La società capitalistica è la più complessa società mai esistita e la più ricca di mistificazioni.
Conoscerla per rovesciarla è possibile solo a condizioni molto precise.
La prima sta nella piena assunzione della teoria marxista, che -unica- va al fondo dei vigenti rapporti sociali e traccia
la via del loro rivoluzionamento in direzione del comunismo.
Questa teoria non trova spazio né nelle scuole, né nelle chiese, né in TV, né
nel movimento "operaio" riformista, se non per esservi denigrata,
stravolta, data incessantemente come "in fin di vita" dai borghesi
ossessionati dalla sua vitalità.
Dobbiamo quindi farla nostra "da soli". Questa rubrica fissa nel
nostro giornale si prefigge di guidare i lettori in tale studio. E’ solo per i
principianti? No; è anche per quel che credono di sapere e non sanno.
Classici del marxismo
"Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell'uomo e quindi come reale appropriazione dell'essenza dell'uomo mediante l'uomo e per l'uomo; perciò come ritorno dell'uomo per sé, dell'uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico fino ad oggi. Questo comunismo si identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l'umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, la vera risoluzione della contesa tra l'esistenza e l'essenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie. È la soluzione dell'enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione...
"La soppressione positiva della proprietà privata, in quanto appropriazione della vita umana, è dunque la soppressione positiva di ogni estraniazione, e quindi il ritorno dell'uomo, dalla religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc., alla sua esistenza umana, cioè sociale...
"L'essenza umana della natura esiste soltanto per l'uomo sociale, infatti soltanto qui (nel comunismo - ndr) la natura esiste per l'uomo come vincolo con l'uomo, come esistenza di lui per l'altro e dell'altro per lui, e così pure come elemento vitale della realtà umana, soltanto qui essa esiste come fondamento della sua propria esistenza umana. Soltanto qui (id.) l'esistenza naturale dell'uomo è diventata per l'uomo esistenza umana, la natura è diventata uomo. Dunque la società (comunista - ndr) è l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanismo compiuto dalla natura".
(K. Marx, "Manoscritti economico-filosofici del 1844", Ed. Einaudi, p. 111-113)
Chi ha un'idea pur approssimativa di quanto vasta è la produzione di Marx e degli altri teorici del marxismo, può immaginare in quale "embarras des richesses" ci troviamo davanti alla scelta del "classico" di cui parlare.
Per nostra fortuna questa volta ci sono venuti incontro gli ideologi verdi, saliti alla ribalta dell'attualità anche nella tardiva Italia.
Due di loro, tali Casti e Schutz, imputando al marxismo una scarsa attenzione ai problemi dell'ambiente, scrivono ("SE", novembre '84): "Lo stesso Marx nella sua teoria del valore scavalcò l'ostacolo, non assegnando alcun valore alle risorse ed all'ambiente naturale in se stessi, concentrando la sua attenzione sulla forza-lavoro come fattore determinate del valore delle merci e come motore dell'intera economia capitalistica, attraverso l'estrazione di plusvalore. Questo "peccato originale" dell'elaborazione marxiana...", e cosi via strolongando.
Occupiamoci prima del salto dell'ostacolo, vedremo dopo se c'è un peccato originale.
Esperti ignoranti, aprire bene le orecchie: "Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che è esso stesso soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza lavoro umana". Siamo alle battute iniziali della "Critica al programma di Gotha"; per i nostri contraddittori non potrebbe esservi smentita più bruciante.
La natura è, per Marx, madre della ricchezza almeno quanto il lavoro, che è, del resto, espressione di una forza naturale. La natura, però, ci dà valori d'uso, che assumono rilevanza nella società del capitale solo in quanto sono suscettibili di trasformarsi in valori di scambio, in merci. Questa trasformazione avviene – e non certo perché così piaccia a Marx – attraverso l’impiego della forza-lavoro umana da parte del capitale.
Nella attuale società una parte degli uomini, la classe capitalistica, si è appropriata della natura e la tratta come cosa che gli appartiene, costringendo altri uomini, che non posseggono nulla se non le proprie braccia, ad essere schiavi della classe che si è appropriata le condizioni materiali del lavoro. Gli uni possono lavorare solo con il permesso degli altri, vivere con i1 loro permesso. I prodotti di questa combinazione, trasformati o semplicemente curati e raccolti, entrano nel mondo dello scambio, circolano come capitale per valorizzare il capitale stesso, ed è in questo mondo (non nella testa di Marx…) che la loro origine naturale, la loro origine di valori d'uso diviene del tutto trascurabile.
La natura e l'ambiente hanno, perciò, il loro valore. Marx lo mette in luce, dimostrando al contempo che è il modo capitalistico di produzione a snaturarli, disconoscerli, saccheggiarli o addirittura distruggerli, tutto subordinato alla sua necessità di far profitti ovunque e comunque.
È dunque vero l'esatto contrario di ciò che Casti e Schutz affermano. Sono i borghesi, non certo i marxisti, ad "attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale" (magari anche i borghesi semiriformisti come quelli che Marx contrasta nella "Critica"). È A. Smith e con lui l'economia politica borghese, non certo Marx che anzi glielo rimprovera, a "dimenticare del tutto l'elemento naturale" della produzione. Il che non avviene per caso o per sbadataggine. I borghesi, proprietari o teorici che sia no, hanno infatti interesse a presentare le condizioni sociali della produzione, ossia le condizioni capitalistiche, come qualcosa di naturale per coprire il dato di fatto, tutt'altro che naturale, che la natura stessa è stata appropriata da una parte della società a danno dell'altra e che il lavoro salariato esiste non già per un maligno scherzo della natura, ma per uno svolgimento storico-sociale che ha separato e contrapposto tra loro i produttori e le condizioni della produzione.
Ma -si dirà-
I Manoscritti sono la prima grande indagine di Marx sul lavoro operaio, sul lavoro alienato (o estraniato), sul lavoro ridotto a merce e sui rapporti di questo lavoro con i suoi prodotti, con la natura, con la specie.
"L'operaio non può produrre nulla senza la natura, senza il mondo esterno sensibile", afferma Marx, poiché questa è la materia su cui si realizza il suo lavoro, su cui il suo lavoro agisce. Ma la natura non dà all'operaio solo gli oggetti su cui applicare il suo lavoro, gli dà anche i mezzi per il suo sostentamento gli dà anche i mezzi per il suo sostentamento diretto? No, poiché l'operaio è "sotto la signoria del suo prodotto, del capitale" e lo stesso suo duplice rapporto con la natura è mediato dal capitale.
Dunque non vi è traccia nel marxismo di Marx (altra cosa è il "marxismo" dei riformisti) della presunta sottovalutazione del le risorse e dell'ambiente naturali. Vi è invece il riconoscimento che per comprendere le relazioni tra lavoro (alienato) e natura bisogna occuparsi del capitale (esattamente ciò che non fanno i verdi), che tali relazioni determina e conforma.
È proprio di Marx, dall'inizio alla fine, vedere per dir cosi in parallelo la storia dell'uomo e la storia della natura. Se la società capitalistica "svalorizza il mondo umano", si legge nei Manoscritti, non è certo a pro della valorizzazione della natura, ma del mondo delle cose, delle merci, del capitale (p. 71).
L'intera natura è "il corpo inorganico dell'uomo", con cui egli "deve stare in costante rapporto per non morire". L'uomo è quindi in connessione strettissima con la natura, di cui è "una parte" (altro che le scempiaggini sul "non assegnare alcun valore "!), senonché — e qui cascano gi asini, verdi o rosa che siano — l'esistenza del lavoro allineato (corrispettivo al capitale) fa sì che la natura si renda estranea all'uomo stesso. E gli si renda estranea perfino la specie, in quanto la specie umana stessa diviene un mezzo per la riproduzione della vita individuale.
La creazione pratica di un mondo oggettivo, "la trasformazione della natura inorganica", la riproduzione dell'intera natura trasformata, fanno dell'uomo un "essere appartenente ad una specie e dotato di coscienza". In questa attività "la natura appare come la sua opera e la sua realtà". Senonché il lavoro alienato (dietro cui sta il capitale) comporta che all'uomo, all'operaio, al proletario salariato, sia strappato l'oggetto e il risultato della sua produzione, e con ciò egli sia privato anche dell'appartenenza alla specie.
La natura viene così "sottratta" all’operaio, gli diviene estranea, ma non già per divenire sua signora. Signore ad un tempo del lavoro alienato e della natura cosificata è il capitale, padrone del lavoro, delle condizioni del lavoro e dei prodotti del lavoro. Dalla schiavitù ad esso (dalla proprietà privata) bisogna emanciparsi attraverso la emancipazione degli operai, che contiene l'emancipazione universale dell'uomo (p. 84).
E qui di seguito i Manoscritti trapassano dalla critica della società capitalistica, espressa architetto come critica del lavoro alienato (o estraniato), alla esposizione delle diverse forme del comunismo. È una esposizione che sembra scritta oggi. Sia in negativo (il comunismo rozzo) che in positivo (il comunismo scientifico). A. Bordiga se ne servì nei suoi appassionati "Commentarii dei manoscritti del 1844" (v. "Testi sul comunismo") per randellare il "comunismo" di Stalin e dei proudhoniani degli anni '50.
Ma come non vedere il fondamentalismo ecologista dietro la penetrante caratterizzazione del comunismo rozzo fatta da Marx? "Il comunismo rosso non è che il compimento di questa invidia (verso la proprietà più ricca — ndr) e di questo livellamento (id.) partendo dalla rappresentazione minima. Esso ha una misura determinata e limitata. Proprio la negazione astratta dell'intero mondo della cultura e della civiltà, il ritorno alla semplicità innaturale dell'uomo povero e senza bisogno, che non solo non è andato oltre la proprietà privata ma non vi è neppure ancora arrivato, dimostrano quanto poco questa soppressione della proprietà privata sia un'appropriazione reale" (p. 109).
Dunque, per quanto concerne il rapporto tra uomo e natura, il comunismo non ha come programma il ritorno all'uomo povero senza bisogni, ancora subalterno ad una natura peraltro non umanizzata, ma la produzione dell'uomo come essere sociale "maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi". L'individuo sociale ricco di bisogni che solo il passaggio attraverso le società divise in classi ha creato, sia pure in modo distorto e antagonistico.
Per il marxismo tutta la storia del mondo non è altro che "la generazione dell'uomo mediante il lavoro umano" (p.125). e la riproduzione/trasformazione della natura ad opera dell'uomo. Pertanto non possiamo presupporre e non presupponiamo, a differenza di altri, una natura intangibile, uno stato di natura a cui tornare, ma una natura da umanizzare. Una natura dei cui beni godere in qualità di usufruttuari "che devono amministrare da buoni padri di famiglia, al fine di trasmettere alle generazioni avvenire un bene migliorato", come dirà sempre Marx in un passaggio del "Capitale". Da ci deriva che non possiamo considerare come indebita manomissione, violenza, alterazione negativa ogni intervento umano sulla natura, ma solo quegli interventi dell'uomo che la modificano in senso contrario agli interessi della specie.
Il comunismo si pone, così, già nei Manoscritti, come quella forma di organizzazione della società che "volontariamente e scientificamente, e per la prima volta nella storia si subordinerà alla specie, ossia si organizzerà nelle forme che rispondono meglio ai fini dell'umanità avvenire" (Bordiga). Il comunismo si pone, così, come il primo modo di produzione che, poggiandosi su tutto il precedente sviluppo delle forze produttive (non assunto cosi com'è), può dare vita ad un piano di riproduzione della specie, organizzata unitariamente in una sola grande associazione produttiva. E su queste basi "riconciliare" una natura umanizzata con un uomo "naturalizzato". È a questo livello e solo a questo che, d'altronde, possono trovare soluzione i tremendi problemi creati dal saccheggio capitalistico della natura e dalla degradazione capitalistica del lavoro umano. E solo per questa via che si potrà arrivare al controllo mondiale delle risorse che qualche ecologista postula (nel vuoto magari appellandosi ai dilapidatori...). Altro che l'utopia delle piccole comunità ecologiche dove tanti piccoli "io" coltivano la propria incapacità di elevarsi al livello generale dei fini della specie. Altro che istituzioni borghesi riformate! È la dittatura Internazionale del proletariato, obbligatorio passaggio pratico... per la piena realizzazione senza limiti, e dell'uomo e della natura.
A proposito, Casti e Schutz: chi sono costoro?