PER IL PETROLIO A COSTO ZERO


"L'interesse veramente vitale degli Stati Uniti nella crisi del Kuwait è quello di assicurarsi che il Golfo sia la fonte stabile e sicura di petrolio a prezzi ragionevoli per l'Occidente industrializzato": con queste parole (comparse sulla "Washington Post" del 17 agosto) l'ex-segretario di stato americano Brzezinski dichiara senza perifrasi quale è il reale oggetto del contendere dell'attacco sferrato dalle centrali imperialiste di Occidente all'esercito degli sfruttati arabi.

Una guerra per il petrolio, dunque. L'istantaneità e la violenza della reazione occidentale sono dovute al fatto che il petrolio è, nonostante le fantasticherie di taluno sui "lunghi periodi", la materia prima strategica per eccellenza per il capitalismo mondiale. È la principale fonte energetica, indispensabile per la produzione di elettricità, per l'industria chimica, per i trasporti. Non solo: per il suo bassissimo costo e la sua struttura chimica particolarmente semplice, è diventata la materia prima base per un numero crescente e svariato di prodotti, dalla plastica ai medicinali, dai concimi ai pesticidi ai capi d'abbigliamento. L'attributo di oro nero dice tutto. Tanto più vitale (è esattissima l'espressione di Brzezinski) è per i capitalisti garantirsene lo stabile e sicuro approvvigionamento a prezzi, per le loro necessità di profitto, "ragionevoli".

Il prezzo del petrolio, per lunga pezza, è stato "ragionevolissimo", anzi stracciato. J.-M. Chevalier, un'autorità in questo campo, sostiene che per il periodo che va dal 1859 al 1970 i costi di produzione del petrolio, misurati in unità monetarie costanti, sono, come tendenza generale, diminuiti. Un pugno di grandi società anglo-americane, fortemente sostenute dai rispettivi governi e dalle grandi banche, ha monopolizzato la produzione e il mercato mondiale del petrolio a vantaggio proprio (tutt'oggi 4 delle 10 più potenti multinazionali del mondo sono società petrolifere) e dell'Occidente. Combinare alti ricavi e infimi costi di estrazione entro prezzi di vendita relativamente calanti è stato possibile, però, solo fino a quando i paesi saccheggiati, e in primo luogo quelli arabi, sono stati privi di una reale forza politica e fintantoché le "sette sorelle" non hanno impattato nei limiti tecnici e naturali, ancorché di prospettiva, della produzione di petrolio.

Per una coincidenza non certo casuale entrambe queste contraddizioni sono venute a maturazione nel decennio tra il 1970 e il 1980, contrassegnato dai due "shock" petroliferi del 1973 e del 1979 che hanno determinato un fortissimo incremento del prezzo del petrolio. Il risveglio delle masse arabe (in Egitto, in Iraq, in Algeria, in Palestina, in Libia) sollecitò la borghesia araba a recuperare un controllo per lo meno formale della risorsa petrolifera ed a ricontrattarne l'accesso all'Occidente al rialzo. A questo rialzo furono interessate per parte loro, per ragioni al fondo contrapposte (finanziare la ricerca del petrolio fuori del Medio Oriente e predisporre le condizioni per la diversificazione delle fonti di energia: che è come dire togliere l'arma del petrolio dalle mani degli sfruttati del mondo arabo-islamico), anche le grandi compagnie petrolifere. Una "convergenza" del tutto provvisoria - ci dispiace per gli amanti dei gialli - che è andata in frantumi con l'insurrezione iraniana.

Non poteva sfuggire alla borghesia imperialista che il (primo) decennio di prezzi del petrolio "ragionevoli" non per gli sfruttatori di New York e di Milano, ma per gli sfruttati di Teheran e di Algeri, aveva visto arenarsi in una doppia recessione il ciclo di sviluppo post-bellico. Né, tanto meno, che, per il principio dei vasi comunicanti, quello è stato in Europa un periodo di ampie lotte rivendicative della classe operaia e del salariato. Altrettanto bene le cancellerie occidentali sapevano che per uscire dalla crisi e ristabilire la pace sociale "qui", dovevano "riportare l'ordine" nel Golfo e ricondurre alle "ragioni" dei sovra-profitti imperialisti il prezzo del petrolio. Il grande "shock", il più tremendo per gli emiri di casa nostra, la detronizzazione per moto insurrezionale dello Scià d'Iran, ha segnato l'avvio di una controffensiva occidentale che è stata, quanto a contenuto economico immediato, una guerra per il petrolio a costo zero.

Una guerra ininterrotta, di cui ci limitiamo a nominare soltanto i passaggi: boicottaggio economico verso l'Iran khomeinista considerata la punta di lancia della politica degli alti prezzi del greggio; attizzamento della guerra reazionaria tra Iran e Iraq, sia per deviare e schiacciare l'insorgenza rivoluzionaria degli sfruttati d'Iran che per far dissanguare gli unici possibili punti di riferimento di un'OPEC non prona verso il capitale imperialista; conseguente dissesto dell'OPEC; riarmo accelerato e presa sotto strettissima tutela delle putrescenti monarchie petrolifere; immissione sul mercato mondiale di nuova produzione non-OPEC. I risultati concreti non sono mancati: a metà anni '80 il prezzo del petrolio è ridisceso, dai circa 40 dollari al barile (pari a 158,98 litri) del 1980 a un livello oscillante intorno ai 25 dollari. L'economia occidentale ne risente positivamente, ma resta fragile. La ripresa reaganiana, dopo aver preso smalto nel 1983-'84, verso la fine del 1985 già inizia a perdere visibilmente colpi. È a questo punto che, dinanzi ai rischi di un prematuro nuovo inceppo del processo di accumulazione, l'asse Washington - Tokio - Bonn, in questo unito, ha dettato a Riad una politica consapevolmente volta a far crollare il prezzo del petrolio.

Un doppio crollo nell'interesse dell'Occidente

E autentico crollo è stato: nel giro di due mesi (gennaio-febbraio 1986) il barile è passato da 25 a 15 dollari (-40%) per poi rimanere a questi livelli e perfino al di sotto fino a tutto 1'89. A ciò è bastato che l'Arabia Saudita - senza trovare effettiva opposizione - raddoppiasse la sua produzione. E del resto, con le masse lavoratrici iraniane e irachene scagliate a scannarsi tra loro a sola gloria dell'imperialismo, con l'Intifah (apertura all'Ovest) imperante ad Algeri, donde poteva giungere un minimo di resistenza? Dall' "indisciplinato" Gheddafi? In nome del "diritto internazionale" lo si tolga di mezzo, adunque!

Con il petrolio a costo zero l'Occidente ha centrato una molteplicità di obiettivi per sé vitali. Ha prolungato per diversi anni il rilancio della propria economia (si è calcolato che ogni 5 dollari al barile in meno, il Nord si assicura un +1 % di sviluppo e ogni 10 dollari in meno oltre il 2%), deprimendo stabilmente il corso complessivo dei prezzi delle materie prime, di cui il petrolio è stato, nel secondo dopoguerra, il punto di riferimento.(1) Si è assicurato delle riserve con cui vasellinare i contrasti di classe nelle metropoli e portare a termine una ristrutturazione produttiva che ne ha rinsaldato la posizione di predominio mondiale. Ha indebolito paesi politicamente "sgraditi" (dalla Libia all'Iran), sottomesso più a fondo altri sospinti sull'orlo della bancarotta (Messico, Indonesia, Nigeria) e …e sinanche nell'accelerare il tracollo del l' "avversario storico" dell'URSS, l'Occidente ha beneficiato del "controshock" petrolifero del 1986-1989.

In termini contabili, per un paese imperialista di media tacca come l'Italia il risparmio, o -per meglio dire -il profitto, è stato, in quel periodo, di almeno 40.000-50.000 miliardi di lire per la sola bolletta petrolifera (ogni dollaro al barile in meno c'è un ricavo per l'azienda-Italia di 1.000 miliardi), senza considerare i riflessi sulle materie prime e senza calcolare il deprezzamento del dollaro. È pari pari la cifra dei "trasferimenti dallo stato alle imprese" che indicò Craxi nell'85 in una battuta polemica verso la Confindustria.

La festa per i capitalisti e le altre classi parassitarie del "Nord" ha significato anni di fame sempre più nera per gli sfruttati e il proletariato del "Sud". Al riaccendersi della mobilitazione delle masse lavoratrici arabe a partire dall'Intifadah palestinese non poteva non fare riscontro, prima o poi, una tendenza al recupero dei prezzi del petrolio. II mercato, puntualmente, ha preso a registrarla nel corso del 1989. E per la seconda volta i paesi produttori più infeudati all'imperialismo hanno provocato un secondo e disastroso eccesso di produzione. Dal gennaio '90 al giugno '90 il costo del barile è di nuovo precipitato da 19,2 a 13,7 dollari. Il petrolio costava, finalmente, in termini reali, meno che nel 1970. Dagli Emirati Arabi riuniti, dal Kuweit e dall'Arabia Saudita, i più esposti in questa "pacifica" aggressione che ha riavvicinato Iraq e Iran, è giunta finanche la proposta di abolire formalmente il sistema delle "quote" per pompare petrolio a volontà… dei soprastanti.

Con questo inevitabile eccesso è finita la festa capitalistica e iniziata la guerra imperialista del Golfo. La posta economica immediata in gioco è, in un quadro mondiale oggettivamente più denso di contraddizioni che nel '79, la stessa di allora: garantirsi il petrolio medio-orientale a prezzi di manna biblica, gratuitamente.

Il petrolio medio-orientale o il petrolio? Più tempo passa, più questa distinzione perde senso. Lo sviluppo capitalistico idiotamente dilapidatore di ricchezze naturali accumulatesi in centinaia di milioni di anni ha fatte sì che le riserve di petrolio, pur noi esigue, di paesi come gli USA e la Gran Bretagna siano ormai ridotte a lumicino (7-8 anni). I paesi dell'OCSE, che consumano ben oltre il 50% dell'energia mondiale, detengono solo il 7% delle riserve mondiali. Queste sono concentrate, per i due terzi, in Medio oriente. II Kuwait ha riserve per 240-260 anni (capite perché è "assolutamente inammissibile" l'oltraggio" compiuto da S. Hussein?), gli Emirati per 150 e l'Arabia Saudita per 110 (capite la sollecitudine delle democrazie occidentali per preservare la genìa di gaglioffi che ne è a capo?).

Il petrolio del Golfo persico, oltre ad essere l'unico abbondante, essendo quello di gran lunga più a buon mercato quanto a costi di estrazione, assicura anche la di gran lunga più alta rendita mineraria, una rendita la cui quota "araba" - per il tramite di istituti come il K.I.O. di Londra - rifluisce speditamente nelle casseforti della Boeing, della Fiat, della Hoechst, della Paribas, va a finanziare il deficit americano (quello che ha consentito il riarmo stellare e le varie missioni nel Golfo), fornisce ai governi occidentali il denaro occorrente ad oliare con laute prebende la macchina del consenso sciovinista. A titolo semplicemente indicativo, possono servire i seguenti numeri, ancorché vecchiotti (di fine anni '60): il costo di estrazione di una tonnellata di petrolio era, al 1967, negli USA di 11 dollari, in Venezuela di 4,5 dollari, mentre in Arabia Saudita e Kuweit o Iraq andava da 0,3 a 0,8 dollari. Per attrezzare e sfruttare un pozzo che consentisse l'estrazione di una tonnellata di petrolio ogni 24 ore, occorreva investire nel Texas 24.000 dollari mentre in Iraq ne bastavano 510, poco più, cioè, del 2%! ("Critica marxista", 1967, nn. 4-5, p. 392). In seguito la situazione non è mutata nella sostanza, anzi, come ognun sa, il petrolio dell'Alaska o quello offshore del Mare del Nord è petrolio particolarmente caro e nel Texas bisogna talvolta arrivare fino a 9.500 metri di profondità per trovare qualcosa.

II Golfo, infine, anche se se ne parla poco, è particolarmente ricco (in specie l'Iran) di gas naturale, l'unica vera possibile, alternativa, sotto molti aspetti, al petrolio. Il 35% delle riserve mondiali è lì, ed un restante 40% è a due passi o quasi, nella sempre più appetita Russia "post-socialista".

Alcune considerazioni e qualche dato (crediamo significativo) per la seguente conclusione: la guerra dichiarata dall'Occidente alle masse lavoratrici arabo-islamiche è una guerra per il petrolio (e l'energia) a costo zero, la cui sostanza economico-sociale ultima è nello scontro tra un'economia a costi di produzione decrescenti realizzati attraverso un tasso di sfruttamento e di affamamento crescente del lavoro vivo (il capitalismo) ed un'economia a costi di produzione serenamente crescenti perché finalizzata a soddisfare i bisogni umani (il socialismo).


Nota

1) È interessante notare che il livello di prezzi più basso (10-11 dollari a barile) è stato raggiunto… provvidenzialmente nei mesi successivi al grande crack borsistico dell'ottobre 1987.