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Per chi suona la campana?

Quando Gonzales nel l982 si insediò alla Moncloa, sulle ali di un successo elettorale prestigioso, la destabilizzazione politica spagnola sembrò aver trovato una ricomposizione soddisfacente per la borghesia. Il passaggio indolore alla democrazia parve una realtà consegnata alla storia; i conflitti interni al fronte padronale, le resistenze della stessa destra (tentato Golpe del 1981) sembrarono placarsi. L'apparato statale franchista, intatto nella sua essenza, si era convinto che il male minore fosse proprio la democrazia.

La borghesia, accantonato l'irredentismo franchista, stette a guardare il giovane primo ministro socialista ridipingere di "progresso" e "modernità" la facciata della Spagna, dopo aver avuto ampie assicurazioni sul programma economico del Governo.

Anche una parte dei ceti intermedi, affascinata dalla prospettiva efficientista, impaurita dalla crisi e dall'ombra dell'instabilità sociale, accordò fiducia a Gonzales, salvo poi puntare i piedi ogni qualvolta lo straccio di una riforma ne ha sfiorato le tasche o gli interessi (fu il caso della travagliata legge di riforma dell'istruzione pubblica). Non c'è dubbio però che un grosso consenso fu dato a Gonzales dalla classe operaia. Le aspettative che le riforme promesse avevano alimentato bastarono a stemperare l'insofferenza operaia. Ma se la possibilità di avere maggiori spazi democratici, se le promesse di un avvenire migliore bloccarono la protesta operaia, in pari tempo allungarono la lista dei crediti a cui Gonzales e la borghesia dovevano a breve rendere conto.

I 5 anni di governo socialista hanno segnato un peggioramento vertiginoso delle condizioni di vita proletarie. Assumendosi in pieno il programma di ristrutturazione economica, chiesto dalla borghesia, Gonzales si è accinto a gestire la crisi con determinazione: austerità, blocco dei salari e delle spese sociali, licenziamenti, incremento della spesa per armamenti, durezza e mano di ferro nei confronti delle rivendicazioni autonomistiche basche, rilancio della politica di espansione, del "sogno mediterraneo" della borghesia iberica. Il "cambio" promesso ha segnato punti solo in favore di una temporanea ascesa dei profitti e della speculazione finanziaria, lasciando naturalmente immutato il problema della "ripresa".

Se in tutte le metropoli imperialiste la crisi è stata solo diluita dalle grosse ristrutturazioni dell'ultimo decennio, in Spagna, storicamente a metà tra la metropoli occidentale ed uno sviluppo capitalistico arretrato, la cura è stata doppiamente dura ed inefficace. Alla vigilia della 2a legislatura socialista il piano di austerità di Gonzales è più rigido che mai. La stessa necessità di dare dimensione internazionale ad un'economia in perenne svantaggio nei confronti della concorrenza europea si è realizzata in piena crisi mondiale, con un mercato poco disponibile verso nuovi ed affamati clienti. L'ingresso nella comunità europea, nel 1986, non ha migliorato le ragioni di scambio spagnole; basti pensare che con l’Italia degli abbracci amichevoli di Pertini il disavanzo nei primi 10 mesi del 1986 è stato di 490 miliardi di lire e che le esportazioni italiane sono cresciute del 54% contro il 3% di quelle iberiche. Ciò ha accentuato l'aggressività spagnola nei confronti dei paesi terzi del mediterraneo (tensione con il Marocco, questioni di Ceuta e Melilla) ed ha dato nuovi impulsi alla politica di indipendenza nel rinnovo degli armamenti. Sono aumentati notevolmente gli investimenti nella produzione di armi e la Spagna è passata dal 120 all'80 posto nella classifica dei paesi esportatori. Mentre solo nel campo degli investimenti nella ricerca e nello sviluppo militare è stata prevista per il 1987 una spesa di 15.000 milioni di pesetas (116 milioni di dollari).

Questa è la"ricerca della pace, il disarmo e la distensione" del programma di politica estera socialista all'indomani della vittoria del 1982. In realtà l'attrazione che Gonzales ha esercitato su una parte della borghesia spagnola è vissuta sulle ambizioni reciproche verso un ruolo internazionale della Spagna più prestigioso.

L'ingresso della Spagna nella NATO non va letto come segno di ulteriore dipendenza dagli USA ma come volontà di inserimento attivo nel blocco militare atlantico (condizione indispensabile per esercitare una politica imperialista altrimenti impossibile), ricontrattando all'interno di esso la propria posizione.

L'isolamento franchista era indice di un ulteriore ritardo e di una dipendenza dagli Stati Uniti ben maggiore: rinuncia a qualsiasi aspettativa di espansione in cambio del sostegno internazionale al regime. Di tale segno furono gli accordi "leonini" che nel 1953 Franco stipulò con Eisenhower determinando l'attuale ingente presenza di basi militari americane in Spagna (Torreyon, Saragozza, Rota per un totale di più di 10.000 uomini, 79 cacciabombardieri F 116, aerei cisterna KC 135 utilizzati, tra l'altro, nell'aggressione alla Libia). Non a caso dopo l'ingresso nella NATO il rinnovo di tali accordi viene messo in discussione. I colloqui, tesi, di questi giorni tra Serra e Weinberger confermano l'intenzione spagnola di non accettare più gli F 116 della base di Torreyon. D'altronde Gonzales di trova di fronte ad una opposizione notevole alla permanenza nella NATO. Ed i suoi progetti di ricontrattazione con gli Stati Uniti trovano solo complicazioni ed unicamente a causa del movimento anti NATO. I suoi giovani protagonisti hanno giustamente avvertito in tale adesione un ulteriore passo verso la politica militarista del Governo e da quest'ultimo hanno perciò ricevuto una dura risposta repressiva in occasione dell'ultima manifestazione contro le basi militari americane.

In questo quadro di contraddizioni i nodi non potevano tardare a venire al pettine. La fine del 1986 e l'inizio del 1987 hanno visto salire impetuosamente alla ribalta le masse giovanili studentesche e poi la stessa classe operaia. L’inizio della resa dei conti per il primo ministro Gonzales.

Per ironia della storia e per inevitabile destino di tutti i "riformatori" del capitalismo in crisi, questa è cominciata proprio nell'unico campo in cui egli aveva potuto vantare dei successi ed una modificazione del vecchio quadro franchista. Strappato alla chiesa il monopolio dell'istruzione, il governo socialista si è dato da fare per conformare alle esigenze di uno "stato moderno" la scuola spagnola.

Sta di fatto che lo stato moderno in questione doveva destinare alla spesa per la scuola una parte molto bassa del proprio bilancio; la alternativa all'istruzione privata non è stata, quindi, la scuola pubblica di massa della società affluente, ma la disciplinata selettività richiesta dall'"efficientismo economico" e dal "rigore" dei tempi. In un paese in cui mediamente solo il 2% degli studenti medi figli di operai riesce ad accedere all'università le voci di misure più selettive negli esami di accesso all'università suonarono come l'annuncio di una cruda beffa. Le promesse di "cambio" erano ancora una volta disattese. La mobilitazione parte non a caso dalle scuole medie superiori. La rabbia studentesca esplode con vigore eccezionale ed assume presto le caratteristiche di uno scontro aperto con il Governo e la politica di austerità. Nei fatti disillusi nei confronti di ogni discorso sulla funzionalità e la modernizzazione della scuola, gli studenti spagnoli puntano saldamente i piedi a terra ed indirizzano le loro richieste contro la "selectividad" sociale della scuola, contro questa ennesima possibilità negata.

Questi gli obiettivi: abolizione degli esami di accesso all'università, esenzione dalle tasse per i redditi più bassi, salario garantito agli studenti proletari. Ai giovani che partecipano alle manifestazioni il futuro è annunciato dal tasso del 22% di disoccupati sulla popolazione attiva (di cui il 48% al di sotto dei 25 anni).

La condizione economica delle proprie famiglie è spesso vicina ai margini di sussistenza. La lotta dei giovani spagnoli, più immediatamente che per i loro coetanei francesi ed italiani, non nasce con prospettive di integrazione nell'apparato produttivo. Per lo studente proletario spagnolo l'accesso al diritto allo studio non è condita dai sogni di una pur remota chance di affermazione sociale. Non è nemmeno rabbia per un diritto avuto e poi minacciato, perché la possibilità di continuare gli studi gli è stata solo annunciata.

È solo un'ennesima beffa, un ulteriore attacco alla propria condizione materiale, specchio di quello subito quotidianamente dalla sua famiglia. Ai suoi occhi il ministro Maravall non è solo il ministro dell'istruzione, ma il rappresentante di un Governo che lo colpisce a scuola come a casa, che licenzia il padre e gli prospetta disoccupazione.

Per questo, nel corso dei suoi tre mesi di fuoco, il Movimento studentesco spagnolo non è stato percorso da nessun fremito corporative, ha accettato nelle sue fila i giovani proletari esclusi dalla scuola.

Ed anche quando materialmente in piazza ci sono stati solo studenti la comunanza di interessi con gli operai era sottintesa e considerata.

Una volta sceso in piazza il giovane spagnolo non è stato blandito dalle istituzioni; nessuna paterna comprensione, solo manganellate, pallottole di gomma e di piombo. Nessun velo si è frapposto tra il movimento ed il potere, lo stato, la polizia. Gonzales al contrario del suo collega Craxi non ha potuto permetterselo.

Dopo la pausa delle vacanze di Natale, durante la quale Maravall sperava sbollisse la rabbia studentesca, il movimento si è presentato con maggiore forza all'inizio di quest'anno. I due organismi principali, il Sindacato degli studenti medi ed universitari ed il"Coordinamento", indicono manifestazioni in tutto il paese:

il 7 gennaio a Madrid, Valencia, Barcellona, Siviglia e Burgos; il 21 gennaio in tutta la Spagna; il 23 a Madrid e Barcellona (ancora protagonisti studenti medi e professionali); il 28 a Barcellona; il 6 febbraio a Madrid, Bilbao, Alicante, Murcia; l’11 febbraio ancora in tutte le principali città (Barcellona insieme agli operai in lotta per il contratto); il 13 febbraio la "marcia su Madrid" indetta dal "sindacato,, ed appoggiata dalle cc.oo. Queste le principali tappe. Dovunque fermento ed iniziative. Quasi sempre la polizia carica. A Madrid il 23 gennaio la polizia spara e ferisce gravemente una studentessa; decine i feriti e gli arresti durante gli scontri in genere provocati da gruppi fascisti in combutta con la polizia.

Nelle trattative il Governo tergiversa, non è disposto a fare concessioni, tenta di dividere il movimento trattando solo con il "sindacato". Una prima scissione si verifica all'interno del Coordinamento, che espelle la sezione di Madrid, rea di non aver accettato la pregiudiziale della non violenza nel programma d'azione.

A Madrid il movimento è più radicale, si integra con la ribellione del proletariato marginale. Ma i temi dello scontro sono comuni a tutto il movimento e la risposta al "come continuare" è sempre di più quella di estendere la lotta agli operai ed ai giovani disoccupati.

D'altronde il movimento riceve la più ampia solidarietà. Sondaggi indicano che più del 60% della popolazione è a favore della lotta studentesca. Il Governo è sempre più isolato da una protesta che si estende. Il 19 febbraio Maravall annuncia che la scuola sarà completamente gratuita per tutti fino all'università e che verranno soddisfatte molte delle richieste del movimento. Saranno gratuite le scuole professionali, ma gli obiettivi del salario minimo e dell'abolizione dell'esame di ammissione preuniversitario vengono respinti.

Gonzales è costretto ad una mediazione senza rinunciare al suo piano di rigore, ma 3 mesi di lotta cruenta hanno annunciato una nuova fase dello scontro di classe in Spagna. Questo il commento di "El Pais", il principale quotidiano spagnolo: "... se la protesta degli studenti ottiene questo consenso sociale, non è solo perché sono giovani o perché le loro rivendicazioni risultano attraenti. Indubbiamente molti adulti vedono in essi l'annuncio di un nuovo tempo, differente ed inarrestabile."

E, quasi a confermare le parole di "El Pais", l'87 senza soluzione di continuità consegna agli operai il testimone della lotta di classe mentre le agitazioni studentesche non si arrestano.

I braccianti dell'Estremadura danno vita a violente proteste contrastate dalla polizia. La stagione dei contratti si annuncia di fuoco.

Per la prima volta in 3 anni il sindacato socialista UGT non trova un accordo con la CEOE (la confidustria spagnola) per la stipula del "patto sociale" e la determinazione degli aumenti salariali.

È un sintomo importante della pressione operaia. Negli ultimi rinnovi degli organismi sindacali l’UGT ha pagato in favore delle CC.OO. il prezzo della sua concertazione filo padronale. Dunque perfino la UGT, strumento docile di Gonzales per il controllo sociale, non può permettersi di accettare il nuovo piano di rigore.

Lo stesso governo ha invitato la CEOE a non concedere aumenti salariali superiori al 5% con un tasso di inflazione previsto intorno all'8%. Si tratta di una vera e propria richiesta di riduzione salariale. Gonzales nel suo intervento annuale sullo stato della Nazione annuncia, inoltre, che il Governo continuerà nella sua strada e prevede nuove e rigide misure di ristrutturazione industriale.

La rabbia operaia esplode nel settore meccanico, tra gli edili, nelle miniere dell'Asturia, nei cantieri navali, nel settore dei trasporti. Gli scioperi partono spontanei e costringono le CC.OO. ad assumersene l'onere organizzativo. Marcellino Camacho è ributtato sulla scena.

È la prima fase di un movimento che si manifesta con esplosioni improvvise dopo anni di assenza organizzativa e di punti di riferimento. Nel corso della seconda settimana di marzo una vera e propria insurrezione popolare scoppia a Reinosa (città di 30.000 abitanti nel Nord della Spagna, falcidiata dalla chiusura di molte fabbriche metalmeccaniche, con un tasso di disoccupazione superiore al 50 per cento).

Durante lo sciopero generale la Guardia Civil che fronteggiava i dimostranti viene disarmata. I giornali parlano di una vera e propria battaglia campale vinta dagli scioperanti. I compiti e la richiesta spontanea di organizzazione dei vari settori operai si incontrano nella opposizione al Governo. Lo sciopero generale diventa il necessario momento coagulante. Subito, però, gli operai spagnoli devono fare i conti con la "ritrovata" direzione delle C.C.O.O. Durante la riunione del Consiglio Federale del 19 marzo viene bocciata (per un solo voto) la proposta di sciopero generale.

Ma ormai la strada della ripresa del movimento operaio è aperta. Le esperienze consumate nell'illusione del "cambio" democratico, il peggioramento delle condizioni di vita spingono inevitabilmente gli operai in avanti. I problemi organizzativi e politici del movimento vengono alla luce e con essi le condizioni per la loro soluzione in senso di classe.

La Spagna si è svegliata!

I sintomi della polarizzazione sociale sono sotto gli occhi di tutti.

Il "pericolo" che sembrava scongiurato dalla moderna democrazia si ripresenta. Ancora una volta la quadratura del cerchio non è riuscita. Di fronte a Gonzales c'è la via obbligata dall'incrudimento dello scontro pena la sconfessione dello stesso padronato che lo appoggia, per ora, incondizionatamente. Ma nel fare questo il primo ministro rinuncia alla ampia base di consenso che gli consente piena libertà dei settori intermedi che in lui cominciano a vedere il garante di una pace sociale perduta. La crisi colpisce anche loro (è in atto anche in Spagna un movimento dei "camici bianchi"). Si ripresenterà il problema della riaggregazione del blocco sociale così scomposto e la ricerca di un dispensatore di manganellate più affidabile ed esperto di Felipe. Lo stesso padronato nel fuoco del conflitto sociale cercherà probabilmente di sostituire un'arma ormai spuntata nel suo punto di forza; il consenso di tutti gli strati sociali.

Un processo ovviamente soggetto a variazioni e colpi di scena nella cui evoluzione sarà determinante la lotta operaia, ma inevitabilmente avviato nella sua natura di scontro tra blocchi sociali contrapposti. Il suo esito questa volta non è condizionato da una situazione internazionale stabilizzata come negli anni 30. Si inserisce in una battaglia tutta a perla del movimento operaio internazionale. E anzi una premessa del lento risveglio della classe operaia europea.

Gonzales non sarà certo l'ultimo ostacolo che avrà di fronte il proletariato spagnolo, ma la fine della tranquillità del suo regno democratico, della "pace iberica", è un sano e lietissimo avvio. Ostenta pure la tua arrogante sicurezza, ma ascolta per chi suona la campana: primo ministro Felipe Gonzales, questa volta suona per te.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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