Dietro le manovre d'intervento imperialista per assicurare la "libertà di navigazione" e il regolare flusso di un petrolio a basso costo verso le metropoli in nome della "pace" tra Iran e Irak, c'è sempre e comunque un unico denominatore comune: un'offensiva diretta contro le masse oppresse del Medio Oriente e contro lo stesso proletariato metropolitano. La "pax" imperialista altro non è se non la prosecuzione e l'intensificazione della più brutale guerra controrivoluzionaria. È dovere del proletariato è di opporvisi senza alcun cedimento, senza concessione alcuna! Questo articolo è stato steso prima che i sacri e patriottici furori interventisti decidessero l'Italia di oggi, degna erede di quella del Conte Cavour, di Vittorio Veneto, di Garibaldi e - perché no? di Mussolini, a fare il suo presentat-arm nel Golfo; nonché prima che la "dura" opposizione del PCI rinunciasse - per la mirabolante vittoria di un "rinvio tecnico" di 24 ore - allo stesso ostruzionismo parlamentare, dopo avere scartato nei fatti le prospettive di un'effettiva opposizione "extra-parlamentare" nelle fabbriche e nelle piazze. Ovvio, perciò, che questo articolo sia, in sé, incompleto". Provvederemo senz'altro a "completarlo" sulla linea che esso stesso inequivocabilmente traccia. Infatti, qualunque cosa accada fino al momento in cui il "Che fare" sarà in distribuzione, è certo che sia per le borghesie internazionali che per il proletariato internazionale la "questione del Golfo" sarà più che mai aperta. Arrivino pure, stazionino pure le "nostre" navi nel Golfo, se non ci sono state forze sufficienti a bloccarne la partenza! Lo scontro comincia appena… |
La "guerra dimenticata" Iran-Irak comincia a venire d'attualità in Occidente. "Guerra dimenticata"? In realtà, sin dal suo inizio - con l'apertura delle ostilità contro l'Iran da parte dell'Irak il 22 settembre 1980 -, questa guerra è stata fatta dimenticare solo ai proletari d'Occidente, mentre le borghesie metropolitane non solo l' hanno seguita col massimo d'attenzione, ma l' hanno sollecitata, guidata, alimentata a suon di armi per cifre impressionanti di milioni di dollari offerte – "imparzialmente" - all'una e all’altra parte. Quanti piccioni con una sola fava! L'apertura delle ostilità nell'area per invadere un mercato quanto mai ricettivo per la vendita di armi; un'operazione di controllo contro la rivoluzione scoppiata nel '79 in Iran, per consegnarne provvidamente le sorti alla reazione khomeinista così da "ricompattare" il "popolo" iraniano attorno a bandiere controrivoluzionarie ed impedire l'espansione del movimento delle masse sfruttate iraniane a tutto il Medio Oriente; il maneggio - peggio che colonialista delle risorse naturali dei paesi del Golfo ad uso e consumo - a prezzi stracciati - dell'Occidente! Sono passati sette anni da allora e dalla macchina bellica alimentata dalle metropoli imperialiste sono stati ingurgitati, secondo calcoli più o meno ufficiali, un milione e mezzo di morti. Gli "onesti" affari, economici, politici e militari, dell'Occidente non hanno subito interruzioni nel frattempo e promettono anzi d'incrementare. Ma c'è un "ma". La spinta rivoluzionaria anti-imperialista accesasi in Iran nel '79, ancorché tradita e deviata dal khomeinismo, non si è spenta. L’"inutile guerra" (quanto utile per l'imperialismo!) ad una cosa almeno è servita: a mettere in luce il ruolo sempre più criminale dell'imperialismo metropolitano, a focalizzare in esso, agli occhi delle masse, il nemico primo da abbattere, a scavare un solco lentamente, ma metodicamente crescente tra aspirazione antimperialista delle masse oppresse e direzione "islamica" della presunta "jihad" contro il Grande Satana. La guerra reazionaria suscitata dagli apprendisti stregoni della borghesia rischia di sfuggire ad essi di mano: il khomeinismo è riuscito a deviare provvisoriamente la marea rivoluzionaria, ma non a tacitarne le ragioni, che prepotentemente tornano a galla ad esigere una reale direzione antimperialista che, nelle sue storiche prospettive, non potrà avere né i colori dell'Islam né quelli di una falsa "pax" propiziata dall'Occidente né potrà restar confinata all'area attualmente oggetto di massacro, ma oggettivamente richiama le ragioni della rivoluzione sociale comunista, senza frontiere di stati, di lingue, religioni, colori di pelle.
Dall'80 ad oggi l'Occidente, con la complicità dell'URSS e delle sue locali appendici, tipo Tudeh, ha tamponato il pericolo della rivoluzione, ma non l' ha scongiurato ed oggi, di fronte ad una situazione ridiventata comunque incontrollabile, esso si appresta al secondo atto: un intervento diretto in quest'area di "nostro interesse vitale". Il "nostro" Golfo, il "nostro" petrolio, la "nostra" sicurezza. Come conosciamo bene la musica! Le "democrazie" occidentali ed il "socialismo" sovietico rubano a piene mani dall'arsenale nazi-fascista. La teoria dello "spazio vitale" non è mai stata così d'attualità, ed è logico, perché, per l'imperialismo, spazio vitale è il mondo intero. Non è forse il Nicaragua per i capitalisti USA "il nostro giardino di casa"? I paesi del Golfo, allora, altrettanto logicamente, ne costituiranno l'orticello da cui occorre estirpare la gramigna rivoluzionaria. Finché il "disordine" costituiva una risorsa per il "nostro" ordine tutto andava per il meglio; ma, ora, se questo disordine venisse a minacciare il "nostro" tappeto d'erba inglese? Occorre, allora, provvedere, ed al più presto. Occorre, allora, far ricordare al "nostro" proletariato la "guerra dimenticata" per insegnargli che è "nostro", "comune" interesse mettere un po' d'ordine nell'area, senza di che il "nostro" petrolio verrebbe a costare "per tutti" più caro, l'inflazione tornerebbe a marciare e gli straccioni d’Islam, destinati dalla "nostra" civiltà al massimo a fungere da miserabili "vu cumprà" soggetti alle regole ed ai soprusi delle "nostre" democratiche forze d'ordine, potrebbero portare il "loro" disordine entro i "nostri" orticelli e giardini di casa.
Naturalmente, in questo fervore di "pacificazione" dell'area, su cui tutte le forze imperialiste metropolitane si trovano d'accordo, ognuna di esse lavora per sé contro la concorrenza dei propri sodali in controrivoluzione. Gli USA hanno gettato nell’"affaire" tutto il loro peso di grande, e declinante, potenza economico-finanziaria, politica e militare per condizionare ai propri disegni gli "alleati" europei e contrastare l’"infiltrazione" sovietica. L'URSS lavora ai fianchi, di rimessa, appoggiandosi agli interessi anti-USA delle forze reazionarie khomeiniste, pedina preziosa nel gioco di scacchi con l'avversario e preziosa cauzione contro ogni ritorno d'azione indipendente della rivoluzione degli oppressi in Iran. Le forze borghesi europee s’industriano come possono, l'una contro le altre armate, per ritagliarsi il proprio spazio: dalla Francia, sempre in vena di rivendicare una propria autonoma "grandeur", all'Inghilterra, ex-grande potenza, imbarcata ("autonomamente", of course, sul vascello USA), all'Italia, singolare terreno di scontro tra varie frazioni che vanno dal filo-americanismo più spinto alla più spinta e "levantina" tendenza a giocare in proprio, tra le pieghe lasciate scoperte dai maggiori partners.
Ciò che unifica tutti questi briganti in lotta a coltello fra loro è l'unanime e concorde sforzo per ricondurre i proletari d'ogni proprio paese alle ragioni della controrivoluzione. Non occorre una Comune di Parigi in atto perché si realizzi questo "fronte unico" controrivoluzionario; il solo remoto (ma di quanto remoto?) spettro è sufficiente a dargli corpo ed "anima"…
Noi non crediamo ad un intervento diretto di forza da parte dell'imperialismo nell'area, perlomeno allo stato attuale, perché ciò significherebbe per esso chiamare ancor più decisamente i popoli dell'area alla "guerra santa antimperialista". È una condizione che intralcia gli USA persino di fronte all’"insignificante" Nicaragua; figuriamoci perla sterminata area mussulmana. Si tratta, piuttosto, di far valere "indirettamente" le proprie ragioni, ovvero i propri appetiti; costringendo le parti direttamente in causa a non travalicare i limiti stabiliti . Che, alla distanza, si tratti di una quadratura del cerchio è, per noi, altrettanto certo, perché la "normalizzazione" provvisoria dell'area agirà da ulteriore elemento di differenziazione tra le masse oppresse e le direzioni "antimperialiste" reazionarie che sin qui hanno saputo prenderne il controllo sulla base di un ampio (e provvisorio) consenso "popolare" e di una feroce repressione contro le forze autenticamente rivoluzionarie in stretta combinazione.
L'importante, per noi comunisti, è, in questa situazione, operare al massimo delle nostre forze per sbattere dinanzi agli occhi dei proletari metropolitani la realtà di questa guerra ex-"dimenticata" e delle grandi manovre imperialiste al falso scopo di porvi fine in nome della "pace", dell’"umanità" del "bene di tutti".
Va mostrato che questa guerra, sin dal suo lontano scoppio nell'80, è stata condotta al servizio dell'imperialismo contro le masse sfruttate dell'area e contro lo stesso proletariato metropolitano. Quest’ultimo infatti, è stato condotto alla totale passività, alla "dimenticanza", mentre politici, finanzieri e mercanti d'armi borghesi facevano i loro loschi affari su montagne di cadaveri. Una passività ripagata, ieri, con un pugnetto di briciole raspate dal bottino (o quanto meno con un'attenuazione dell'attacco indotto dalla crisi alle condizioni di vita dei proletari); salvo che, oggi, si vorrebbe far compiere ai proletari il passo ulteriore: dalla dimenticanza complice al coinvolgimento attivo a fianco delle proprie borghesie. Non per la pace, ma per la guerra, la sua intensificazione e dilatazione in quanto guerra controrivoluzionaria.
Le posizioni borghesi sono sì differenziate sui modi di questo coinvolgimento, non sulla sua sostanza. Non c'è alcuna loro posizione da preferire come scelta. Non, ovviamente, per restare all'Italia, quella dei (pochi, per ora, allo scoperto) paladini del mezzo servizio dietro gli USA; non quella di una "concertazione europea" in più o meno esplicita concorrenza con gli USA sul campo; e neppure quella che si richiama, con Andreotti e PCI a braccetto, all'intervento "super partes" dell'ONU. Quest'ultima petizione semplicemente non ha possibilità di attuazione, perché l'ONU (quello che, con Lenin, possiamo chiamare il "covo dei briganti imperialisti") è anche sede dei più feroci appetiti contrapposti che, di fronte al prelibato boccone del Golfo, mal potrebbero comporsi in una solidale concertazione (a meno che, per l'appunto, non divampasse da esso la fiamma di una rivoluzione sociale proiettata oltre l'area stessa, nel qual caso tutti i briganti si stringerebbero in blocco unitario per soffocarla). La "neutralità" dell'ONU è una beffa; il richiamo al suo intervento una falsa scelta, che nasconde il ricorso obbligato, al momento giusto, ad altre soluzioni. Per il proletariato una sola sarebbe la soluzione idonea: il proprio intervento a fianco delle forze rivoluzionarie che nel Golfo tentano di rovesciare la guerra reazionaria in guerra civile contro i propri governi per il socialismo: dal '79 questa soluzione invano bussa alle porte del proletariato d'Occidente e ben sappiamo quali e quanti siano le difficoltà oggettive e soggettive, qui e nel Golfo, per arrivarvi e come, anzi, ulteriori ritardi e tralignamenti siano venuti ad aggiungersi a quelli consumati dall'inizio della rivoluzione iraniana del '79. Che almeno, però, il proletariato d'Occidente cominci a percorrere la strada a rovescio, in direzione del proprio programma storico, opponendosi ad ogni "interventismo" nell'area a servizio della "propria" borghesia, sia che quest'interventismo rivesta i panni da "Popolo d'Italia" dell'avanguardista di "Repubblica" Sandro Viola sia che esso si nasconda dietro il latte e miele dell’"umanitarismo" e dell’"universalismo" in nome dell'ONU di un PCI (sulla cui attitudine rispetto alla rivoluzione del '79 in Iran e del suo strangolamento da parte di Khomeini basterà sfogliare la raccolta della sua stampa per documentarsi, così come sarebbe istruttivo vedere con quale tempestività e coerenza esso si sia "battuto" contro il lucraggio che sulla guerra Iran-Irak ha fatto la "nostra" borghesia in tutti questi anni)!
Ci si obietterà: ma l'opposizione al "nostro" intervento nel Golfo per "garantire" etc. etc. non significa forse dar via libera a Khomeini? Ebbene, è ora che si cessi questa commedia. Il regime khomeinista è stato sorretto in tutti questi anni proprio dall'imperialismo nella sua funzione reazionaria contro le masse sfruttate; se oggi gli si vuol mettere un freno da parte dell'imperialismo è solo in quanto il coperchio Khomeinista non riesce a dominare le forze anti-imperialiste che ribollono dentro la pentola, in quanto lo stesso "anti-imperialismo reazionario" (come correttamente lo definiscono i compagni iraniani) dell'integralismo sciita rischia di far da miccia per ben altra esplosione. Quel che andava bene contro la rivoluzione delle masse oppresse, non va più bene dal momento che esso non basta a mettere la sordina all'elemento anti-imperialista comunque presente (e in espansione) nella situazione dell'area. Un cambio della guardia a Teheran sotto l'egida imperialista significherebbe semplicemente l'instaurazione di un regime fantoccio, incapace anche solo di innalzare la bandiera della lotta al Grande Satana, ma ciò potrebbe darsi solo attraverso il più feroce disciplinamento delle masse sfruttate da parte dell'imperialismo, il che, come abbiamo detto, costituisce una tentazione appetitosa, ma di improba realizzazione se prima non si "convincono" ed intruppano le masse proletarie d'Occidente. Ecco perché una decisa opposizione all'interventismo imperialista da parte del proletariato metropolitano costituisce non una garanzia per Khomeini, ma una duplice garanzia per uno scioglimento rivoluzionario della situazione nel Medio Oriente contro l'odioso regime integralista: perché evidenzierebbe di fronte alle masse dell'Islam che esse hanno qui non solo un proprio nemico, il capitale, ma un potenziale alleato nella causa del loro riscatto, il proletariato e perché, su questa base, diverrebbe per esse più impellente ed agevole tracciare un solco divisorio tra sé e il proprio regime.
Giù le mani dal Golfo, allora, incondizionatamente! Non per lasciare che Iran e Irak "si facciano la loro guerra in santa pace" (come ci è capitato di leggere in un pezzo di prosa "antimilitarista" nostrano), ma perché, in luogo della guerra reazionaria si sviluppi una guerra civile di liberazione contro i regimi di Khomeini e Saddam Hussein e contro l'imperialismo, contro la duplice oppressione cui le masse sfruttate dell'area sono soggette. Il dovere dei rivoluzionari del Golfo, a cominciare dal PC d'Iran, di cui abbiamo sempre dato conto, nel più assoluto black-out anche e proprio da parte della stessa "ultrasinistra", resta quello di sempre: disfattismo rivoluzionario contro i propri regimi; il che non va confuso, però, con il disfattismo nel caso eventuale di un intervento diretto contro l'Iran da parte dell'imperialismo, perché in questo caso il fronte di guerra si traccerebbe tra imperialismo oppressore e paese oppresso. In questo caso (per quanto improbabile allo stato attuale delle cose), i comunisti sarebbero nella lotta contro l'aggressione imperialista, senza cessare per un attimo di condurre una lotta parallela al "proprio" regime, alla "propria" borghesia, esattamente al fine di far sì che la guerra anti-imperialista sia condotta "fino in fondo", sulla punta delle baionette di una rivoluzione sociale delle masse.