La UCC e la "sinistra"

UNA "SVOLTA" NELLA PIÙ PIENA CONTINUITÀ

(ovvero: c'è qualcosa di "utilizzabile", per il proletariato, nell'esperienza BR?)

 

La lettera che nello scorso maggio alcuni esponenti della "Unione dei comunisti combattenti" hanno rivolto alla "sinistra", è un documento che esprime bene, sia pure in forma sintetica, la prospettiva complessiva di questa formazione e dà modo di intendere, a chi lo vuole, su quale terreno essa si collochi, comunista rivoluzionario o riformista.

Da parecchi anni andiamo sostenendo che l'esperienza delle BR non può essere considerata una rottura rivoluzionaria rispetto al riformismo e, più in generale, alla società capitalistica, se questa espressione sta ad indicare - come deve - la critica marxista dello "stato di cose presenti" nonché il programma, la strategia, la tattica e l'organizzazione conseguenti per la rivoluzione socialista. Assordato dall'effimero clamore delle azioni "combattenti", un settore di compagni non prestò neppure ascolto alla mostratesi o la ritenne un'esagerazione polemica. I fatti, però, hanno la testa dura. E la questione non cessa di ripresentarsi, per quanto su scala sempre più limitata.

COINCIDENZE

Mentre gli ultimi brigatisti "irriducibili" si apprestano a dare l'addio alle armi", a Rebibbia il sen. Bobbio tiene lezione ad ex-bierre e ad ex-piellini di rango. Spiega loro (v. "Micromega", n. 1/1987) che, pur fondandosi sul "patto di non aggressione" (tra i borghesi… per meglio aggredire il proletariato), la democrazia (borghese) non può rinunciare alla violenza né all'interno, né nelle relazioni internazionali. Spiega ai suoi nuovi allievi che giustamente lo stato (borghese) ha "il monopolio della violenza legittima", e poi che il bombardamento USA su Tripoli, anche se moralmente discutibile, "é servito", e poi… Qualcuno, forse, aspirava ad una "discussione" ("senza secondi fini) all'inferno della "sinistra intesa nella sua accezione più ampia "?

La lettera cui ci riferiamo (pubblicata su "Il Manifesto" del 30 maggio/1 giugno) è l'ultimo capitolo di una posizione i cui capisaldi sono in "Politica e rivoluzione" e in "Come uscire dall'emergenza?". L'occasione immediata che l'ha provocata è la proposta di "oltrepassamento" dell'esperienza BR formulata, a ridosso delle elezioni, da Moretti ed altri detenuti politici. Ma lo scritto, al di là del rifiuto ad accodarsi al "recupero in chiave anticomunista" dell'esperienza "combattente", è interessante perché traccia uno schizzo di bilancio di essa e di prospettive per essa e per "una seria rifondazione della sinistra rivoluzionaria italiana".

Significativa è, di per sé, la scelta dell'interlocutore con cui "discutere" ("senza secondi fini"…!?) sia della "liberazione dei detenuti politici" che degli "altri e ben più decisivi problemi" del momento: "la sinistra intesa nella sua azione più ampia". Una categoria che, nella sua ambiguità, "unisce" sotto lo stesso ombrellone (che ci ricorda quello di Altan…) interessi di classi e linee politiche distinti, quando non antagonisti: "movimento operaio" e movimento eco-ecopacifista, "opposizione istituzionale" (ovvero: PCI, verdi?, radicali?, etc.) e "sinistra di classe", fino a toccare addirittura "tutto ciò che si muove nel senso dell'indebolimento delle forze eternamente di governo" (una apertura ad un certo "alternativismo" PSI?). Non è un appello diretto alla classe operaia ed al proletariato (che - anzi - non sono segnalati con il loro ben noto nome e cognome), tuttora organizzati nelle fila e del riformismo borghese, perché, nel processo di riorganizzazione per sé, facciano proprio il contenuto rivoluzionario (se ce n'è uno) della lotta delle BR. È, viceversa, un invito rivolto; indistintamente, a masse lavoratrici e capi riformisti (e, in sostanza, più a questi che a quelle), per promuovere insieme un "blocco storico" volto ad imprimere "una svolta sostanziale (!?) nella direzione politica della società"; un blocco contro la DC e contro i monopoli, di più classi e di più partiti (riformisti e "rivoluzionari"), dentro il quale I'UCC si dichiara pronta a far confluire, per farla "utilizzare", la propria passata battaglia.

Fronte della "sinistra" o fronte di classe?

Quanto al contenuto essenziale di questa battaglia, gli autori della lettera lo descrivono così: "l'esperienza delle Brigate rosse è parte integrante della sua storia ("sua": cioè della "sinistra" - n. n.), delle sue aspirazioni, dei suoi tentativi più significativi di dar sbocco alle istanze di trasformazione espresse dal '68 in poi dai movimenti di massa". Una rivendicazione impeccabile, al cui senso si faccia, però, attenzione. II riferimento a "idealità e prospettive sostanzialmente omogenee" a tutta " la sinistra" non ha alcun nesso con l'obiettivo della rivoluzione proletaria e della società socialista. Del resto, come potrebbe essere comune una tale "idealità" e prospettiva ad un PCI che ha archiviato non solo l'Ottobre (il che, nella sostanza, era avvenuto da quel dì) ma perfino gli innocenti isolotti di "socialismo" di Berlinguer? E come Potrebbe esserlo con le forze dominanti ne! movimento pacifista attuale che rifiutano la violenza rivoluzionaria (o, quanto meno, la ritengono "inutilizzabile" nei paesi imperialisti)? o con le forze ecologiste che pretendono di salvare "l'umanità" dalle catastrofi prodotte dal capitalismo a prescindere dagli antagonismi di classe e dalla necessità di abbattere il sistema capitalistico? Non per caso il riferimento dell'UCC è ad un che di molto differente, alle "istanze di trasformazione espresse da! '68 in poi", che non sono istanze di carattere rivoluzionario e comunista, ma attengono, come ben si precisa, alla lotta "per un modello di sviluppo e di relazioni sociali alternativo a quello dominante". Una Nuova società liberata dallo sfruttamento capitalistico? No. Se le parole hanno un senso (e lo hanno!), si tratta di un nuovo "Modello di sviluppo" (ecco una stagionata locuzione riformista) dentro la società capitalistica, alternativo non al modo di produzione capitalistico in quanto tale, ma al "Modello" d.c., "conservatore" ed "oligarchico" dominante.

La solita illusione (con le solite conseguenze)

Tutte le lettere pubblicate negli scorsi mesi - loro contenuto a parte - sono espressione di una medesima, mai sopita, "velleità" idealista. L'illusione secondo cui ci sarebbe sempre, al di là del rapporti materiali tra le classi, del grado di coscienza di classe del proletariato, del livello di incandescenza raggiunto dallo scontro, indipendentemente cioè dalle condizioni obiettive, la possibilità per il "soggetto politico ", alias l'avanguardia rivoluzionaria (o presunta tale), di determinare, con la propria azione, il cambiamento del quadro complessivo dello scontro di classe. Basterebbe, secondo certi inguaribili idealisti; semplicemente "adeguare" il proprio "linguaggio" per potersi inserire nelle "contraddizioni del campo avverso "e dinamizzarle, con i mezzi più svariati, a proprio favore.

Ora, l'esistenza di differenti opzioni borghesi in lotta - talora perfino cruenta - tra loro, comporta la possibilità, per il proletariato e per i rivoluzionari, di approfittare delle divisioni nel "campo avverso", alla tassativa condizione di muoversi su basi rigorosamente autonome da tutte le frazioni borghesi. Se questa autonomia di programma, di strategia ed organizzativa manca ovvero è incompleta, la "accortezza tattica" sarà solo e soltanto un mezzo per portare acqua non al fronte rivoluzionaria, ma - al di là delle intenzioni - a quello opposto.

Per questo, compagni che vi interrogate sugli errori passati, nessuna esitazione! Taglio netto con il soggettivismo (non con la "volontà rivoluzionaria"), con il riformismo (ma non con le masse riformiste: si pub!), con il tatticismo immediatista (che è la più sinistra caricatura della concezione leninista della tattica, la cui essenza non è una astratta e semi-mercantile "accortezza ", ma la coerenza effettiva, in tutti gli zig-zag del processo rivoluzionario, con lo scopo finale).

Non per caso, l'interpretazione della realtà sociale e dello scontro tra le classi è fatta attraverso la lente deformante della sola distinzione tra "forze di governo" (o, alla Mosca, "classe di governo", "classe politica"…) e "sinistra". Nulla da ridire, è ovvio, sulla distinzione tra "modello conservatore" e "modello i sviluppo" riformista ( ma questa parola, tanto abusata in passato, non compare nella lettera); le due vie sono e resteranno distinte. Ma, qui sta il punto, è davvero alternativo il loro contenuto di classe, ovvero esse, pur facendo perno l'una sulla borghesia e l'altra sul proletariato, costituiscono due forme distinte di difesa degli stessi rapporti sociali ed istituzioni capitalistiche? Il silenzio su questo aspetto decisivo serve ad appiattire l'una sull'altra due prospettive solo in apparenza identiche: il fronte di classe e il fronte della "sinistra". La prospettiva del fronte di classe contro "l'offensiva conservatrice" (del capitale) è - per i rivoluzionari - anche il terreno su cui la massa del proletariato deve essere aiutata, nel vivo della lotta anti-borghese condotta con contenuti e metodi di classe, a liberarsi dal riformismo per meglio prepararsi allo scontro per la conquista del potere. Il fronte della "sinistra" dell'UCC, si propone invece, di bloccare quella "offensiva" (insieme con forze specialiste in collaborazionismo con la Borghesia), per affermare - con il sostegno di masse lavoratrici da lasciare ben inquadrate dentro i contenuti e i recinti del riformismo - un diverso modello di gestione dello stesso sistema sociale "dominante".

Cosa porterebbero di "proprio", in un tale fronte, gli eredi delle BR? Gli autori della lettere ce ne danno un saggio molto indicativo quando connettono la "critica politica che da più di quindici anni si esprime attraverso la lotta armata" alla denuncia della "concentrazione dei poteri" e della "verticalizzazione dei processi decisionali", dello "svuotamento" dei poteri del parlamento, della crescita del "distacco tra ceto politico e società civile" (sic!). "Le Brigate rosse - affermano - sono il soggetto che dal 1970 ad oggi rappresenta… l'interpretazione più radicale della critica sociale di forme-leggi-valore della politica borghese e l'espressione di una progettualità tesa alla trasformazione nella storia del paese in questi vent'anni" (c. n., come in precedenza): E impossibile equivocare: L'UCC rivendica la lotta delle BR come parte integrante (ed estrema) della più generale lotta democratica enti-autoritaria del post-'68. La fumosa "progettualità tesa alla trasformazione" altro non è che la critica della "integrazione sistemica di stampo autoritario" e della "cultura seriale" caratteristiche (le sole, le principali caratteristiche? Neanche una parola sull'inasprito sfruttamento del lavoro salariato!) della "offensiva conservatrice".

La rigida delimitazione di questa "progettualità" al campo nazionale (il "nostro paese") completa a dovere il quadro. Benché ad un livello abbastanza pedestre (si veda il "Rapporto" di Togliatti all'VIII Congresso del PCI per rendersi conto del livello del riformismo nel momento stesso in cui, secondo la visione BR, avveniva il "tradimento"…), siamo in pieno dentro la "tradizione italiana" (tanto cara all' UCC), ed internazionale - bisogna aggiungere -, dei fronti popolari di staliniana memoria. Una tradizione per la quale la necessaria (anche per i marxisti) lotta alla reazione ed al fascismo.comporta (all'opposto che per i marxisti) la abdicazione del proletariato ai propri indipendenti fini di classe e lo subordina - entro il "più ampio fronte delle alleanze" interclassiste - all'obiettivo borghese democratico di restaurare la forma liberal-pluralista della dittatura capitalistica sulla società.

Il corpo, l'abito, gli occhiali

Si ripete, a mò di mezza farsa, la repentina trasformazione, già avvenuta a metà degli anni '30, dei "socialfascisti" (ricordatele invettive a Pekkioli ed alle "iene-cerniera" del PCI?) in rappresentanti del "movimento operaio" (senza altre specificazioni), con cui si hanno "sostanzialmente omogenee prospettive e finalità". È questo il provvisorio punto di approdo di quella "reinterpretazione" della vicenda BR e di quel "generale rinnovamento della politica rivoluzionaria" che paiono necessari alla UCC.

Do you remember Stammhein ?

L'ultimo melodramma made in Italy, quello di Porto Azzurro, ha avuto l'epilogo che meritava. Abbracci e baci tra "sequestrati" e sequestratori, tra direttori di carceri e "killer delle carceri", tra l'ex-capo di `Autonomia operaia" Vesce ed il capo dei fascisti dei NAR Tuti. La `forza" e la "ragione" della democrazia borghese sugli scudi. E, a latere, ampi riconoscimenti pubblici alla "correttezza" e alla "ragionevolezza"; all' "onore" dei "re della mala "sarda e genovese o del nostalgico del "fascismo puro e duro". Una "rivolta" a lieto fine, dunque. Lacrime a volontà per le mamme, sospiri di sollievo dei conti in banca degli albergatori, champagne per chi può. Un trionfo della "non violenza", che ne prepara altri: la scarcerazione del "povero" stragista Signorelli, un trattamento "più umano" per il "povero" don Rafele, qualche licenza premio per il "ravveduto" massacratore del Circeo, la laurea honoris causa in gandhismo per i mammasantissima della 'ndrangheta e della mafia, e via dicendo.

È il trionfo dell'ipocrisia di stato. Sotto le spoglie del "mancato spargimento di sangue", si è celebrato un rito di "riconciliazione nazionale" tra i massimi esponenti dell'apparato repressivo della classe capitalista ed i propri servi neri; ex-neri, malavitosi, radicali e quant'altri della stessa risma. Ma questo e simili riti preparano il terreno al pugno di ferro contro quella forza sociale che, per "legittima difesa"; dovrà infrangere questa finta concordia generale, il proletariato. Come sempre, le borghesi rappresentazioni "di pace" coprono 1'apprestamento di politiche di oppressione e di guerra.

È così che, nei giorni in cui i mezzibusti della nazione eccitano la posticcia gioia dei "cittadini", a noi marxisti, pessimi cittadini della vostra repubblica, vengono alla mente l'anarchico Pinelli che la polizia democratica suicidò dalla questura di Milano, e il giovane anarchico Serantini che morì nel carcere di Pisa il 7 maggio 1972 per percosse democratiche ed incuria democratica (verso gli avversari non pentiti); il trattamento "di favore"riservato dalla magistratura democratica al bierre Pelli ed al nappista Buonoconto, morti in carcere o di carcere e la repressione violenta ed immediata delle rivolte dell'Asinara e di Trani (quando tutti, il "buon "nonno Pertini in testa, pretesero la massima "fermezza"); l'interrogatorio un po'… particolare subìto dal bierre Di Lenardo (ed il meritato premio per il suo torturatore, che accoglieste nel vostro Parlamento), i braccetti della morte ed i carceri speciali "pronti per l'uso" e -soprattutto - le decine di assassinii a freddo, e ovviamente impuniti, specie per auel che riguarda i mandanti, di operai, braccianti, studenti e compagni compiute in quaranta anni di "pacifica" convivenza democratica, i quaranta anni che separano Portella della Ginestra dall'eccidio "casuale" della "Montanari" a Ravenna. Non ricordiamo tutto ciò per chiedere riabilitazioni ovvero per spacciare "eroi (spesso sepolti nella dimenticanza dai propri stessi "compagni"), né - tanto meno - per invocare giustizia da uno stato che li colpì o protesse chi li colpì, dallo stato capitalistico, carabiniere della più infame tra tutte le ingiustizie: lo sfruttamento dell'unica classe che tutto produce. La legge borghese non è e non potrà mai essere "uguale per tutti". Ricordiamo il "passato" comportamento della polizia, della magistratura, degli apparati carcerari dello stato capitalistico perché esso contiene, informa attenuata, il futuro comportamento di questi stessi organi contro l'unica vera "eversione" dell'ordine costituito cui tale nome si addica, l'insorgenza rivoluzionaria del proletariato.

Intanto, il 18 ottobre fanno dieci anni dal democratico "suicidio "di stato di Stammhein e s'avvicinano i venti anni dalla "strage distato "del dicembre '69. Più tempo passa, più - anche attraverso i momenti bui - il tempo s'avvicina.

Una svolta improvvisa? Solo in superficie. Di essa esistevano, già nel 1970, tutte le premesse di fondo (in questo gli autori della lettera hanno ragione); ad essa sia "Politica e rivoluzione" che "Come uscire dall'emergenza?" avevano preparato il terreno. Quest'ultimo documento reclamava la necessità di "relegare una vota per tutte nell'armadio dei ricordi l' 'abito' estremistico" che aveva rivestito il "nocciolo" politico della lotta brigatista. E qui sta il punto. Caduto l'abito, cosa rimane?

L'esperienza BR si è caratterizzata, dall'inizio alla fine, per una combinazione tra riformismo dei contenuti ed estremismo delle forme. L'opuscolo in questione, confermando in complesso i vecchi contenuti, si concentra in una critica delle forme. Ne vien fuori, certo, un discorso più "sobrio" e "sensato" (termini usati dagli estensori del testo) sull'abbigliamento. Ma, per andare a parare dove? La lettera alla "sinistra" dà una prima, chiara risposta al quesito.

II "nocciolo" politico della lotta brigatista non è mai stato altro. Ne 'L'Ape e il comunista", l'obiettivo programmatico dell'azione BR era "staccare l'anello Italia dalla catena imperialista" per farne il paese capofila del… nonallineamento (tesi 20), concezione alternativa alla promozione della rivoluzione proletaria su scala mondiale. In "Come uscire dall'emergenza?" il "partito combattente" propugna "una proposta di modificazione profonda (!?) dell'assetto sociale capitalistico" (p. 116) e dà alla "campagna di lotta alla svolta reazionaria" il compito di fare della classe operaia "il punto di attrazione per tutte quelle forze sociali disposte a schierarsi dalla parte delta vera democrazia", inclusa una parte della borghesia (sempre per non… compattarla: p. 121-122). E potremmo continuare con lo spulcio delle "risoluzioni strategiche" degli anni '70 col medesimo risultato.

In realtà, il brigatismo è stato un mixage tra un corpo programmatico riformista, più o meno duro (ereditato, se ne sia o no consapevoli, dello stalinismo, e non - come talora si pretende - da Lenin e dal marxismo rivoluzionario), un arsenale delle forme "estremistico" (comune - con le armi o senza, è un aspetto di dettaglio - al movimento post-'68) ed un paio di occhiali da (s)vista acquistato nella odiata bottega del soggettivismo di "Negri & C.". Qualcosa di questa mistura è "utilizzabile" per il fronte della "sinistra"; nulla - invece - lo è per la ripresa rivoluzionaria del proletariato, con la quale, non a caso, non solo in Italia ma nel mondo intero; le BR e i gruppi affini non riescono mai ad "incontrarsi".

Ieri il brigatismo, con la sua teoria dell'offensiva permanente e la pressuposizione di una sorta di "doppio potere" in atto, non comprese l'effettivo stato del movimento proletario e le sue difficoltà a "gestire" - in un mutato contesto obiettivo - le "conquiste democratiche" del '68. Oggi, gli epigoni del brigatismo, con la loro unilaterale accentuazione della offensiva borghese e delle "sconfitte" del proletariato (lette entrambe, soggettivisticamente, attraverso le proprie sconfitte), non sanno rapportarsi in modo rivoluzionario all'oggettivo inasprirsi del contrasti di classe ed al processo di indurimento della resistenza proletaria che sono in corso. Ieri le BR elidevano la "complicazione" riformista raffigurando il PCI come una seconda "agenzia Pinkerton", del tutto esterna e sovrapposta rispetto alle aspettative ed ai bisogni immediati delle masse proletarie. Oggi la UCC la elide in una direzione solo apparentemente opposta, … dimenticandosene. Di modo che la proclamata "rivalutazione della lotta di massa" si converte nella effettiva rivalutazione delle fallimentari (per il proletariato!) direzioni riformiste, in un quadro tutto togliattiano di disarmo dai fini indipendenti di classe. In entrambi i casi, il contributo dato dalle BR al materiale processo di organizzazione e di lotta della classe operaia e del proletariato, al rafforzamento degli elementi anche solo embrionali di distacco dal riformismo ed al ripristino del programma comunista, è stato non nulla, ma negativo.

Non è questione, perciò, di maggiore "sobrietà", come se bastasse oggi aggiungere un dado di "realismo" dentro il minestrone per renderlo mangiabile. La questione è degli ingredienti di base, di ABC del comunismo. Per dirla con una vecchia frase: la sostituzione della critica delle armi (fatta al modo del soggettivismo piccolo-borghese) all'uso delle armi della critica marxista, ha dato i risultati che tutti hanno sotto gli occhi (e che era possibile prevedere).

Certo, a suo tempo, l'esperienza BR segnalò il problema del "potere politico". Ma questa medesima esperienza, compresi i suoi svariati punti di approdo- nessuno del quali comunista-, dimostra una volta di più che Non bastano assolutamente la "volontà rivoluzionaria" e l'astratta indicazione di un problema per dare una risposta corretta ai compiti ed alle difficoltà del processo della rivoluzione proletaria. Senza il duro lavoro di riacquisizione integrale (teorica e pratica) del marxismo, non sarà possibile alla più "pura" delle "buone volontà" di rompere con ogni forma di ideologia borghese (senza "rompere", evidentemente, con il proletariato che allo stato è ancora riformista, anzi trovando modo di entrare realmente in contatto con esso per come è, nella prospettiva di ciò che - con il concorso del rivoluzionari - può e deve diventare).