DOSSIER - Lotte operaie

 

LA RISTRUTTURAZIONE

DELLE F.S. È ALLE PORTE,

ANZI È GIÀ COMINCIATA

 

Mentre nubi minacciose si addensano all'orizzonte per i lavoratori del pubblico impiego - con la riforma delle Poste, il piano di mobilità per 45.000 impiegati, il blocco dei contratti nazionali -, i diversi comparti dei trasporti si trovano già oggi nell'occhio del ciclone, destinato a sconvolgerli sempre più a fondo.

Nei porti si attacca il potere delle Compagnie dei lavoratori, nel trasporto aereo è arrivata l'onda lunga e sinistra - per chi lavora e per chi viaggia - della deregulation reaganiana, nelle Ferrovie si va facendo strada un "piano di risanamento" destinato a mutare connotati e dimensioni del servizio.

In quest'ultimo comparto la ristrutturazione si annuncia particolarmente pesante e chiama in causa direttamente consistenti e decisivi settori operai.

Nella ristrutturazione delle Ferrovie di Stato i concorrenti occidentali sono più avanti dell'Italia (è questa la prima argomentazione addotta dai risanatori nostrani). Per limitarci all'Europa, danno il triste annuncio di questo primato i sempre più frequenti disastri ferroviari in Inghilterra e in Francia, alla faccia dell'incolumità degli utenti, i cui disagi diventano invece di primissima importanza quando si tratta di addebitarli a colpa dei lavoratori in lotta.

In Italia la ristrutturazione delle Ferrovie è iniziata con la trasformazione dell'ex Azienda Autonoma in Ente chiamato ad operare secondo criteri di economicità, tagliando drasticamente con metodi e modelli della pubblica amministrazione e del pubblico impiego.

Il nuovo Ente F.S., nato sul finire dell'85, si è posto gli obbiettivi di un considerevole incremento della produttività e del rientro del deficit di bilancio. I Sindacati e il Pci - da sempre fautori della riforma e del rilancio delle Ferrovie dello Stato - hanno sposato incondizionatamente questi obbiettivi, ma, strada facendo, si sono resi conto che essi non si coniugavano con il rilancio del servizio ferroviario, bensì con il suo drastico ridimensionamento. A questo punto si sono miseramente accontentati della vuota promessa che la ristrutturazione non passerà sopra la testa del Sindacato, ma verrà con esso contrattata (vedi i risultati degli ultimi incontri Sindacati/Schimberni).

Il "piano di risanamento" delle F.S. non ha ancora assunto contorni definiti. La lotta dei ferrovieri e soprattutto gli scioperi dei macchinisti, le beghe DC-PSI in lite perenne sull'assetto di vertice, lo scandalo che ha travolto la presidenza Ligato, l'incertezza che avvolge la nuova direzione del manager Schimberni: tutto ha concorso a rallentare i passaggi decisivi, dando luogo ad una confusa ed incerta attesa.

Ma, aldilà della ridda di voci contrastanti dei vari preposti, la sostanza del progetto già avviato risulta comunque chiara, aldilà delle possibili varianti. È in cantiere un drastico ridimensionamento del personale (da 45.000 a 100.000 esuberi su un'attuale consistenza di 215.000 ferrovieri). Al riguardo è già in atto il blocco del turnover, mentre si discute di prepensionamenti e dell'introduzione della cassa integrazione.

E' previsto il taglio di 3.000 km di rete secondaria (i cosiddetti "rami secchi"), come anche una più complessiva "cura dimagrante" secondo la terapia dello smembramento, con la concessione ai privati delle parti più appetibili del considerevole patrimonio immobiliare delle F. S. (valutato incirca 500.000 miliardi). L'Ente F.S. è l'azienda italiana più grossa dopo la Fiat e, a poter scegliere, ci sono per i grandi gruppi privati e pubblici bocconcini prelibati da accaparrarsi a scapito del servizio e dell'utenza sociale. Così da ultimo è stata ventilata la totale concessione della costruzione e della gestione dell'Alta velocità a gruppi esterni (in prima fila Fiat e Italstat).

La forza materiale della ristrutturazione ha intanto già messo in moto i suoi micidiali ingranaggi. Il peggioramento delle condizioni di lavoro dei ferrovieri e in particolare dei più disagiati, macchinisti e personale viaggiante, con il corredo di un incremento delle punizioni disciplinari per chi non sta in riga, è una dura realtà che ha accompagnato la disillusione delle aspettative malamente riposte dai lavoratori nella riforma delle Ferrovie, con la primissima responsabilità al riguardo del Pci e del Sindacato.

In questo contesto Cgil-Cisl-Uil e Fisafs hanno firmato nell'agosto 1987 il primo contratto privato con il nuovo Ente: un contratto concordemente finalizzato ad un aumento della produzione del 20% e della produttività del 15%.

La lotta dei macchinisti, l'unità della categoria, l'unità della classe

Contro questo contratto e contro la ristrutturazione è esplosa la rabbia dei macchinisti.

I macchinisti sono i veri e propri operai di catena delle F. S. La loro sacrosanta ribellione sconta l'indubbio limite di essere stata - fino ad ora - la ribellione dei soli macchinisti e non dell'intera categoria.

Limite che peraltro rimanda a reali condizioni di lavoro particolarmente dure rispetto al resto della categoria e quindi all'esigenza immediata per i macchinisti di difendersi dalla ristrutturazione, che per primi li ha investiti.

Un documento elaborato dall'Ente F.S. nella primavera '87 (vedi "Sole 24 ore" del 20.5.'87) quantifica freddamente i punti percentuali di aumento della produttività - e, insieme, i conseguenti esuberi di personale - attraverso: nuovi regimi dei turni, limitazione della durata del riposo fuori residenza, allungamento del servizio notturno, nuovi modelli di organico sui treni con l'estensione dell'agente unico, assegnazione di nuove mansioni al personale viaggiante, etc. Come si vede si tratta prevalentemente di modifiche che colpiscono il personale di macchina e viaggiante e non a caso l'Ente prevedeva tra queste qualifiche esuberi consistenti.

I macchinisti sono insorti contro intollerabili condizioni di lavoro, aggravate dai "piani di risanamento" e dai "recuperi" di produttività richiesti dall'Ente e avallati dal Sindacato. Si sono battuti per due riposi settimanali continuativi, per nuove assunzioni che consentano l'effettiva fruizione dei riposi e mettano fine alla pratica della monetizzazione di riposi e ferie, contro l'elasticizzazione delle prestazioni (allungamento dell'impegno e aumento dei km di guida giornalieri), contro l'estensione dell'agente unico, per miglioramenti di mense, soggiorni e trasferimenti nei riposi fuori residenza.

Ai progetti di ristrutturazione dell'Ente e alla linea dei Sindacati, che si piegavano docilmente alle esigenze di risanamento (per passare poi all'aperta complicità contro i lavoratori, che non hanno cessato di attaccare neanche quando il governo li ha precettati), i macchinisti hanno opposto la lotta in prima persona di tutti i lavoratori, riscoprendo "il gusto della democrazia sindacale", riaffermando lo storico diritto dei lavoratori ad essere essi Sindacato in prima persona.

Questo il significato più pieno e prezioso dell'esperienza del Coordinamento Naizonale dei Macchinisti Uniti. Non la fuoriuscita dal Sindacato ufficiale - e quindi la rottura con la stragrande maggioranza dei lavoratori in esso organizzati - per costituire l'Associazione nazionale dei macchinisti, come pur qualcuno ventilava, ma la messa in campo di fondamentali strumenti di autorganizzazione per il controllo e la gestione diretta della lotta e della trattativa.

I macchinisti uniti, in gran parte iscritti alla Cgil e al Pci, hanno a più riprese tentato di ricucire il rapporto con il Sindacato, senza per questo accettare la messa in discussione delle acquisizioni maturate nella lotta. Compito non facile nella situazione data, che ha visto i macchinisti stretti tra molteplici e contrastanti necessità: di difendersi, innanzitutto; di non perdere il rapporto con gli altri lavoratori e di ricucire pertanto lo strappo con il Sindacato; di non cedere in nulla agli obbiettivi subalterni e ai metodi di lotta inadeguati portati avanti dal Sindacato.

Da questo punto di vista la tiepida adesione del Coordinamento nazionale dei macchinisti agli scioperi dei ferrovieri e di tutte le categorie del trasporto indetti da Cgil-Cisl-Uil contro la ristrutturazione è stato senza dubbio un grave errore, che ha offerto immediatamente il pretesto ai Sindacati per attaccare i macchinisti e per approfondire il solco tra loro e gli altri lavoratori.

Ma in due anni di dura lotta si è fatta strada tra i macchinisti una più ampia consapevolezza che per vincere occorre la forza di tutti i ferrovieri e dell'intera classe.

Per ben due volte i macchinisti hanno dovuto scioperare contro la mancata attuazione di precedenti intese concordemente sottoscritte con l'Ente e contro il peggioramento delle condizioni di lavoro in contrasto con quanto concordato. Questo conferma che - soprattutto di fronte all'incalzare della ristrutturazione - nessuna vittoria immediata dei lavoratori è sicura.

Il vero risultato della lotta, che l'avanzare stesso della ristrutturazione predispone nelle sue materiali precondizioni, è "l'unione sempre più estesa degli operai".

La compatta unità dei macchinisti, cementata in 12 scioperi nazionali, deve divenire - nella lotta - strumento della più ampia unità dell'intera categoria e dell'intera classe. È questa l'unica prospettiva che garantisce agli stessi macchinisti la più efficace difesa.

È l'estensione e l'allargamento del fronte di lotta a tutti i lavoratori (anche in riferimento alle loro esigenze come lavoratori-utenti) il fondamentale terreno di scontro contro il settorialismo bancarottiere dei Sindacati ufficiali, che fiaccano il potenziale di lotta dei lavoratori portandoli allo sciopero in ordine sparso per singole aziende e per singole categorie, sempre restii a chiamarli alla lotta generale contro il nemico comune.

E' la capacità di schierare in campo il fronte unito di classe che costituisce e costituirà il decisivo banco di prova per gli esiti di ogni singola battaglia e della complessiva guerra di classe.