Più la crisi scava sotto il sistema capitalistico mondiale, più lontana si fa la "pace", in tutti i sensi e in tutte le dimensioni. C'è sempre meno pace (imperialista) tra le massime potenze mondiali; tra imperialismo e masse supersfruttate dei paesi dominati; tra borghesia e proletariato non solo "in periferia", ma anche nelle metropoli (se non altro a livello di oggettiva polarizzazione). Rispetto ai primi anni '80 la scena è profondamente mutata su tutti i piani, compreso quello specificamente militare. A partire dalla guerra dell’Inghilterra per le Malvinas, è stato tutto un succedersi, senza soluzioni di continuità, di veri e propri "limitati" atti di guerra, in cui, direttamente o indirettamente, sono implicate le borghesie europee, e quella italiana tra esse: dalla "missione di pace" di Beirut al bombardamento anti-palestinese su Tunisi, dal criminale raid USA (con appoggi europei) sulla Libia all'intervento francese nel Ciad, fino alla esplosiva concentrazione di mezzi da guerra nel Golfo Persico.
Ebbene, proprio mentre la borghesia imperialista va sempre più apertamente aggressivizzandosi, sia all'interno che all'esterno, le masse "pacifiste" vanno abbandonando progressivamente il campo di lotta. Ben poco è rimasto in piedi di quel movimento "pacifista" che si dipanò in sterminate passeggiate-referendum finalizzate a far sentire alle "due superpotenze" l'appello della Europa "intera" a favore della "pace", ossia delle condizioni pre-esistenti all'inasprimento dei rapporti tra Est e Ovest. Perché? Perché le contraddizioni oggettive si sono nel frattempo spostate in avanti e - preso atto dell'acuirsi della concorrenza - settori sempre più vasti delle classi intermedie si stanno attivizzando nel rivendicare per la propria nazione e per sé, nel mercato interno e su quello mondiale, riconoscimenti e spazi "vitali", sia contro le "pretese" di altre fazioni del capitale, sia contro la classe operaia e le masse doppiamente sfruttate dei paesi indebitati e/o "ribelli" del sud del mondo. L'aggravamento dei contrasti antagonistici toglie terreno sotto i piedi, a velocità crescente, al pacifismo piccolo-borghese, che sognava di poter "risolvere" pacificamente tutti i conflitti.
I campi contrapposti e le rispettive soluzioni reali vanno demarcandosi con una nettezza crescente. L'alternativa estrema che il "pacifismo" di tutte le sfumature vorrebbe poter evitare, è invece esattamente quella che viene avanti: o guerra imperialista o guerra di classe per il socialismo. Le terze vie del "nuovo ordine economico internazionale" e dei "nuovi modelli di sviluppo" sono interrotte e dissestate da frane in più punti. E si preparano -per esse catastrofi che neppure uno stellone più grande di quello di Gaspari potrebbe allontanare.
Mentre il grosso della massa "pacifista" piccolo-borghese è risucchiato dallo spostamento a destra delle classi medie, il procedere stesso delle cose spinge in direzione di una scesa in campo della classe operaia e del proletariato anche sulle questioni della pace e della guerra. Non ci facciamo illusioni, né sul ritardo operaio che è enorme, né sugli orientamenti delle prime timide "avance" del proletariato in questo campo. Nondimeno, piccoli indici di movimento ce ne sono. Alle prese di posizione - sia pure ad oggi ancora singole e isolate - di consigli di fabbrica o di gruppi di operai rispetto al traffico di armi in cui sono impegnate le "proprie" aziende (come alla Contraves e all'Elettronica di Roma) ovvero ad altri traffici controrivoluzionari (vedi la protesta all’Italsider di Taranto per il carbone al Sud-Africa), alle numerose adesioni - pur se ancora piuttosto formali - che dai consigli di fabbrica pervennero alla manifestazione di Venezia contro il "vertice dei 7 briganti" del 6 giugno, si sono andati ad aggiungere, nelle ultime settimane, il pronto sciopero dei portuali di Genova contro l'invio delle navi italiane nel Golfo Persico e le prese di posizione dell'Arsenale militare e degli appalti Italsider di Taranto, dei cantieri navali di Sestri e di altre realtà di fabbrica sulla medesima questione.
Indubbiamente "poco", molto poco, se lo confrontiamo -astrattamente- alle necessità del momento. Ma la residua incredulità, la percezione delle "missioni di pace" come di avvenimenti ancora lontani ed "esterni" , che tuttora affliggono il proletariato, rispetto ai crescenti rumori di guerra ed ai concreti atti preparatori, saranno terremotate immancabilmente dagli sviluppi futuri della situazione. Ai rivoluzionari il compito sia verso la massa ancora ferma, che verso ciò che resta (in parte trasformato) del vecchio "movimento pacifista", di pavimentare il terreno per favorire l’entrata in campo del proletariato, l’unica forza potenzialmente capace – sulla base della propria autonomia di programma di organizzazione – di unificare le molteplici tensioni "per la pace", "antinucleariste", "antimperialiste", "anticapitaliste".