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Questioni teoriche

URSS: perestrojka e "democrazia": 
quale democrazia per il proletariato


Indice


Abbiamo in ogni precedente occasione notato come un'effettiva perestrojka in URSS, date le specifiche caratteristiche che lo sviluppo (capitalista) vi ha avuto, tanto a livello di strutture economiche che di sovrastrutture ideologiche e politiche, da un lato stia in linea di continuità con le dorsali tracciate dallo stalinismo ed "aggiornate" dai successivi eredi, dall'altro comporti l'esplosione di nuove contraddizioni sociali e politiche, tanto più gravide di conseguenze quanto più la perestrojka dovesse trovare consistenti ostacoli sul suo cammino.

Il gorbaciovismo è il "riformismo" giusto al momento giusto dentro un sistema unitario (non diciamo "lineare") di cui rappresenta non una linea di rottura, ma di sviluppo (e sin qui avrebbe ragione Cossutta nel rivendicare la continuità "pur nelle contraddizioni" dell'esperienza sovietica di cui è paladino). Le "trasformazioni rivoluzionarie" che Gorbacev si appresta a lanciare altro non sono che l'adeguamento di questo sistema agli attuali, "nuovi", livelli di sviluppo; non vi apportano mutamenti qualitativi, se per qualitativi si intende il passaggio da un sistema fondamentale ad un altro e non, come nella retorica degli "scoop" giornalisti, l'urgenza di una "ristrutturazione" dei meccanismi funzionali al potere e le conseguenti contraddizioni di classe all'interno del quadro in oggetto. Il gorbaciovismo, in sostanza, segna il trapasso dal "capitalismo romantico" di Stalin (l'epoca eroica della costruzione di un moderno industrialismo capitalista gabellato per socialismo) all'epoca della "maturità" (reazionaria) del capitalismo, seguendo una spinta oggettiva interna già dichiaratasi con Chruscev ed oggi tanto più urgente quanto più rimandata nel tempo (di una trentina d’anni!) per la forza d’inerzia che sin qui l'ha intoppata (e potrebbe intoppare come in buona parte già fa - lo stesso Gorbacev, con ciò aggravando le contraddizioni e rilanciandole pericolosamente pel futuro).

Necessità della Perestrojka

Così si esprime su "Rinascita" (n. 6, 14/2/87) lo specialista USA Robert V. Daniels, tutt'altro che fesso:

"Se da un punto di vista politico l'eredità storica della Russia ostacola la riforma, dal punto di vista economico questa stessa eredità la rende necessaria. Il sistema economico stalinista fu un'imposizione prematura su una società relativamente arretrata, in cui il capitalismo non aveva ancora avuto la possibilità di sviluppare pienamente il potenziale industriale del paese".

Qui sta il nodo. Lo stalinismo stesso ha creato le basi su cui s'eleva oggi la necessità della perestrojka. Lasciamo pure da parte le chiacchiere sul carattere "impositivo" in campo economico, in quanto esso (si veda il capitolo di Marx sull'origine violenta del capitalismo sotto ogni cielo e sin dai suoi primi "naturali" sviluppi nel Primo Libro del "Capitale") non è novità stalinista, avendo semmai lo stalinismo risposto all'esigenza di sviluppo capitalista in URSS in "armonia" con la situazione sociale "relativamente arretrata", complicata dal dominio mondiale della fase imperialistica del capitale con tutto quel che ne consegue per lo sviluppo dei sottosviluppati, ed avendolo fatto con la necessaria concentrazione totalitaria di tutte le forze disponibili. Come? Col "totalitarismo statale e di partito". Né poteva essere diversamente. Le "strozzature politiche" che l'URSS odierna eredita dallo stalinismo non furono un caso od un "errore", ma la trascrizione in termini Politici (economia concentrata) delle esigenze della base economica: il "predominio dei metodi amministrativi su quelli economici, della centralizzazione sulla decentralizzazione", del "centralismo di partito" sull'economia rappresentarono altrettanti fattori di sviluppo, al di là delle strozzature secondarie che "forse" si sarebbero potute evitare. L'amministrativismo ed il centralismo non stanno in contrapposizione alle "leggi economiche", ma sono altrettanti aspetti economici che solo ad un determinato stadio, e dopo averne predisposte le basi, entrano in contrasto con la tappa successiva dello sviluppo (non amministrativismo, decentramento). Che l'asse ereditario dello stalinismo debba essere oggi gestito diversamente che negli anni trenta è un fatto, ma proprio perché esso si è accumulato e trasmesso agli credi attuali per quella sua ineludibile via.

Se letta in chiave marxista, è corretta la ricostruzione del Daniels delle "tappe" dello sviluppo (capitalistico) in URSS, che (d'accordo in questo con "Rinascita") ha solo il "lieve" difetto di inglobare la fase prestalinista nel corso continuo di una stessa storia, espungendo dal leninismo il suo carattere primo, di prospettiva rivoluzionaria internazionale nell'ottica non dello "sviluppo russo", ma della vittoria socialista a scala mondiale:

"L'Unione Sovietica (di oggi, n.) è il risultato di una serie di sconvolgimenti politici, iniziati con la rivoluzione del febbraio 1917 e proseguita con la radicale rivoluzione d'Ottobre guidata da Lenin, con l'utopistica (!) e violenta (!!) avventura (!!!) del Comunismo di Guerra, con il consolidamento termidoriano della NEP degli anni 20, e con la dittatura bonapartista post-rivoluzionaria (leggi: controrivoluzionaria, n.) di Stalin comprese le sue fasi di ricostruzione radicale (1929-1934) e di consolidamento conservatore (1934-1939", con tutto quel che poi ne è seguito, sino al "neo-neppista" Gorbacev.

Ora, continua il Daniels, è maturata l'ora in cui "occorrerebbe disfarsi dell'eredità dello stalinismo e ritornare alle speranze e agli entusiasmi originari del 1917, basati su un socialismo democratico, multipartitico, decentralizzato e ad ampia partecipazione" Come trascrive all'italiana, nello stesso numero di "Rinascita", S. Bertolissi ciò comporta P"autoriduzione del partito": "Se la politica di Gorbacev è realmente il frutto di un’analisi lucida e conseguente delle condizioni reali della società sovietica, essa non può che condurre, anche a breve scadenza, a mettere in discussione il proprio stesso punto di partenza: l'organizzazione del partito e la sua collocazione nella società", perché "le riforme dall'alto" avrebbero il fiato corto ove non inducessero "cambiamenti stabili nella società riducendo di conseguenza l'azione iniziale proveniente dal centro".

Qualche osservazione politica e "filosofica". Il "ritorno" allo spirito del '17, reso possibile dagli sviluppi dello stesso Termidoro, altro non significherebbe che la vittoria delle istanze borghesi espresse dal menscevismo contro il bolscevismo: istanze realizzate però non dal menscevismo (che, ove avesse trionfato nel '17, avrebbe regalato alla Russia un' "estesa democrazia" solo apparente perché fondata sulle sabbie mobili della sottomissione del paese alla stagnazione asiatica da un lato, di debolissimo sviluppo capitalistico "spontaneo" e di sua sottomissione reale all'imperialismo occidentale dall'alto), bensì dallo stalinismo. Il "risveglio dello spirito del '17" si rivela per quel che miserabilmente è, un post-stalinismo da bottegai che si gode "democraticamente" i beni accumulati "antidemocraticamente" e trasmessigli in eredità. Questa sì che è una staffetta!

È del massimo interesse il richiamo esemplificatore che il Daniels fa all'"eccezionale manifesto del novembre 1985 'Ai cittadini dell'URSS' pubblicato dal cosiddetto 'Movimento per il rinnovamento socialista' a Leningrado", a riprova della "maturità" soggettiva di un tale "ritorno" allo spirito del '17. In questo documento si legge:

"La dittatura del proletariato, avendo ottenuto la completa e definitiva vittoria del socialismo, ha assolto la sua missione storica dal punto di vista del suo sviluppo interno, e non è più necessaria in URSS".

Proviamo a decifrare il testo: la dittatura di tipo staliniano (che con quella del proletariato ha zero da spartire) ha creato le condizioni di uno sviluppo interno che la rende oggi superata nelle forme sicché, in linea di continuità col passato, occorre provvedere a trasformare "radicalmente" le forme politiche (ed economiche) di un sistema giunto alla sua fase di maturità. In sintesi: passaggio dalla dittatura formale (del capitale) trasferita sul piano giuridico sovrastrutturale alla dittatura reale (sempre del capitale), che trova la sua migliore espressione sub specie democratica (in quanto "migliore involucro - per dirla con Lenin - della dittatura del capitale"). La società sovietica attuale, si dice, è diventata "multiforme" in quanto l'unitario meccanismo di dominio borghese nei processi di produzione e riproduzione economica e sociale stringe molto più strettamente e realmente a sé le diverse stratificazioni d'interessi e spinte particolari cresciute nel seno della società "matura".

A chi conviene?

L'ex-operaista R. di Leo, sempre su "Rinascita" (n. 8, 28/2/87), ammette che quest'operazione di "ristrutturazione" implica il superamento dei vecchi compromessi ed equilibri, "forse anche più difficile di quelle del passato", non sapendosi spiegare "a chi convenga" perestrojkare la società sovietica: "Non ci sono contadini poveri da innalzare nella scala sociale, come allora; non vi sono operai da investire di responsabilità amministrative; non vi sono giovani funzionari senza storia, ansiosi di togliere il posto ai vecchi intellettuali utopisti (si noti bene!, n.). La perestrojka non sembra possa portare benefici immediati. Al contrario. Le iniziative per cambiare i salari, aumentare gli affitti e alzare i prezzi dei generi di prima necessità, colpiscono gli interessi della gente comune." Straordinario! Ma chi l'ha mai detto che queste iniziative, in URSS come a casa nostra, si debbano fare per "gli interessi della gente comune"? Se l'ineffabile nostra non ha avuto la ventura di incontrare de visu i profittatori confessi della perestrojka non è già questo il segno inequivocabile che di essa -in una società molteplice", come ella stessa riconosce, e lo riconoscono gli stessi luminari sovietici qualcuno trae e tende a trarre sempre maggiori "benefici immediati"?

La "rinascente" democrazia sovietica ha la funzione di dar voce a questa molteplicità di interessi (purché profittatori -come vuole la linea del "progresso" capitalista - e non mai antagonisti). Nessuno dei sapientoni sopra citati si chiede una semplicissima cosa: che valenza può avere la promessa e da ogni lato sollecitata "nuova democrazia" sovietica a seconda delle rispettive collocazioni di classe? L'"autoriduzione del partito" cosa può significare in concreto? La nostra testarda ortodossia marxista ci dice che il partito, così come lo Stato, non è mai il soggetto del potere, ma lo strumento funzionale ad esso. La sua "esaltazione", in un periodo storico dato, così come la sua "autoriduzione", in un diverso periodo dato, ci indicano nel caso specifico qui in oggetto - non trasformazioni strutturali, ma adattamenti funzionali ad una stessa e sola invariante finalità. Insomma, l'"autoriduzione" del partito e dello Stato servirebbero all'esaltazione delle forze economiche e sociali svoltesi nell'ambito della massima concentrazione e del più spinto centralismo di poteri (borghesi) come adeguamento di forme "nuove" ad un contenuto permanente di fondo. Il problema è: in che posizione verrà a trovarsi il proletariato (questo UFO di cui nessuno intende parlare!) rispetto al modello neodemocratico qui evocato? Un sistema borghese può benissimo conciliare pluralità di soggetti ed unitarietà direzionale al di sopra delle spinte particolari; non può, però, ammettere - tra i vari "pluralismi" - la voce del proletariato, in quanto direttamente antagonista rispetto al "modello" unitario proposto dal sistema. La "democrazia" borghese si ferma dinnanzi a quest'ostacolo. L'"autoriduzione del partito" e dello Stato, perfettamente compatibile con gli interessi "specifici" delle varie frazioni borghesi, non lo è di fronte agli interessi "specifici" del proletariato, che si riassumono nell'esigenza dell'abbattimento del presente ordine sociale. È così che l'"autoriduzione" di cui sopra significa per il proletariato, in storica prospettiva, riconquista del proprio partito, del proprio stato, secondo la legge di una concentrazione e centralizzazione di forze perfettamente simmetrica al "deconcentramento" ed alla "decentralizzazione" formali delle forze borghesi.

Il partito e lo stato, ha detto Gorbacev, devono crearsi da sé una qualche sorta di opposizione a sé stessi. Ciò significa semplicemente questo: che partito e stato (strumenti e non protagonisti indipendenti del potere strutturale di cui sono funzione) debbono riconoscere la molteplicità di spinte (purché, lo ripetiamo, non antagoniste) che si muovono nel proprio seno, adeguandosi ad esse secondo l'unitaria e totalitaria direzione di fondo cui ubbidiscono). La causa del proletariato ne sta - oggi come negli anni "eroici" di Stalin - perfettamente fuori. "A chi conviene" la perestrojka, a chi conviene la neo-democrazia gorbacioviana? La risposta va da sé.

La democrazia che i vari fautori del gorbaciovismo si attendono dalla perestrojka avrà sì la funzione di dar maggior voce alla "dialettica sociale" sul piano politico. Ma una tale "dialettica" ha già i suoi confini strettamente prefissati: il proletariato non è destinato ad entrarvi.

Nel numero precedente del "Che Fare" abbiamo sottolineato che una "certa forma" di dialettica sociale, e perciò politica, è da sempre esistita in URSS, anche sotto lo stalinismo. Lo scontro di interessi, una volta scalzata violentemente l'ala rivoluzionaria dal potere, ha trovato nel partito e nello stato il suo luogo deputato. Tale scontro si è costantemente svolto ai vertici di queste istituzioni, tanto più lontano dalle spinte "democratiche" della "base" quando più questa base "pluralista" ancor abbisognava delle basi materiali preposte allo sviluppo di una compiuta "articolazione" sociale. Oggi, col "nuovo corso" gorbacioviano, è agevole vedere come questo scontro dentro le istituzioni partito-stato abbia assunto l'aspetto di un "monopartitismo" e "monostatalismo" pluralistico, entro cui si agitano infinite istanze borghesi (e nessuna reale istanza proletaria).

Noi non ci aspettiamo che la prossima tappa della "liberalizzazione" riformatrice debba significare frammentazione formale in più partiti secondo gli schemi della democrazia occidentale (che, per altro, sempre più indirizzata verso un accentramento totalitario di fatto), ma certamente dietro l'aspetto formale dello statalismo sovrano e del monopartitismo andranno sviluppandosi pluralità rappresentative, nel senso che abbiamo sopra chiarito, cioè a chiara esclusione di ogni rappresentatività dell'antagonismo proletario. È significativo che la stragrande maggioranza dei "dissidenti" di parte borghese (gli unici amplificati ad Ovest) non esigano, neppure in prospettiva, la fine del monopartitismo e del monopolio statale, ma, come nel manifesto citato dal Daniels, si limitino a chiedere delle opportune forme di pluralismo (cioè di contesa e composizione contrattuale) all'interno della cornice attuale, opportunamente rinnovata. Insomma, il "trust" statale e partitico dovrebbe saper riflettere e mediare le diverse spinte dei "soci" di maggioranza e minoranza.

L'interesse proletario

Questo "rinnovamento" presenta un qualche interesse per il proletariato?

Nel rispondere a questa domanda non possiamo attenerci al solo aspetto delle esigenze e dei disegni della dirigenza borghese e delle varie frazioni che ad essa concorrono. La questione è più complessa. Né vale la semplice (e doverosa) ripulsa nostra di ogni sorta di equazione tra "democrazia" tout court (indotta, e non a caso, dall'alto del regime) ed interessi del proletariato come si legge nelle bastarde teorizzazioni "trotzkiste" con cui polemizziamo a parte per darvi una risposta esaustiva. Se è vero che la democrazia gorbacioviana è per la borghesia e non per il proletariato, non è meno vero che essa, proprio allo scopo di assolvere a tal compito, deve riuscire a stabilire un qualche rapporto democratico anche col proletariato. Non è solo l'economia "in generale" a trovarsi stretta entro i superati meccanismi politici di derivazione stalinista; lo è anche il soggetto produttivo, una classe operaia cresciuta tanto numericamente che moralmente, una classe operaia giovane che, anche quando apparentemente non si esprime in prima persona, comincia a presentare dei conti che il regime deve regolare. Come per gli schiavi dell'impero romano la via all'affrancamento si aprì nel momento in cui il loro lavoro servile cominciava a diventare non più redditizio, così per i moderni schiavi salariati dell'impero capitalista sovietico la via ad una certa democrazia "partecipata" si apre nel momento in cui le tradizionali forme di disciplinamento del lavoro e della vita sociale mostrano la coda.

E il capitalismo stesso in URSS che ha bisogno di una maggior "partecipazione" consensuale; non solo dei neo-borghesi, ma dei proletari in primo luogo in quanto "classe in sé" "classe del capitale". Chiarissimo che una siffatta democrazia in nulla e per nulla significa una qualche dose di potere operaio sostanziale. Essa è, al contrario, funzione di un potere extra ed antiproletario sempre più totalitario nella sostanza (più che nel periodo stalinista, tanto per intenderci) in quanto vasellina accortamente l'antagonismo sociale mistificandolo a sé stesso ed in quando la "democrazia per gli operai" va ad agire nel seno della classe operaia nel senso di frammentarne l'unità, di contrapporre in essa gli interessi di questo o quello strato ascendente (checché ne pensi la Di Leo che riesce a scoprire questi strati) rispetto alla massa, materialmente (ergo ideologicamente, politicamente). Sarebbe un errore, però, considerare in modo ristretto tutto ciò, e peggio ancora sotto l'aspetto di una pura "manovra" borghese, cui contrapporre come "compito immediato" la "purissima" rivoluzione o il niente, bestemmiando magari contro la finzione democratica peggio che contro le forme totalitarie precedenti.

Occorre tener presente anche l'altro corno della questione, vale a dire l'accresciuta forza della classe operaia sovietica in quanto determinante di una spinta sub specie democratica in funzione dei propri interessi. Passando per l'esperienza democratica, lottando per accrescerne gli spazi per sé, imparando a far di conto con le forze sociali e politiche reali che a' ciò si oppongono sotto l'ombrello della "democrazia di tutto il popolo", la classe operaia potrà aprirsi una strada effettiva verso la riacquisizione della propria coscienza e della propria organizzazione di classe, sino al punto terminale in cui verrà a stabilire l’equazione democratica operaia = dittatura proletaria.

Se, in poche parole, il regime stesso ha bisogno di un partito più attento alla base, di elezioni nei soviety maggiormente rappresentative, di un sindacato che sappia far meglio il proprio mestiere di "tutela" e coinvolgimento degli operai (e ne ha bisogno per sé), ne ha bisogno anche il proletariato (e del pari per sé). La "coincidenza" di interessi, che in una prima fase di sviluppo potrà celebrare i suoi fasti apparenti, significa, al fondo e in più ampia prospettiva di tempi, conflittualità crescente. Ecco perché la nostra affermazione invariante della "dittatura proletaria" non intende saltar sopra agli sviluppi di una lotta - che sia una lotta! - operaia per la "propria" democrazia.

E questa la lezione che ci viene dalla rivolta berlinese del '53, dalle vicende snodatesi in Polonia dal '56 al '70 all'80, dal faticoso lavoro dei proletari jugoslavi per svincolarsi dall'inganno democratico borghese più spinto, quello dell'"autogestione", della "fabbrica nelle proprie mani". In questo cammino le illusioni democratico-borghesi esisteranno sempre nella classe e tenderanno a riprodursi incessantemente; ma falla gravemente chi non vede, al di sotto di tali illusioni, i passi reali che, soli, sanno metterle, altrettanto incessantemente, in causa. Se ci schifa il "trotzkista" che va a piazzarsi sotto l'ala gorbacioviana in nome di Santa Madre Democrazia, non meno ci ripugna l'estremista piccolo-borghese che ai reali percorsi della massa (e nella massa) oppone gli spettri ideologici (la "falsa coscienza") del "vero comunismo" senza patteggiamenti, senza compromessi, senza... movimento reale.

I comunisti hanno tutto l'interesse a ché i proletari russi "prendano maledettamente sul serio" le promesse di Gorbacev e si muovano col massimo di decisione, ad esempio, per imporre al sindacato di fare il proprio mestiere a pro' della classe operaia, per imporre agli organismi di potere l'ascolto delle proprie rivendicazioni, per esigere un'effettiva glasnost dal punto di vista operaio...

Non si tratterà, allora, né della "rigenerazione democratica" del "socialismo reale" (che è, gratta gratta, il programma dei "trotzkisti" in quanto riformisti borghesi della più bell'acqua) né di "micidiali illusioni" da "combattere" (come pretende l'estremista infantile). Sarà, invece, né più né meno, il movimento reale di emancipazione proletaria ai suoi primi passi. Esili? Incerti? Con sbandate e capitomboli? Sia pure! Per superare i centodieci metri ostacoli in corsa occorre prima imparare anche semplicemente a star saldi sulle proprie gambe.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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