Block-notes

"WOTTA SITTA"

(VIENE IL TEMPO)


Le elezioni in Sud-Africa, che l'intera civilissima Europa aspettava (così pare) coi fiato sospeso per verificare l'avanzata di un difficile "processo di avvicinamento" tra la maggioranza nera e i bianchi "democratici" o "liberal", hanno dato un responso inverso. Non solo la borghesia razzista e sfruttatrice non ha intenzione di liquidare l'apartheid, ma esprime dal suo seno un consenso crescente per le forze più reazionarie (mettiamo un solo "più" rimanendo, per una volta tanto, al di sotto della denuncia necessaria). Soprattutto: è stata una débâcle per le cosiddette forze riformatrici, sempre più isolate dentro le classi sfruttatrici, nonostante l'ampio sostegno internazionale.

L'apartheid imperialista del Sud-Africa si dichiara così, a chiare lettere, per quello che effettivamente é: irriformabile.

Sul fronte opposto, il successo della protesta nera contro le elezioni è stato grande. "Il vero successo di queste elezioni - scrive l'Unità del 7 maggio - è il massiccio astensionismo dal lavoro con cui la maggioranza nera ha voluto denunciare la ritualità (scusate lo smidollato redattore, è pur sempre un picista) del potere dei bianchi. Si calcola che più dell'80% dei lavoratori e degli studenti non sia andato al lavoro o a scuola, mentre imponenti schieramenti di polizia hanno presidiato, oltre ai seggi, tutti i ghetti "neri". Ma la parola d'ordine delle organizzazioni nere non era quella di uscire dai ghetti, ma di boicottare il lavoro e la scuola, di scioperare. Ed a questo scopo, nonostante lo stato di assedio, erano circolate le informazioni sufficienti e, nel contempo, si era esercitata dentro i ghetti la violenza necessaria al buon esito della giornata di lotta.

Ha di che lagnarsi il bonzo Tutu, che giudica queste elezioni "le peggiori della storia", ma il movimento rivoluzionario delle masse nere ha fatto, in questo scontro, un ulteriore passo in avanti, bruciando anch'esso, e consapevolmente, con i cerchi di fuoco e senza, altre risorse per un improponibile "terza via". Il risultato di queste elezioni dice che da entrambe le parti antagoniste ci si sta preparando alle decisive battaglie che in Sud-Africa non sono molto lontane.

In Europa si reagisce con un certo disappunto a questa linea di tendenza, ma nessuno si è minimamente sognato di chiedere di inasprire le peraltro inesistenti "sanzioni" contro un apartheid che è chiaramente destinato ad inasprirsi. Nessuno, neppure i riformisti che vedevano nelle sanzioni una via pacifica per evitare il peggio. Il peggio, per loro, è sempre lo scontro aperto e frontale tra borghesia e masse proletarie.

E ora? Già s'intende che le borghesie europee ed americana non potranno che "prendere atto" dell'evoluzione delle cose, rassicurando, però, il proprio "pubblico", che continueranno a premere sul partito di Botha affinché non abbandoni la sua linea di "riforme", ma prosegua sulla propria linea "democratizzante", se non proprio democratica. E facile prevedere che, sino a quando l'insorgenza della masse nere non li costringerà a cambiare qualcosa (perché il minimo cambi), le borghesie europee accetteranno anche loro, più di quanto non abbiano fatto sinora, l'esistenza di uno stato di emergenza in Sud-Africa. In nome del realismo, s'intende, e del progressivo cammino verso il "meglio"...

Elezioni farsa: così una serie di organismi in Italia ha bollato le elezioni razziste (democratico-razziste) in Sud-Africa. Bene, ma, cosa dire delle "sanzioni" europee e della "pressione" europea e italiana su Botha e soci se non che sono "sanzioni farsa"? Ma, su questo punto, questi stessi comitati, o almeno molti di loro, che deprecano l'assenza di democrazia "laggiù", hanno pensato bene di tacere. Eppure, se l'apartheid continua a mantenersi in piedi nonostante il formidabile isolamento dalle masse nere, è solo per il sostegno internazionale che riceve dal sistema imperialista, in particolare dagli USA e dall'Europa (quest'ultima desiderosa di coprire gli eventuali vuoti che il capitalismo yankee è costretto a lasciare per la crescente protesta delle masse nere negli USA).

Ecco perché, se la solidarietà incondizionata alle masse sud-africane non vuole restare una vuota parola, o addirittura una proclamazione d'intenti che copre ben altri comportamenti e complicità, deve sostanziarsi di una incessante denuncia delle multinazionali (FIAT in testa, tanto per cambiare), delle banche (quelle IRI in prima fila) e degli stati che supportano l'apartheid in Sud-Africa, integrando questa denuncia con quella dell'apartheid qui, della segregazione interna cui i lavoratori immigrati, in buona misura neri, sono costretti.

Come nel Sud-Africa sempre più diviso, anche qui, la lotta all'apartheid non è una petizione, non è un appello all'umanità dei "nostri" governanti o alla "democraticità" di un'Europa che si è macchiata di ogni sorta di crimini imperialisti, ma è un fronte di lotta nel quale non è possibile stare a mezzo servizio.