il governo, si è affrettato a dichiarare che "la festa è finita" (pei i padroni naturalmente, ché per i proletari non è mai cominciata). E' ancora una volta sul proletariato che si vogliono scaricare i costi delle accresciute difficoltà economiche; è ancora esso che deve sobbarcarsi il peso della tenuta e della competitività nazionale all'interno di un contesto internazionale di concorrenza sempre più aspra; è ancora una volta sulle sue spalle che si vorranno far ricadere i costi economici e politici dell'impresa militare nel Golfo. Infatti, mentre la borghesia qui in occidente peggiora le condizioni di vita del proletariato, è al contempo impegnata in armi contro la sollevazione delle masse supersfruttate in Medio Oriente. Ma la guerra del Golfo è conti o queste masse e, allo stesso tempo, anche contro il proletariato occidentale. per ribadire il dominio del capitale e del profitto a scala mondiale.
L'offensiva padronal-governativa è dura e concentrica. Lo scontro non è stato solo sul rinnovo contrattuale, bensì entra in gioco un attacco complessivo ai lavoratori, alle loro condizioni di vita e di lavoro come alla loro autonomia di classe: 70.000 in Cig alla Fiat, Cig e licenziamenti in molte piccole e medie aziende, 2.500 Cig all'Olivetti con la prospettiva di prepensionamenti, continuo peggioramento delle condizioni di lavoro. E poi la (contro) riforma della struttura del salario e della contrattazione che mira all'eliminazione di ogni residua "rigidità" operaia a favore della completa flessibilizzazione della forza lavoro secondo le esigenze del mercato. Infine, i nuovi sacrifici che il governo si prepara a chiedere (vedi le dichiarazioni di Ciampi), prospettando una politica severa… verso il proletariato.
Di fronte a ciò si tratta allora di mantenere e rafforzare il livello di mobilitazione raggiunto nella lotta per il contratto e di unificare tutte le forze proletarie in vista dei prossimi passaggi dell'attacco capitalista.
Se il contratto è chiuso, lo scontro di classe rimane aperto!
E' dunque essenziale che la classe operaia comprenda la portata globale dello scontro in atto e che maturi ed esprima una linea di contrapposizione complessiva all'offensiva capitalistica: difesa intransigente del salario e delle condizioni di vita e di lavoro, lotta e conflittualità come uniche armi a disposizione dei lavoratori per imporre i propri interessi scissi e contrapposti a quelli del capitale, discussione e organizzazione nei posti di lavoro fra le avanguardie e i settori più coscienti e combattivi come strumenti indispensabili per un ritorno in campo, da protagonisti, dei lavoratori.
Solo in questo modo il mugugno e l'insoddisfazione di grati parte della massa operaia così come la critica alla linea sindacale nei suoi reparti più coscienti -anziché risolversi in sfiducia o frammentazione del fronte unitaria di classe - possono costituire la base per il ritorno in campo della classe operaia nei passaggi a venire dello scontro.
La chiara definizione degli assi di un programma di classe, la ricerca sistematica dell'unità del proletariato (in senso contrapposto all'unità dei vertici sindacali), la ricostruzione del tessuto organizzativo unitamente alla battaglia politica per la democrazia sindacale sono i tre aspetti inscindibili di un'unica battaglia per la ripresa del movimento di classe e la difesa non condizionata dei propri interessi.