L'Est é in movimento


Nuovi, inauditi sacrifici in vista in Ungheria per un'economia "pilota " che precipita _fuori strada; nuovi sacrifici conditi di "democrazia " in una Polonia sull'orlo del precipizio nonostante gli sforzi concordi di Jaruzelski, Glemp e Walesa; la Jugoslavia stretta tra le spinte nazionalistiche e l'insorgenza inarrestabile del proletariato; la Romania squassata dalla rivolta delle masse affamate… Dal centro del "sistema socialista" alla sua periferia, da Mosca a Bucarest, si preparano terremoti senza precedenti. Il loro epicentro sta nel cuore del sistema capitalista stesso di cui quel "socialismo" è parte integrante, e filabile. Torna sulla scena con esso un proletariato giovane e concentrata L'Est si muove; si muove la rivoluzione.

LE MILLE "PERESTROJKE" POLACCHE

Il piccolo "golpe" militare di Jaruzelski dell'81 non ha ristabilito alcun ordine in Polonia. Nei sei anni trascorsi tutta la società polacca è stata preda di cambiamenti frenetici, la cui profondità e velocità sono destinate ad accentuarsi negli anni a venire. Saprà il proletariato riprendere con forza la propria iniziativa, e come?

Con questo numero cominciamo un rapido giro d'orizzonte su ciò che va maturando (o forse meglio sarebbe dire esplodendo) nei paesi dell'Est europeo. Partiamo proprio dalla Polonia in quanto questo è il paese in cui, a ripetute riprese e con una radicalità sostanziale sempre più accentuata, si è manifestata la presenza antagonista della classe operaia. L'esperienza dell'80 è solo l'ultima in ordine di tempo, ma è certo che il sistema non è né mai sarà in grado di porre una pietra tombale sull'insorgenza proletaria polacca. L'80 non andrà perduto ed è anzi destinato a ripresentarsi con maggior nitidezza di classe per il futuro. Attraverso quali vie? Non sarà la riedizione della vecchia "Solidarnosc", oramai morta e sepolta rispetto alla sua caratterizzazione e funzione originaria: questo è certo. Si può dire che il proletariato polacco è attualmente alla faticosa ricerca di una propria via all'altezza dei compiti che la nuova fase gli impone. Non sarà una ricerca ne breve né facile; anche questo lo mettiamo in conto. Dall'80 in qua le forze borghesi si sono mosse in maniera incomparabilmente più chiara e "concentrata" di quanto potesse fare un proletariato attraversato all'interno dalle sirene borghesi in esso infiltratesi e lasciato sostanzialmente solo dai suoi fratelli di classe europei, tanto dell'Est che dell'Ovest. La via della sua riscossa potrà darsi solo attraverso un esame impietoso in rebus delle ragioni della sconfitta precedente e dalla possibilità di annodare i fili internazionalistici del fronte di classe che sin qui sono mancati. A che punto siamo oggi in materia?

Jaruzelski campione di democrazia

Il referendum di fine novembre '87 sulle "riforme" rappresenta davvero un superconcentrato della classica democrazia, così come l'intendono i borghesi. La prova è stata brillantemente superata dal regime, e chi con esso, benché i risultati negativi possano far credere il contrario. Esito brillante, dicevamo, sin dalle premesse: un regime "dittatoriale" si appresta a varare delle "riforme" e chiede su di esse il consenso dei cittadini, delle forze sociali e politiche - opposizione compresa - rimettendosi al loro giudizio. Che succede? Che l' "opposizione", per prima cosa, si trova spiazzata, si divide - e si precisa - al suo interno, è costretta a prendere una posizione netta "di governo", come si usa dire dalle nostre parti per le opposizioni "costruttive". Ed ecco, allora, che la Chiesa, il luminoso "faro di libertà" contro la "dittatura comunista ed atea" su cui tante lacrime ci ha fatto versare Woytila, riconosce che le progettate "riforme" sono cosa buona, e migliore ancora l'apertura democratica che il ricorso al referendum testimonia. Questa Chiesa, che in Polonia non è mai stata né clandestina né perseguitata, ma abbondantemente pasciuta dal regime e ben presente nell'affaristica imprenditoriale e finanziaria "socialista", ha teso ancora una volta, e più palesemente, la mano già a suo tempo offerta in pegno di mutuo appoggio al regime nell'80, di fronte al pericolo di un debordamento proletario "troppo radicale" o, per dirla con Jaruzelski, apertamente "anarchico".

Ecco allora il fantasma di ciò che fu "Solidarnosc" dover trovare un punto di "sintesi" tra le diverse anime che la compongono nella scappatoia dell'astensionismo, cioè di una sfiducia che non osa né vuole proclamarsi opposizione vera. Un Walesa "un po' ingrassato", "forse perché non fuma più le sue 50 sigarette al giorno", come scrive J. Gawronski su "La Repubblica" (25-26 ottobre '87), forse per qualche altra ragione, proclama: "Questo referendum è una svolta per i polacchi" e prosegue un discorso perfettamente omologo a quello del regime: "La Polonia è in una situazione difficile e solo unendo le forze di tutti i gruppi sociali riusciremo a far fronte alle difficoltà che ci aspettano"; "Gorbacev e noi stiamo tentando di attuare le riforme necessarie senza bisturi"; "È nell'interesse di ognuno di noi, di ogni polacco, aiutare questo paese. Sarebbe peccato sprecare questa occasione del referendum, un grande avvenimento per un paese dell'Est". Ma "Solidarnosc" non sta fieramente all'opposizione? Nessun timore: "Vede, l'azione di Solidarnosc ha assunto aspetti diversi a seconda dei periodi. All'inizio c'erano gli scioperi, le proteste, i manifesti, le emozioni. La seconda fase è quella dell'elaborazione di un programma, la terza quella della sua realizzazione." Ovvero: abbiamo messo a tacere (sin dentro l'80) le ondate "emozionali", e ci proponiamo oggi quale "forza di governo", anche stando all'opposizione, in sintonia col regime nella sostanza, salvo l'esigenza che questa stessa sostanza sia "realmente" attuata, il che esige il famoso "pluralismo politico". Jaruzelski, se vuoi che la nostra riforma riesca, dacci il diritto di esprimerci nella sua concreta gestione. Ecco tutto.

E Kuron va anche più in là, a schede scrutinate: "È positivo il fatto che la gente abbia in maggioranza espresso sfiducia per il regime ma non per le riforme. Come dire sì alle riforme ma no a chi le gestisce"; "Ora tutto dipenderà dalla forza dell'ala riformatrice del potere e dalla sua capacità di aprire - magari non oggi ma tra qualche anno - un dialogo con la società." ("La Repubblica", 4 dicembre '87). Anche la sfiducia della "gente" si fa "costruttiva": posto che essa sta in uno con la piena fiducia nelle riforme di Jaruzelski, il suo obiettivo starà nello smuovere ulteriormente l' "ala riformatrice del regime" a quel dialogo di cui essa ha in primo luogo bisogno.

A questo punto ben si potrà comprendere come Jaruzelski possa valutare l'esito referendario come un successo vero e proprio: il programma "riformatore" messo ai voti non solo ha trovato l'adesione dichiarata dell' "opposizione", ma, una volta registrata la bocciatura elettorale, ha costretto questa stessa opposizione a fare un passo ulteriore, ad abbandonare il precedente "astensionismo"ed a schierarsi apertamente a fianco dei "riformatori" del regime per premere affinché esso sia attuato. Un Kuron ha così ben imparato le regole della democrazia da offrire al regime la giusta chiave di lettura per affermare che i cittadini hanno espresso, bocciando il referendum, il loro pieno accordo con esso. I rappresentanti diretti del regime non avrebbero neppur osato spingersi a tanto, ma, per loro fortuna, c'è chi ha provveduto immediatamente a tirargli fuori le castagne dal fuoco!

Ma di che "riforma" si tratta?

Cosa chiedeva, in sostanza, il regime ai propri cittadini? Di esprimersi su più piani. In politica: per un diverso rapporto tra potere e le varie istanze presenti, legalizzate o meno, nella società in vista di un effettivo "pluralismo" purché non "anarchico". È quanto questa "opposizione" chiede, non ponendo neppur troppa fretta all'interlocutore ("tra qualche anno" potrà andar bene, anche per oliare, nel frattempo, le rispettive macchine, espuntando i "conservatori" dal regime e gli esagitati "radicali" dall'opposizione). Sul piano economico e sociale: "perestrojka" verso l'ulteriore affermazione delle leggi del mercato e del profitto. Ed anche qui ci siamo. Un piccolo dettaglio: "in cambio", l'accettazione di sacrifici pesantissimi per una parte della società. Ed anche su questo l' "opposizione" che abbiamo sin qui considerato non batte ciglio: per risanare la comune patria polacca siamo ben disposti a far fare questi ed altri sacrifici a "qualcuno" di noi.

Ma qual è questa parte della società? È quella di un proletariato troppo "rigido", troppo "protetto", troppo portato a considerare il potere d'acquisto salariale quale "variabile indipendente". Questa è la parte della società che deve pagare per incentivare il rilancio, allettare investimenti, produzione, esportazioni, profitti privati (che tali restano anche sotto la veste della proprietà statale).

Il programma positivo in tre punti di Walesa non lascia dubbi: "Non volevamo allora - e adesso ancora di più - che col referendum si soddisfino tre esigenze: 1) pluralismo economico, cercando di trapiantare in Polonia modelli economici collaudati altrove. 2) Mercato, come elemento determinante del sistema di lavoro e quindi del benessere economico. 3) Garanzie per gli interessi dei gruppi che si formeranno in base al nuovo modello economico. "È un sindacalista, per giunta "oppresso" da un regime dittatoriale, che parla? Sì, un sindacalista alla Benvenuto, un sindacalista "dei cittadini", che guarda all'azienda Polonia come alla luce dei suoi occhi e che chiede perentoriamente che ad essa siano sottomessi gli interessi "particolari", "corporativi", degli operai, "variabile (finalmente!) dipendente".

L'interlocutore non può essere, a questo punto, che lo Stato, in quanto esecutore degli "interessi collettivi" della borghesia. I massimi organi dirigenti del POUM, annota Kuron, "sanno che l'introduzione di elementi estranei al socialismo come le leggi di mercato o la proprietà privata per quanto possano minacciare il sistema sono anche la sua unica possibilità di salvezza. È la stessa consapevolezza maturata a Mosca con Gorbacev." Piuttosto, sono da temere i livelli medi e bassi della burocrazia e i "milioni di seguaci degli ortodossi", pessimisti e sfiduciati". L'ex-campione "trotzkista" della lotta antiburocratica non affetta neppure più di prendersela con la testa della burocrazia, ma indirizza i suoi strali contro i livelli medi e bassi più condizionati dai loro rapporti con la massa e perciò restii a chieder risolutamente ad essi i "necessari sacrifici". Che faccia hanno quei "milioni di seguaci degli ortodossi?" Non sarà che hanno la faccia dell' "obsoleto" proletariato polacco?

"Pane al pane, vino al vino"

Se dai banchi di quest' "opposizione" perfettamente inserita nel gioco passiamo a quelli del regime al potere il discorso non muta d'una virgola, ma, semmai, si fa più chiaro ancora. Lasciamo la parola a M. Rakowski, gran consigliere del regime (sempre da "La Repubblica", 22-23 novembre '87). L'esordio è già da consumatissima vecchia volpe: "I polacchi diffidano del potere? Hanno le loro ragioni. (…) Dovremmo pretendere dalla gente di fidarsi di un potere simile? Di credere che le nostre promesse saranno mantenute?". No, occorre che, "pluralisticamente", la "gente" stessa si faccia partecipe e garante delle scelte.

E che scelte! "Vede, per quarant'anni questo paese è cresciuto sotto il segno di una concezione egalitaria e primitiva del socialismo. Il potere e la società, inclusa l'opposizione, sono figli di questa stessa concezione. Ciò vuol dire che riusciremo a cambiare il sistema se innescheremo una rivoluzione nel modo di pensare di governanti e governati, se tutti i polacchi si convinceranno che una società moderna non può fare a meno del superlavoro, dello stress, della concorrenza. Che, insomma, un sistema che dà poco ma chiede poco, e offre tante sicurezze assistenziali, è ormai inadeguato. Per questo credo che andremo verso molti conflitti, molte tensioni, molte contraddizioni".

Apprezziamo il nemico che parla chiaro. II "primitivismo" socialista ha sin qui significato un'enorme mobilitazione di massa dei lavoratori per costruire le basi di una "società moderna". In cambio, è stata data "molta sicurezza assistenziale" (sicurezza del posto di lavoro, ritmi non da stress, l'allettamento - a più riprese - di un potere di auto o cogestione diretta del sistema su basi capitalistiche). Oggi siamo arrivati al dunque. La "società moderna" incubatasi da questo sforzo collettivo si è enormemente differenziata ed esige, come ogni moderna società capitalistica che si rispetti, parecchia concorrenza, parecchio stress (dagli uni per la produzione, dagli altri per il conto e la riallocazione dei profitti). Ognuno al suo posto! Se "il profitto è ancora un peccato" nell'opinione di una larga fetta della massa (quale?) "la rivoluzione culturale resta da fare", proclama Rakowski. Che si tratti proprio, ed esclusivamente, di una rivoluzione delle "coscienze" di "tutti"? Dubitarne è d'obbligo. Regime ed "opposizione" sono egualmente intenti alla costruzione di un ben preciso blocco sociale in grado di molto esigere da alcuni (i proletari) e molto offrire ad altri (i proprietari). Il pluralismo politico? Esso sarà possibile, anzi: necessario, in rispondenza al pluralismo economico quale garanzia di efficientismo dall'uno e dall'altro lato, strettamente connessi.

"L'esigenza di andare verso una società di mercato è un'acquisizione comune, ma solo a livello puramente teorico. Se scendiamo nel concreto, non sappiamo se e come potremo far coesistere certi valori del socialismo con le leggi spietate del mercato e della concorrenza, che però crediamo servano a salvare il paese dalla crisi".

Il "se" e il "come" dipende, di fatto, dalla capacità di risposta del proletariato. Una parte (e diciamo pure l'enorme maggioranza) di quest'ultimo ha potuto sin qui fare un pezzo della sua strada confondendosi con l' "opposizione" dei "riformatori" borghesi. Da oggi sarà più facile vedere come la lotta di questi "compagni di viaggio" sia stata e sia per dar voce, economica e politica, ai puri interessi borghesi, disincrostandoli dai contrappesi "burocratici" (contro cui anche la classe operaia, per ben altri motivi, dirigeva i suoi strali). Nella crisi, non solo polacca, però, questa "riforma" è destinata a mostrarsi per quel che essa effettivamente è: un attacco quale mai si è visto contro la classe operaia. L' "opposizione" che ieri era un po' "di tutta la società polacca" è così destinata a scomporsi nell'atto stesso in cui va a definirsi quale "forza di governo", ombra o non ombra. Da ciò il glorioso proletariato polacco potrà imparare, in modo certo non immediato ed indolore, l'arte della sfiducia nei Glemp, nei Walesa, nei Kuron, così come ha già capitalizzato in passato quella verso i Gomulka ed i Gierek e la fiducia nelle proprie forze, nel proprio programma, nella propria organizzazione di partito.

Nel momento in cui bandiere falsamente rosse e bandiere pontificie s'incrociano nella promozione di una "moderna società" del sopralavoro e dello stress per il profitto potrà bene il proletariato polacco ridarsi la sua bandiera rossa di battaglia. Dal referendum è uscita, non foss'altro, quest'avvertenza: una parte della "società" polacca già oggi non si sente più rappresentata né dal regime né dall' "opposizione". I necrofori di Solidarnosc lo sapevano bene e perciò hanno vilmente giocato su due tavoli. Ma nascondere il problema significa solo rimandarlo per renderlo più acuto, non risolverlo.

La prossima puntata dell'insorgenza proletaria in Polonia suonerà la campana a morto anche per quest'ulteriore inganno sulla via dell'emancipazione.