"Legalità internazionale" e "governo mondiale" |
L'idea di un "governo mondiale" di nazioni "libere ed eguali", chiamato a garantire i "diritti universali" è di vecchia data ed anche di vecchia messa alla prova nei fatti. Non c'è nulla di nuovo nelle litanie che si intonano attorno ad esso da parte di "riformisti" (senza riforme), "pacifisti" (armati) e da semplici sprovveduti inebetiti nella coscienza e nell'istinto di classe, e lo dimostreremo qui di seguito.
Si potrebbe obiettare: vada che, "in passato", quest'idea non s'è potuta realizzare, ma, "oggi", sono mutate le condizioni oggettive, i rapporti di forza etc. etc. E sarà il secondo punto che prenderemo in esame, anticipando la conclusione nostra: oggi più che mai nel passato questa è un'idea (e, ahinoi!, una pratica) reazionaria, la cui traduzione nella pratica più che mai significa la sanzione dell'unico diritto che conti, quello dell'imperialismo più forte, con in più, a suo favore esclusivo, la smobilitazione dei cervelli e dei muscoli degli sfruttati.
È all'indomani della prima guerra mondiale (imperialista, se non andiamo errati), che il presidente statunitense Wilson presenta un progetto in 14 punti per la realizzazione di una "Società delle Nazioni" (così si chiamerà l’organismo internazionale che ne seguirà) nelle cui mai riporre i destini di un "giusto" governo mondiale. I presupposti wilsionani potrebbero dirsi molto… ingraiani ante litteram:
"I trattati e le convenzioni dovranno realizzare le condizioni le quali creino una pace che sia meritevole di essere assicurata e tutelata, una pace la quale ottenga il plauso dell'umanità, e non una pace la quale corrisponda solo agli interessi particolari e agli scopi momentanei delle Nazioni partecipanti… Sarà assolutamente necessario che venga creata una forza più grande che quella di qualsiasi delle nazioni ora implicate nella guerra o di qualsiasi alleanza finora formata o progettata, talché nessuna nazione o nessuna probabile unione di nazione possa opporsele o resisterle… una pace la quale sia assicurata dalla forza superiore organizzata dell'umanità… lo vorrei proporre che i popoli accettino unanimi la regola del presidente Monroe come massima valevole nel mondo, che nessuna nazione debba cercare di estendere il proprio dominio su una qualunque altra nazione e un qualunque altro popolo, ma che ogni popolo debba essere libero di determinare la sua propria forma di governo e il suo proprio sviluppo, senza esserne impedito o minacciato; il popolo piccolo altrettanto che il grande e potente".
Queste dichiarazioni dovevano colpire la fantasia di certi socialisti dell'epoca. Una "libera rivista socialista", proclamandosi "wilsoniana", si intitolò all'uopo "La Lega delle Nazioni" e se ne fece eco: alla "teoria della guerra necessaria ed utile si contrappone la teoria del pacifismo, la quale nega tanto la necessità che l'utilità della guerra, e la vuole bandita dalle competizioni fra gli stati quale mezzo per risolverle".
Nel '19 la SdN si costituiva ufficialmente. Nello stesso anno sorgeva l'Internazionale comunista ed immediato era il giudizio che essa esprimeva sulla SdN: "I proletari rivoluzionari di tutti i paesi del mondo devono condurre una lotta implacabile contro l'idea della Lega delle Nazioni di Wilson e protestare contro l'entrata dei loro paesi in questa Lega di saccheggio, di sfruttamento e di controrivoluzione". (Dalle Tesi)
Lenin parlerà di "covo di briganti" e tutta la produzione dell'Internazionale sulle questioni internazionali metterà costantemente in rilievo che la cosiddetta pace e la cosiddetta sovrannazionalità a sua garanzia altro non sono che lo specchio deformato della realtà: una lotta a coltello tra le potenze imperialistiche sulle spalle delle colonie e tra loro con l'emergere degli USA a ruolo di prima potenza dentro la stessa Europa.
"I principali punti di questo programma (di Wilson, n.) sono: "libertà dei mari" "Società delle Nazioni" e "internazionalizzazione delle colonie". La parola d'ordine "libertà dei mari" - spogliato d'ogni sua copertura ipocrita -, significa in realtà la soppressione dell'egemonia militare di qualche grande potenza (in primo luogo l'Inghilterra) sul mare e l'apertura di tutte le vie marittime al commercio americano. La SdN vuol dire che il diritto di annettersi direttamente degli stati e dei popoli deboli è ormai rifiutato alle grandi potenze europee (in primo luogo alla Francia). L'internazionalizzazione delle colonie stabilisce le stesse regole rispetto ai domini coloniali.
Questo programma è condizionato dai fatti seguenti: il capitale americano non possiede la più grande flotta del mondo; non ha alcuna possibilità di fare delle annessioni dirette in Europa ed è per questo che esso aspira a sfruttare dei popoli e degli stati deboli attraverso il traffico commerciale e investendo dei capitali… Nel dominio dello sfruttamento economico, il capitale finanziario americano, molto sviluppato, acquisterà una vera egemonia e potrà assicurarsi grazie ad essa l'egemonia economica e politica sul mondo intiero".
È vero che la SdN non arrivò mai, neppure per un attimo, a configurarsi come quella sorta di "governo mondiale" formale che Wilson si era immaginato e che, addirittura, gli USA non vi entrarono a far parte direttamente. Nondimeno, il programma wilsoniano di "razionalizzazione"… finanziaria del mondo procedeva tranquillamente verso l’egemonia economica e politica" di cui si è detto, e questo era il vero dato di fatto di rilievo del nuovo "governo mondiale" in gestazione: governo capitalista ad un gradino sempre più alto, il che significa contemporaneamente governo sempre meno "di tutti" e "pacifico", perché esso può darsi solo attraverso un feroce processo di concentrazione e centralizzazione e quindi di antagonismo tra classi e, all'interno del "fronte" borghese, tra frazioni del capitale, tra stati del capitale.
Nelle aule di Ginevra questo era l'oggetto del contendere: come rapportarsi in quanto stati europei di fronte al capitale americano?, come regolare i contrasti tra di noi che i nuovi assetti di potere internazionale vanno acutizzando rispetto al passato?, come far fronte ai pericoli di un antagonismo di classe nelle metropoli e di un'insorgenza rivoluzionaria nelle colonie?
Come di regola, è a questi due ultimi quesiti che la SdN saprà dare una risposta da potenziale "governo mondiale", data l'assoluta compattezza del fronte borghese nel fronteggiare il proprio nemico di classe quando esso non si presti più a fungere da "pedina" impersonale sulla scacchiera degli scontri interimperialistici, ma vada a minacciare il sistema nel suo insieme. Così, dalla SdN non verrà un gesto che valga a restituire l' "umanità" ai popoli dei paesi coloniali. Così, per converso, si istituirà un Ufficio Internazionale del Lavoro per lo studio dei problemi sindacali e sociali, al dichiarato scopo di anticipare motivi di turbolenza: e in esso siederanno affiatati nel lavoro laburisti inglesi, socialdemocratici tedeschi e corporativisti italiani!
Può sembrare in contraddizione con quanto diciamo l'adozione nel '35 di sanzioni economiche all'Italia per l'aggressione all'Etiopia (unico caso di "penalizzazione" méssa ufficialmente in atto dalla SdN). E vero il contrario: nella "dura" presa di posizione contro Mussolini non giocava, evidentemente, alcuna preoccupazione per la sorte dei popoli oppressi, ma lo scontro d'interessi coloniali all'interno delle potenze europee, e cioè la volontà franco-britannica di la concorrenza italiana nell'area di rapina coloniale (qui aveva perfettamente ragione Mussolini), tant’è che i "preliminari" delle sanzioni furono delle trattative di diversa spartizione del boccone etiopico tra i vari contendenti - questa sì che sarebbe stata "giustizia"! - ed una volta naufragati questi per l'intransigenza mussoliniana, la prima cosa da cui ci si guardò bene fu di sostenere un'indipendente azione di resistenza etiopica all'invasione colonialista (e tanto meno di "dare il buon esempio" - nei paesi già colonizzati promuovendone l' "autodecisione"). Non solo: ad annessione avvenuta, fu proprio la SdN a cancellare le blande sanzioni adottate in precedenza contro l'Italia ed a riconoscere la legittimità del potere fascista in Etiopia, sancendo con ciò i nuovi rapporti di forza tra gli stati imperialisti costituenti la Società stessa e l'interesse "comune" a regolarsi su di essi.
I "comunisti" si schierarono nel '35 a favore della linea sanzionista della SdN, anticipando le velleità di un "governo mondiale", e relativa "legalità", attuali. Che significava? II contrario di un appoggio concreto al movimento di liberazione coloniale (chi avrebbe mai osato chiedere nei fatti a Francia e Gran Bretagna di ritirarsi dai loro dominion o alla SdN di "sanzionarle" per il loro mancato riconoscimento del diritto all'autodecisione dei popoli?), ebbensì l'inserzione della politica "proletaria" nel gioco dei contrasti interimperialistici, facendo da essi dipendere le sorti della "lotta al fascismo". "Antifascismo" ed "anticolonialismo" al servizio di Sua Maestà Britannica!
Nel '34 anche l'URSS è ammessa nel consesso della SdN. La "Pravda" (2 giugno) scriverà:
"La dialettica dello sviluppo delle contraddizioni imperialistiche ha condotto al risultato che la vecchia SdN, che doveva servire da strumento per la subordinazione imperialista dei piccoli Stati indipendenti e dei paesi coloniali, e per la preparazione dell'intervento anti-sovietico, è apparsa, nel processo della lotta dei gruppi imperialisti, come l'arena - Litvinov lo ha spiegato alla recente sessione del CCE dell'URSS - dove sembra trionfare la corrente interessata al mantenimento della pace. Il che spiega forse i cambiamenti profondi che si sono prodotti nella composizione della SdN".
Un capolavoro di ipocrisia e falsificazione! I contrasti interimperialisti vi sono invocati a spiegazione della vittoria delle correnti "pacifiste" (siamo ad un passo dalla guerra di Spagna ed a due dalla seconda guerra mondiale!). Ciò mentre il processo di subordinazione imperialista dei mondo procedeva a passi più che mai spediti! La verità era, molto semplicemente, che l'ammissione dell'URSS nel consesso della SdN stava a sancire che questo paese, dismesso ogni atteggiamento internazionalista rivoluzionario, entrava legittimamente a far parte del "covo dei briganti" tra cui si discute e si gioca, con ben altri argomenti che quelli delle discussioni di tipo parlamentare, la spartizione imperialista del mondo. "Mantenimento della pace"! Di lì a poco, la "nuova" SdN si berrà come bicchieri di acqua fresca ogni sorta di annessioni e rispartizioni di stati "sovrani" (annessione dell'Austria al Reich nel '38 e, sempre nello stesso anno, spartizione della Cecoslovacchia in seguito al patto quadripartito di Monaco tra Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia - bel connubio di fascismi ed "antifascismi"! -). L'ultimo atto di "governo" della SdN, in articulo mortis, sarà il 14 dicembre '39 l'espulsione dell'URSS dal consesso in seguito all'occupazione della Finlandia: anche qui non un atto di "giustizia" universalista (dopo Monaco, poi!), ma la consacrazione della dissoluzione della SdN nei concreti fronti di guerra, cui, secondo la ferrea logica del capitalismo, è demandatbo di risolvere i problemi del "governo mondiale". E si sa, a questo punto, come l'URSS sia entrata, con gli sviluppi ulteriori della guerra, a far parte di esso in vista di un nuovo consesso delle nazioni: dalle ceneri della SdN e della seconda guerra mondiale nascerà infatti la nuova SdN, il nuovo "covo di briganti", l'ONU, secondo i dettati stabiliti a Jalta nel febbraio '45, ma già anticipati nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sottoscritta, il 1 gennaio '42 a Washington, da USA, Gran Bretagna, Cina, URSS ed un gruppo di 22 altri stati, cui se ne aggiunsero in seguito altri 21.
Occorre non dimenticare come la preparazione, con bell'anticipo, di quella che sarà l'ONU, si incroci con la messa in atto, con altrettanto anticipo, di altre misure: nel '43 nascono l'UNRRA (prima organizzazione internazionale per l'assistenza e la ricostruzione post-bellica), il FMI e la BIRD (Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo), strumenti effettivi dell'influenza da "governo mondiale" che gli USA eserciteranno sul mondo nel dopoguerra.
Se - da un punto di vista "parlamentare" - l'ONU riconosce dalla sua costituzione la parte all'URSS, concedendogli per "meriti di guerra" un seggio permanente in seno al Consiglio di sicurezza, URSS e paesi dell'Est rimarranno forzatamente fuori dal vero e proprio "esecutivo" costituito dalla poderosa macchina di manovra dei capitali "per la ricostruzione" (cioè per la prosecuzione ed il compimento del piano di assoggettamento finanziario di vinti e vincitori da parte degli USA che già l'Internazionale Comunista aveva individuato nel wilsonisno originario). Non miglior sorte spetterà, ovviamente, ai paesi ex-coloniali che la Dichiarazione del '42 aveva promossi a "partner egualitari" al solo scopo di usarli come carne da macello nella guerra "antifascista".
Lo Stalin che nel '34 farneticava del cambiamento di natura della SdN dovrà rimangiarsi ben presto le profezie fatte, stavolta in prima persona, sull'ONU - creatura anche sua - come "arena di pace". Ripescando dalle invettive di Lenin contro la SdN quel che gli serve, dovrà parlare di un ennesimo cambiamento e denunciare la prevaricazione esercitata in seno ed attraverso l'ONU dai "circoli reazionari" (sempre confidando in quelli "progressisti" a venire") dell'imperialismo USA, ma si guarderà bene dall'uscire dal "covo dei briganti", cui lo tengono gli interessi dell'URSS e l'assenza dell'alternativa internazionalista del '19, ignomignosamente sbaraccata via. Di fronte all'aggressività USA non resta che la "denunzia"… parlamentare al Palazzo di vetro, la fornicazione con le borghesie nazionali dei paesi dominati e controllati per un "fronte comune" di "pressione" contro di essa e la lotta per la "democrazia progressiva" dei partiti "comunisti" nelle metropoli.
Alla fine del giugno '47 si erano riuniti a Parigi i ministri degli affari esteri di Francia, Inghilterra ed URSS per discutere degli aiuti alla ricostruzione. Una "vera pace" senza una "vera ricostruzione" non aveva senso. Permettere la risalita economica dei paesi caduti nell'abisso della guerra era, oggettivamente, il primo compito da "governo mondiale". Ma si può pensare, nell'ambito del capitalismo, a "veri aiuti" disinteressati da parte di chi è in grado di elargirli (in questo caso gli USA)? Vanamente Stalin poteva pensare di buttar sul piatto i quasi venti milioni di morti sovietici per la "causa antifascista" per farsi riconoscere il "diritto" gratuito a tali aiuti. La politica di "ricostruzione" si rivelava subito per quel che essa doveva essere: l'instaurazione dell'egemonia economica e politica imperialista", come leggevamo nel '19. E sarà il "piano Marshall". In un'enciclopedia stalino-togliattiana così ne leggiamo la denunzia dopo esserne stati tagliati fuori:
"…il "Piano Marshall", mediante forniture di merci americane e di prestiti per acquisti di macchinario, perseguiva i seguenti obiettivi:
1) collocare sui mercati europei la eccedenza della produzione americana per allontanare la dirsi economica incombente;
2) ridare vigore ai gruppi monopolistici dei vari paesi europei perché ristabilissero la loro dittatura politica ed economica, nel tempo stesso legandoli e fondendoli con l'imperialismo americano in modo da formare altrettanti sottogruppi;
3) dimensionare le strutture industriali dei paesi europei in modo da eliminare quelle parti (…) che rappresentassero un pericolo di concorrenza o una garanzia di indipendenza economica per i singoli paesi;
4) controllare totalmente il commercio estero dei paesi europei per determinare l'assoluta dipendenza di questi mercati da quello americano, per troncare i rapporti commerciali con l'URSS e con tutti i paesi a direzione popolare (siamo al dunque della recriminazione moscovita!, n.), per favorire la penetrazione del capitale americano nelle colonie e semicolonie dipendenti dai paesi europei". (Piccola enciclopedia del socialismo e del comunismo, Milano, 1958).
La riedizione wilsoniana delle SdN incappava così nella solita difficoltà, dacché capitalismo è capitalismo: governa legittimamente il mondo chi governa i cordoni della borsa e le cannoniere. Chi ha il "dovere" di elargire "aiuti" ha anche il diritto a vedersi riconosciuti gli obblighi da parte dei debitori.
Le condizioni poste da Truman erano chiare: "Paese per paese gli stanziamenti dipendono dal colore del governo locale o dalla sua soggezione alla politica d'oltreatlantico; nei casi dubbi si manda lo stanziamento a zero… La dottrina Truman, piuttosto grossolana, consiste nel maneggiare il dollaro per distruggere zona per zona l'influenza russa ed è applicata con una delicatezza da bisonte" (A. Bordiga, America, in "Prometeo", maggio-giugno '47).
L'alternativa cui guardava Stalin era quella propugnata dal democratico Wallace, progettatore di formidabili investimenti anche ad Est: "Naturalmente egli ha bisogno i garanzie per il ritiro dei formidabili utili, pur essendo sempre in credito della somma anticipata. Quali garanzie? Truman, un poco volgaroccio, le vede nel disarmo altrui e nell'armamento formidabile del creditore, atto per massa e qualità a tenere in soggezione il mondo, e ad evitare le eventuali bizze di chi non volesse pagare le rate. Wallace invece ci spiega e spiega a quelli del Kremlino (…) come quella generosa anticipazione sarà il fondamento della pace. Le garanzie saranno puramente legali. In via di costruire il Superstato che abbia a scala mondiale le stesse funzioni che ha lo Stato, sovrano sul suo territorio, per cittadini ed enti privati, si farà funzionare in campo internazionale il sistema delle ipoteche. Strutture ed impianti nei paesi debitori garantiranno col loro valore e con la loro attività i versamenti a saldo del credito… In tal modo il dollaro, con la sua organizzazione mondiale di anticipazione ai poveri, muove alla conquista dell'Europa fino ed oltre gli Urali, e ne pianifica il successo senza ricorrere alle traiettorie di siluri atomici e di aerei di invasione per via polare" (ibid.).
L'ONU che fa? Non può che prenderne atto. I diritti degli usurai non si discutono, per definizione. I debitori non si lamentino se hanno rate salate da pagare, né si lamentino coloro che non trovano accesso al credito: la colpa è loro, dal momento che non intendono farsi ipotecare l'indipendenza economica e quella politica!
Il 4 aprile '49 veniva stipulato a Washington il "patto atlantico". Altra doccia fredda per Mosca ed altre recriminazioni sul "tradimento" dei "principi" di Jalta (!). Ed altra sanzione di legittimità da parte dell'ONU: la promessa di un mutuo "pacifico" appoggio tra le potenze contraenti non stava per nulla in contrasto con la legalità internazionale, anzi ne era un corollario. Oggi lo riconoscono gli stessi accusatori di allora, rassicurati dall' "ombrello NATO", che, semmai, vorrebbero solo più esteso ("ombrello ONU")[1].
Non è, però, che l'ONU sia stata "esautorata" da queste decisioni imperniate su Washington. Tra il '50 e il '53, tra i clamori impotenti dei cremlineschi e filo-cremlineschi, i suoi "caschi blu" combatteranno direttamente in Corea in una guerra costata un milione di morti. Da che parte? Indovinello da pochi spiccioli.
Si dirà: successivamente, però, l'ONU ha aperto le sue porte ai paesi ex-coloniali, protagonisti in tutto questo dopoguerra di una eroica lotta di affrancamento dal colonialismo. Giusto. L'ONU ha sanzionato questo storico risultato dopo che esso si era dato attraverso il diritto delle armi, mantenendo in attesa una rigorosa posizione di non appoggio ai "colorati" (salvo il caso in cui si trattasse di far passare nell'area in rivolta la politica di scalzamento dell'influenza coloniale anglo-francese a favore della penetrazione "non colonialista" del capitale americano, capace all'occorrenza di riscoprirsi "anticolonialista"). Di più: quando l'ONU ha trovato modo di intervenire nei punti caldi, essa si è messa a servizio del soffocamento delle istanze rivoluzionarie più radicali, come nel caso del Congo, dove Lumumba fu martirizzato col beneplacito dei "caschi blu". Lo sforzo del Mouvement National Congolais di Lumumba di addivenire ad uno "stato unitario e centralizzato in cui le antiche faide di tribù e di popoli fossero superate e disperse", cozzava, infatti, con "la grande carta in mano al colonialismo imperialista", cioè la "balcanizzazione" del Continente Nero (cfr. Prospettive rivoluzionarie della crisi). E proprio "l'illusione democratica e pacifista per cui ci si è continuati ad appellare all'ONU quando era chiaro che proprio lì era la sede non di una possibile vittoria, ma di una fatale sconfitta" consegnerà Lumumba ai suoi carnefici locali (agenti per ordine dei mandatari imperialisti).
Scrivemmo allora: "Che cosa ha fatto, il Cremlino che si pretende falsamente erede della tradizione leninista, se non l'opposto di ciò che questa tradizione imponeva? Esso proclama, nella retorica dei discorsi ufficiali, di sostenere Lumumba; ma nella decisione di affidare all'ONU il compito di proteggere il trapasso dall'amministrazione belga a quella congolese, con tutto quello che ha voluto dire per la liquidazione dell'ala estrema del moto anticolonialista, reca la firma dei sovietici, e questi non hanno cessato da allora, e senza dubbio non cesseranno in avvenire, di spostare la questione del Congo dal terreno naturale della lotta aperta in territorio indigeno al terreno falso e ingannatore delle assemblee del Palazzo di Cristallo". In antitesi a tutto ciò, si aggiungeva, "non è difficile immaginare quali potenzialità sarebbero esplose dal seno della rivolta negra del Congo se l'Internazionale Comunista, viva anziché essere stata sciolta, e solidamente trincerata sulle posizioni programmatiche del 1920-'23 anziché ridotta a pupazzo diplomatico di uno Stato non più proletario, avesse gettato nella storica battaglia il peso della sua forza estesa a tutto il mondo e accentrata nelle metropoli e nei gangli vitali dell'imperialismo".
Ebbene sì: i paesi di recente emancipazione dal colonialismo sono entrati a far parte dell'ONU. Vi sono entrati, però, rappresentati da quelle borghesie nazionali che hanno accettato di fatto la "balcanizzazione" imposta dall'imperialismo e che, in più di un caso, si sono rese responsabili in prima persona del massacro delle forze radicali interne, come da copione ONU e, cioè, da copione imperialista [2].
Costituiscono esse, nondimeno, una contraddizione positiva in seno all'ONU? La costituiscono sì, ma solo in quanto l'istanza anti-imperialista frenata e deviata perché non andasse sino in fondo, è continuamente riaccesa dagli antagonismi suscitati dal sempre più spietato corso dell'imperialismo (cose analoghe si potrebbero dire per la Cina, ammessa all'ONU nel '71, dopo aver giustamente spenti gli spiriti anti-imperialisti originari). Questi sono i rappresentanti della sconfitta, per quanto ostaggi di una situazione che li obbliga a non poter esercitare il "potere sovrano" di cui formalmente dispongono in condizioni un tantino "normali", "equilibrate", e perciò sottoposti di continuo alla pressione delle masse. Logico che i loro "voti" possano essere, in più di un'occasione, di "fiera protesta" contro un'invadenza imperialista cui l'ONU non risponderebbe "appieno" secondo i "principi" cui si rifà. Ma logico anche che questo non sia altro che fumo negli occhi per tacitare le masse interne e per pietire, col ricatto della turbolenza di queste che va tacitata con qualche briciola, una migliore contrattazione nella dipendenza con l'imperialismo.
E logico altresì che se le masse vorranno e saranno capaci di rilanciare la lotta sul proprio terreno e coi mezzi a ciò adeguati dovranno passare sopra il cadavere di siffatte "loro" rappresentanze ufficiali e quello, tanto più evidente, del "governo mondiale" onuista con relativa "legalità". In questo caso (e ne abbiamo sotto gli occhi oggi una prima anticipazione), l'ONU saprebbe assumere per la prima volta i compiti che gli sono delegati di "tutore della pace e della giustizia": contro un'insorgenza di tal natura, il fronte internazionale della controrivoluzione si compatterebbe come un sol uomo (ricordate il fronte contro la Comune?) per imporre la suprema "legalità", tanto quella effettivamente sovrana delle metropoli imperialiste quanto quella dipendente delle borghesie nazionali ex-coloniali.
Su di un piano di astratta constatazione statistica, si può dire che la maggioranza dei paesi attualmente rappresentati all'ONU è costituita in misura schiacciante da paesi i cui interessi primari non coincidono, ed anzi si contrappongono a quelli delle centrali imperialiste. Qualche buon'anima potrà derivarne la garanzia che da essa esca l'espressione, "maggioritaria" epperciò "vincente", di genuine "istanze democratiche".
Sullo stesso piano si può dire che la maggioranza della gente di un dato paese non è coinvolta negli interessi del pugno di iper-capitalisti al timone e che, perciò, chiamati alle urne, potrebbe "democraticamente" sancire un adeguato "ricambio".
È precisamente questo il "cretinismo parlamentare" flagellato da Lenin; quello onuista ne è la semplice trasposizione sul piano del… cretinismo universale.
Nelle Tesi del 2° Congresso dell'IC si diceva: "Oggi, per i comunisti, il parlamento non può essere in nessun caso l'arena della lotta per le riforme, per il miglioramento della situazione della classe operaia"; "nelle condizioni attuali di imperialismo sfrenato, il parlamento si è trasformato in uno dei tanti strumenti di menzogna, di inganno, di conculcamento e di snervante logorrea"; "il centro di gravità della vita politica si è oggi totalmente e definitivamente spostato al di là dei confini del parlamento"; "il parlamentarismo come sistema statale è una forma di dominio "democratico" della borghesia, la quale a un certo stadio di sviluppo ha bisogno della finzione di organizzazione di una "volontà del popolo" esistente al di fuori delle classi, ma che in realtà è una macchina di soggiogamento ed oppressione in mano al capitalismo imperante".
Come mai, se è vero che vale il principio "una testa un voto", tanto che il voto di Cipputi vale quanto quello di Agnelli e se è vero che l'interesse della stragrande maggioranza della popolazione si contrappone a quello di un ristretto pugno di magnati?
Per la semplice ragione che se questa "maggioranza" non pone essa stessa, simmetricamente a quanto fa la borghesia, il centro di gravità della propria azione al di fuori del parlamento, l'ordine capitalista appare ad essa come un ordine "naturale", entro il quale e soltanto entro il quale poter reclamare qualcosa per sé. Perché, su questa base, il capitalismo articola il proprio potere in una rete di interessi cui "tutto il popolo" è (diversamente, certo) legato e, persino, in date situazioni, ne ha qualcosa di effettivo da guadagnare. Perché un tale meccanismo, mentre vede sempre più rafforzati i fattori di concentrazione e centralizzazione borghesi, disarticola la chiarezza e la coesione della classe operaia. Ed è precisamente per questo che il proletariato può diventare sé stesso, e trascinare dietro di sé le più vaste masse "popolari" solo a patto di fungere non in quanto insieme di "cittadini", ma in quanto classe, accettando di darsi nella lotta il centro di gravità della propria azione per colpire al cuore quello opposto. L'uno e l'altro "totalmente e definitivamente" al di là dei confini parlamentari.
E che avviene nell'ambito del parlamento ONU? Se andiamo a raggruppare "sociologicamente" i vari stati che ne fanno parte, in quanti Cipputi c'imbatteremo e in quante figure intermedie comunque sottoposte al predominio imperialista con cui, in astratto, "nulla hanno a che spartire"! Ma che succede? Che singoli stati o singoli gruppi di stati indebitati sino all'osso col capitale metropolitano, e bisognosi di indebitarsi ulteriormente per… "progredire", si affittano letteralmente alle centrali imperialiste pur di "lucrarne" qualcosa. Magari, come oggi avviene, "sinceramente" convinti che l'instabilità dell'ordine internazionale "provocata dall'Iraq" si rifletta negativamente sulle loro proprie prospettive e vada quindi cancellata. Ad un gradino più alto non vediamo lo stesso per quanto riguarda l'URSS? Cos'è che ha cosi ben messo in riga (sia pure in maniera alquanto condizionale) Mosca con Washington? La snervante logorrea dei democratici "scambi di opinioni" o non piuttosto la concreta pressione del capitale finanziario e la sua forza (non scritta in alcun codice etico o giuridico) di ricatto? Dove sta il centro di gravità? E se i "leninisti" cubani di "socialismo o muerte" non trovano altro di meglio che lavarsi le mani rispetto al conflitto in corso, ciò come si spiega se non con l'intenzione di preservarsi uno spazio per la "costruzione del proprio socialismo" evitando di urtare troppo frontalmente il pericoloso vicino USA? E che altro è questo se non un sub-affittarsi, quanto meno, all'imperialismo?
La parte dell'umanità" oppressa (vale a dire delle classi oppresse) può farsi valere unicamente infrangendo le regole effettive del dominio che il superparlamento" e "superstato" (fittizio) dell'ONU ritrasmette e sanziona. Ciò presuppone una lotta internazionale ed un centro internazionale che la diriga, per loro natura incompatibili col quadro "legale" dell'ONU, dei centri imperialisti che vi dettano legge e "persino" di quelli della "periferia" da essi sfruttati, ma anche ad essi piegati.
L'URSS fu ammessa alla SdN nel '34, dopo che in essa si erano spenti fuochi dell'Ottobre; la Cina nel '71 dopo il suo abbandono del traguardo di una rivoluzione democratico borghese anti-imperialista "sino in fondo"; gli stati ex-coloniali a vari date, dopo la loro consegna alle imbelli borghesie nazionali. L' "ecumenismo" rappresentativo dell'ONU conseguente all'allargarsi "ecumenismo" effettivo del dominio imperialista.
La "legalità" dell'ONU si è ben palesata nella partecipazione in quanto gendarme internazionale in Corea e nel Medio Oriente (qui a più riprese, sino all'attuale), nel "via libera" alle imprese USA in Vietnam e quelle di tutto l'Occidente nell' "affaire" (un altro milione di morti!' Iran-Iraq. Non si sono visti "caschi blu" a tutelare Grenada o Panama, né ci consta che un qualche Ingrao c Cossutta li abbiano invocati a soccorso della "legalità".
Un URSS che avesse proseguite sulla via dell'Ottobre non avrebbe per definizione trovata aperta alcuna porta di SdN od ONU, ma provocata contro di sé e il movimento internazionale rivoluzionario il costituirsi di una "comunità", e relativa supergendarmeria, di tutte le potenze borghesi, grandi e piccole.
II movimento rivoluzionario che verrà, da dovunque e comunque inizi, si troverà confrontato allo stesso problema: l'unica "rappresentatività" ad esso concessa sarà quella delle armi.
Chi non lo "capisce" non può neppure ambire al titolo di novello Candide; gli spetta di diritto quello di affittato al nemico!
1. Può essere divertente ricordare le parole con cui Nenni (uno "scheletro nell'armadio" del PSI?) condannò al Parlamento italiano il Patto Atlantico: "Accusiamo il governo di voler mettere le nostre basi navali ed aeree a disposizione dell'America e del Blocco Occidentale per una politica aggressiva di accerchiamento dell'Unione sovietica e dei paesi a democrazia popolare, che dal punto di vista degli interessi del capitalismo americano può avere se non una giustificazione una spiegazione, ma non ha una spiegazione se ci si pone dal punto di vista dei nostri interessi nazionali". Linguaggio infuocato, ma, come quello di Togliatti, da un punto di vista (quello dei "nostri interessi nazionali"), che non poteva che concludere col pieno riconoscimento del provvidenziale "ombrello NATO".
2. Il massimo cui riuscirono a pervenire i rappresentanti borghesi dei paesi di nuova indipendenza fu di capire che, per far meglio sentire la propria voce dentro l'ONU, occorreva concertare una propria azione congiunta. Il primo tentativo in tal senso fu la Conferenza di Bandung del '55, che sanzionò i seguenti "5 principi" (già enunziati dalla dichiarazione congiunta India-Cina del '54): "1) Rispetto reciproco per la integrità e sovranità territoriale. 2) Non aggressione. 3) Non interferenza nei reciproci affari interni. 4) Eguaglianza e beneficio reciproco. 5) Coesistenza pacifica". Questa brodaglia (interessante che la Cina - già nel '54 - ne fosse promotrice!) non poteva portare molto lontano. Lo stesso PCI, all'epoca, annotava i "limiti" della Conferenza: "Vi si approvarono dei principi e non vi si conclusero dei patti; poterono quindi aderirvi formalmente anche rappresentanti di quei governi che avrebbero agito ed agiscono di fatto contro lo stesso spirito (!) di Bandung, quali gli appartenenti al patto di Bagdad o alla SEATO. A Bandung, gli imperialisti non trovarono solo degli accusatori ma anche dei difensori, e ne trassero l'illusione (!) di poter controllare o comunque immobilizzare questa grande (!) terza forza (!) mondiale" G. Pajetta in "Rinascita" n. 11-12 del '58).
Successivamente, la "terza via" trovò un punto di coagulo del "movimento dei non-allineati", nell'ambito del quale la Jugoslavia di Tito giocò un ruolo primario. Con che risultati? Che il "nonallineamento" tra le pieghe delle "superpotenze", si è rivelato sempre più un'insana via reazionaria. L'imperialismo allinea tutti, pro e contro di esso, e non esiste palesemente una "terza via" al di fuori di quella dell'unità rivoluzionaria anti-imperialista, per il socialismo, e quella della subordinazione (più o meno patteggiata, più o meno "preferenziale") all'imperialismo stesso. La fine del "movimento dei non-allineati" prefigura questa "scelta", e resta chiaro che nessuna delle rappresentanze "anti-imperialiste" attuali, in mano alle borghesie nazionali, potrà mai farsi alfiere della nostra soluzione.