Il breve scritto di Lenin su La Nuova Politica Economica della Russia soviettista (sull'imposta in natura), del 21 aprile 1921, cui degnamente si affiancano altri testi ed apporti bolscevichi - a cominciare, in particolare, dal fondamentale discorso di Trotzkij all'IC sullo stesso tema - sta ritornando oggi agli onori della cronaca, in quanto sono in molti a parlare di "ritorno al Lenin della NEP", a proposito della perestrojka di Gorbacev. E davvero così? E di che si tratta? Facciamo un po' di glasnost' in materia...
L'intervento di Lenin, come al solito, non si lascia rinchiudere nei confini dell'occasionalità; non è una risposta empirica e senza principi ad esigenze impreviste ed imprevedibili di un'ora. Trattiamo la questione, egli avverte sin dalla prefazione, "da un punto di vista non di 'attualità', ma di principio", cioè tracciamo le linee generali del "quadro nel quale stiamo ora inserendo l'attuazione di determinati provvedimenti pratici della politica corrente".
È un'avvertenza preziosa, soprattutto per chi - anche nel campo che si richiama al marxismo rivoluzionario - tende piuttosto a concepire la NEP sotto l'aspetto di una semplice "fase di ripiegamento" necessitata da cause congiunturali di forza maggiore, e in più, dalla mancanza od insufficienza di un preventivo "programma per le trasformazioni socialiste" da parte del bolscevismo. In Lenin quel "programma" è definito inequivocabilmente ed esso determina il quadro entro cui esso si esplicita con "determinati provvedimenti pratici" nella concreta "politica corrente". Lenin non si lascia attaccare ai fianchi. Chi ne abbia la volontà, e la forza, vada pur diritto al cuore!
Il problema generale, di principio, che la NEP richiama è quello della transizione al socialismo . Né più né meno. Ed è un problema che si scompone in due: l’aspetto politico e quello economico della transizione. La transizione politica, per i marxisti, può avere un solo significato: rottura rivoluzionaria dell'apparato di potere borghese, instaurazione del potere sovietico, del potere del Partito Comunista (in cui si sintetizza la formula della "dittatura del proletariato"). La transizione economica comincia dopo questa presa del potere; dopo, cioè, che il maneggio del potere politico mette in grado la dittatura proletaria di indirizzare la "riforma" dei meccanismi economici in direzione del socialismo, in forme graduate a seconda delle reali condizioni di partenza (col passaggio, diretto, quindi, a gradini più elevati in paesi provvisti di una base economico-produttiva relativamente matura e con ritmi e modalità infinitamente più complessi in paesi arretrati del tipo della Russia ereditata dall'Ottobre rosso). In nessun caso, però, è pensabile un’"immediata trasformazione socialista", cioè un immediato salto al socialismo "tout court", tutto e subito; né all'uno né all'altro caso. Chi neghi o svaluti questo assunto... "gradualista" nega e svaluta l'intiera concezione marxista nel suo complesso, a pro' di concezioni idealistiche (l’"illusione che ci eleva" contro la "volgare verità", ironizza Lenin) tipiche della cultura piccolo-borghese.
L'opuscolo di Lenin passa a considerare cosa concretamente significhi transizione economica nella "volgare verità" della Russia del '21; ma per capire sul serio cosa significhino le analisi che egli fa della situazione russa occorre prima capire il quadro della rivoluzione in cui esse sono collocate.
"La nostra forza sta nella piena chiarezza e serenità con cui calcoliamo tutte le forze di classe esistenti, di quelle russe come di quelle estere, e nella conseguente ferrea energia, saldezza, risolutezza ed abnegazione che possiamo spiegare nella lotta ( ...). Noi siamo uniti, in Russia direttamente, coi proletari degli altri paesi indirettamente. Noi sappiamo che cosa vogliamo. Perciò siamo invincibili nell'ambito mondiale, quantunque ciò non escluda affatto la possibilità che qualche rivoluzione proletaria venga per un dato tempo sconfitta". Nessun dubbio, quindi, sull'unità - non "ideale", ma pratica, di strategia ed organizzazione, - della rivoluzione proletaria e del suo partito a scala mondiale.
Chi nutrisse un qualche sospetto di visione da "socialismo in un solo paese" in Lenin, o magari se l'augurasse - fosse pure "contro" Stalin -, si becchi quest'altro bruciante passaggio:
"La storia ( ... ) prese vie così singolari che nel 1918 essa partorì due gemelli del socialismo, uno separato dall'altro, i quali, come due pulcini futuri di un'economia mondiale socialista, stavano nello stesso uovo dell'imperialismo internazionale. La Germania e la Russia nell'anno 1918 hanno realizzato nel modo più distinto le premesse materiali dei postulati economici del socialismo, dell'economia generale e della produzione in particolare, da una parte, e delle condizioni politiche del socialismo dall'altra".
Le due "basi" del socialismo (obiettivo e fatto internazionali) marciano separate e non se ne vede l'immediata giunzione. Il problema, allora, afferma Lenin, è relativo al che fare "se la rivoluzione in Germania ritarda ancora" ("strana" incursione, per qualcuno, dall'economico al politico. E dalla Russia all'"estero").
In questo caso, risponde Lenin, dovremo, conservando e potenziando inflessibilmente il nostro potere politico (e tanto più inflessibilmente in quanto esso inevitabilmente registrerà contraddizioni anche in seno al proletariato, di cui esso è espressione storica e non "grettamente corporativa"), prender fiato sul terreno economico, non per costruire il "nostro" socialismo nazionale, ma per attuare le condizioni più favorevoli per la rottura dell'unitario "uovo dell'imperialismo internazionale" al prossimo slancio rivoluzionario.
Quanto sopra va strettamente tenuto presente per capire come la politica di "arretramenti" e "concessioni" della NEP sia da intendere non nell'ottica distorta di una questione economica limitata alla Russia, ma in quella di una questione economica e politica interna alla prospettiva del socialismo internazionale.
Questo "prender fiato", essendo venuta meno la complementarità tedesca, significa allora che il problema della transizione economica in Russia non può concepirsi ai livelli più alti, ma a quello "più basso" dell'incentivazione e del controllo in Russia sul passaggio dai gradini inferiori a quelli più alti dello sviluppo storico dell'organizzazione economico-sociale: dalla produzione di tipo patriarcale, dalla piccola produzione autosufficiente e dal piccolo capitale privato alla produzione "capitalista di stato", senza - ahinoi! - alcuna consistente "isola" di "socialismo" frammezzo. Perché? Solo un tale innalzamento di livelli, se ed in quanto guidato da una reale dittatura proletaria, da un reale partito comunista mondiale, può incentivare la crescita - numerica, di coscienza e di organizzazione - del proletariato sovietico, con ciò contribuendo a ridar fiato alla globalità dell'esercito proletario internazionale.
Passiamo, allora, alla concezione marxista della transizione, nel particolare ed in generale.
"In Russia - scrive Lenin -, domina attualmente il capitalismo piccolo-borghese, dal quale si giunge, per la medesima strada, attraverso la medesima tappa - che si chiama "registrazione e controllo generale sulla produzione e distribuzione dei beni" - tanto al grande capitalismo statale quanto al socialismo".
Questa "semplicissima" frase ribadisce dei punti fondamentali che valgono un intero trattato di economica e politica marxista. Se è vero che il socialismo significa negazione delle categorie di merce e lavoro salariato, non ne consegue affatto che al socialismo si passi "decretando" la fine di queste categorie per legge o imboccando pretese "altre vie" di sviluppo economico, ma attraverso il suo superamento dialettico, risultante dalla conquista delle possibilità di una registrazione e controllo generali. li passaggio al socialismo presuppone una preesistente produzione allargata che abbia effettivamente unificato rami produttivi e territori sterminati sottoponendola, per gli stessi meccanismi dello sviluppo, a controllo e registrazione. Fintantoché questo livello non è stato raggiunto, anche col potere proletario in mano, l'economia è costretta ad inseguire un tale traguardo e, nel farlo, non può sottrarsi alle categorie capitalistiche, materialisticamente connesse alla divisione sociale del lavoro ed alla frammentazione della piccola produzione.
La "teoria della transizione" che Lenin espone non è né bellamente abborracciata di fronte ad inattese "attualità" né "inventata" da Lenin. Qui Lenin non fa che riprendere, da par suo, l'Engels dell'Antidühring (se ne veda la parte "Dal socialismo utopistico al socialismo scientifico"). La "contrapposizione astratta del "capitalismo" al "socialismo", senza penetrare nelle forme e studiare le tappe concrete del passaggio", egli afferma, può indurre a brutti scherzi:, l’"illusione che ci eleva" in realtà ci riporta indietro, con un "salto" dal capitalismo al... "socialismo" della miseria, alla piccola produzione generalizzata in cui l'assenza (provvisoria e, per lo più, apparente) delle categorie di merce e lavoro salariato dipende non dalla liberazione dello sviluppo economico-sociale dai suoi lacci, bensì dall'immaturità di un tale sviluppo. Vecchie questioni, almeno per chi abbia letto la critica che il Manifesto di Marx-Engels fa di certi "altri socialismi".
Non siamo noi "dogmatici" a "privare" Lenin del merito di aver innovato qualcosa; è lui stesso a farlo:
"Il socialismo non è concepibile senza una tecnica basata sulla scienza più moderna, senza un'organizzazione sistematica per opera dello Stato, senza la subordinazione di molti milioni di uomini ad una norma unica nella produzione e distribuzione di beni. Queste sono cose che noi marxisti abbiamo sempre affermate con gente che non ha capito questo ( ... ) non vale la pena di scambiare neanche due parole in merito".
Chiediamo venia a papà Lenin se, talora, abbiamo scambiato in merito con i nostri interlocutori anche più di due parole: il fatto è che l'ovvio per molti di allora è diventato arci-ostico per quasi-tutti oggi.
Ma entriamo un po' più da vicino nella tematica di Lenin. Per arrivare alla "norma unica", egli avverte, rincarando la dose, non solo è prevedibile lo sviluppo di una data forma di capitalismo di stato sotto controllo sovietico, ma lo stesso sviluppo dello scambio privato (non statale), "uno sviluppo che è inevitabile, data l'esistenza di molti milioni di piccoli produttori"; il problema sta, infatti, nel "trovare - teoricamente e praticamente - i metodi adatti per incanalare lo sviluppo del capitalismo, fino a un certo grado e per un certo di tempo inevitabile, nell'alveo del capitalismo di Stato e di contrapporre a questo delle misure politiche che assicurino una rapida trasformazione del capitalismo di Stato in socialismo ( ... ). "Allevando" il capitalismo di stato nella forma di concessioni, il potere soviettista rafforza la grande produzione a confronto della piccola produzione, la progredita di fronte a quella arretrata, la produzione a macchina di fronte a quella dell'artigianato. Con ciò esso ottiene per sé un maggior quantitativo di prodotti della grande industria ( ... ) e consolida le condizioni economiche stabilmente regolate di fronte a quelle piccolo-borghesi anarchiche".
Transizione compiuta a livello politico; transizione alla transizione, in un certo senso, a livello economico.
Le "scelte economiche" della NEP rappresentano, per certi versi, la risultante di una legge oggettiva di sviluppo; solo che, rispetto alle "leggi naturali" dello sviluppo vigenti in regime politico capitalista, s'introduce una variante: su di esse si esercita la forza concentrata del potere sovietico (fattore politico ed economico insieme), direttamente da parte russa, indirettamente da parte delle rimanenti "sezioni" del proletariato internazionale. Lenin non teme di collocarsi "più a destra" rispetto a compagni che parlano di "capitalismo di stato sui generis o addirittura di uscita dal gioco delle classiche categorie capitalistiche, visto che "il potere è in mano agli operai"; gli basta stabilire che questo capitalismo sans phrase sta sotto controllo del potere sovietico, fin dove ciò sarà possibile, e funzionale ad esso. Su questo tema non si sta né "a destra" né "a sinistra", ma si è marxisti o no.
Che lo sviluppo di rapporti economico-sociali capitalistici configuri una minaccia alla distanza è dato teorico sperimentalmente provato. Quel che è sciocco è ricavarne che occorrerebbe allora o non prendere il potere politico, in quanto "sfasato" rispetto alla base economica (ricorrente posizione menscevica) oppure... non sviluppare rapporti capitalistici (posizione idealistica piccolo-borghese, tipica in ispecie dell'estremismo infantile). La dialettica marxista nega entrambe queste posizioni, non fidando ovviamente su logiche formali o su progetti di "ingegneria costituzionale", ma sullo svolgimento dei rapporti di forza tra le classi, a scala interna e mondiale.
Esposti così sommariamente i termini della questione "di principio" quale è svolta da Lenin, vediamo come possa stare in piedi oggi la pretesa gorbacioviana di un "ritorno al Lenin della NEP".
Ma davvero, dopo 66 anni da allora, siamo ancora alla necessità di promuovere la piccola produzione dai livelli pre o basso-capitalistici e di avviare la grande produzione? Non oseremmo mai parlar tanto male dell'URSS! E quale controllo mai vorrà e potrà esercitare il "potere sovietico" su questo capitalismo in crescita? E davvero si tratta oggi di "concedere" transitoriamente al capitalismo che abbiano corso le sue leggi (merce, lavoro salariato, profitto) o tutto questo non è ferrea legge di principio già assunta dal sistema come caratterizzante del proprio "socialismo" (merci "socialiste", profitto "socialista", ecc. ecc.)? E, soprattutto: quali sono gli attuali pulcini "entro lo stesso uovo dell'imperialismo internazionale" che si intendono liberare appaiati da quest’"unico guscio"? Dove sta il proletariato internazionale, dove sta il partito comunista mondiale nelle preoccupazioni degli attuali "riformatori"?
Non è davvero il caso di spenderci sopra troppe parole. Sta di fatto che, mentre truffaldinamente inalbera la bandiera del "Leniti della NEP", Mister Gorbacev si sente in dovere di dire che "il marxismo non è più un dogma", che è finita l'epoca dell'internazionalismo, che ogni paese dev'essere sovrano nel farsi il suo socialismo personale e che, naturalmente, lavoro salariato, merce e profitto sono categorie intrinseche ad ogni socialismo...
Il "marxismo" sovietico attuale, compiuto un bel giro di boa di 180°, è riuscito a "riattualizzare" il marxismo facendolo riconfluire netto netto nella socialdemocrazia classica. Col "Lenin della NEP" ben siamo noi al lato opposto della barricata.