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Previsioni meteorologiche sul fronte capitalista:

Brutto stabile 
con tendenza al peggioramento

Che novità sul fronte della crisi capitalista? Certamente non buone per i borghesi. A preoccupare non sono più soltanto, oggi, gli indici economici tendenti al ristagno od al ribasso e che fanno gridare al miracolo se appena, da qualche parte e per breve congiuntura, s` "impennano" di due o tre punti positivi. Le preoccupazioni vengono, accanto ad essi, dagli indici della situazione politica e sociale. E l'aggrumarsi di situazioni negative su tutti e tre questi versanti sta ad indicare all'orizzonte il profilarsi non più di semplici nuvolaglie, ma di autentici cicloni, di direzione e violenza imprevedibili ed incontenibili.

Al centro di questi sconvolgimenti è lo stesso capofila delle potenze imperialiste, gli USA.

Se l'Iran-gate ha provocato tanto scalpore non è certo per la scoperta che si sono violate le leggi della "correttezza democratica" (democrazia, democrazia: quanti delitti si sono commessi in tuo nome senza batter di ciglia da parte di alcuna parte borghese!). Il fatto è che il groviglio della competizione interna tra repubblicani e democratici, con relativi colpi bassi "ad uso interno", si è innestato – al di là di ogni previsione – su un tessuto economico che mostra sinistri scricchiolii e che i candidati alla successione di Reagan si mostrano sin d'ora preoccupati di dover gestire (e per la cui gestione non saprebbero comunque trovare altra soluzione che una riedizione del reaganismo); su un tessuto politico parimenti esplosivo, specie per quanto riguarda i rapporti intercapitalistici, in particolare nei confronti dell'infido "alleato" europeo, senza contare l'insubordinazione aperta da parte dei paesi dominati e controllati, nei quali le stesse dirigenze borghesi locali prese in affitto da Washington devono dar segno di insubordinazione per non perdere il contatto con una realtà sociale interna sempre più sospinta all'aperta rivolta anti-imperialista, per non parlare poi delle difficoltà derivanti dall'offensiva del sorriso che viene dall'Est e che va a sconvolgere tutti i precedenti equilibri; su un tessuto sociale via via più incontrollabile, non solo al di fuori delle proprie frontiere, ma al proprio interno, come stanno a dimostrare il salire delle tensioni di classe negli USA e la crescente disaffezione di massa ai giochi della "partecipazione democratica" alla vita pubblica, da cui oramai una stragrande maggioranza della popolazione si sente esclusa ed estranea.

E’ per l'insieme di queste contraddizioni che l'Iran-gate è andato inevitabilmente ad alimentare ulteriori ed "imprevisti" conflitti. Tra i briganti imperialisti, in primo luogo. Con quale diritto Reagan vorrebbe inibire gli affari che poi fa di nascosto per conto suo?, protestano gli "alleati" occidentali (che, per altro, non si sono mai ritirati dal banchetto militare su cui - Italia capintesta - tuttora ingrassano). Ma è questo il punto principale? No. Il pericolo primo, non messo in conto dagli apprendisti stregoni che hanno messo in moto l'Iran-gate, è che il disvelamento dei rapporti tra il "grande Satana" USA e il "terrorista" Khomeini possa togliere ulteriore credito alla "guerra santa" dichiarata dagli ayatollah sul fronte interno e che essa si riveli per quel che effettivamente è: una guerra a servizio della borghesia locale e dell'imperialismo internazionale, suscitando il sacrosanto odio del nostro fronte di classe. Allo stesso modo, esso potrebbe aprire un po' meglio gli occhi delle masse sfruttate USA ed occidentali sulla sostanza di una "lotta al terrorismo internazionale" manovrata a proprio uso e consumo da parte di un pugno di Grandi Terroristi della grande industria e dell'alta finanza borghese in funzione strettamente antiproletaria.

E che dire dell'intreccio tra buoni affari coi "terroristi" di Teheran ed il foraggiamento dei mercenari criminali appostati come avvoltoi alle frontiere del Nicaragua? La montagna di cadaveri umani che si va ammassando in Iran e quella procurata dagli inermi contadini del Nicaragua indicano uno stesso marchio di fabbrica: si tratta della stessa "crociata per la libertà" imperialista. Contro di essa è chiamata irresistibilmente ad insorgere la controcrociata degli oppressi, in Iran, in Nicaragua, negli USA stessi...

Abbiamo sempre insistito sul principio che la rivoluzione in Iran o in Nicaragua non può essere confinata "in casa propria", ed ecco oggi che proprio la borghesia USA ce ne dà un'involontaria dimostrazione. Ben al di là dei limiti di una contesa democratici-repubblicani, l'Irangate concorre così a polarizzare in un'unica potenziale direzione la rabbia degli oppressi di tutto il mondo, chiamando ad una non pletorica solidarietà con la causa degli sfruttati iraniani e nicaraguegni gli schiavi dei ghetti (neri, bianchi e d'ogni colore) degli USA, i suoi proletari schiacciati dall'offensiva "liberista", i "desperados" dell'immigrazione forzata, le minoranze nazionali e razziali...

Siamo entrati così in un passaggio decisivo della crisi, quello in cui chi ha attizzato ovunque nel mondo l'incendio per ribadire la propria supremazia mondiale e la pace sociale in casa propria rischia di ritrovarsi tale incendio entro le proprie mura domestiche.

Per gli "alleati" occidentali sarebbe bello poter sfruttare la crisi politica apertasi a Washington ai fini del rilancio del proprio ruolo contrattuale sulla scena mondiale, e c'è, anche in Italia, chi è tentato da questo gioco al massacro tra compari. C'è però, un inconveniente: l'effetto Irangate rappresenta anche per l'Europa occidentale un boomerang. Non è più possibile nascondere ad alcuno che non sia cieco che la politica di "pace" ed "antiterrorista" dell'Europa occidentale non passa per Assisi, ma per Talamone ed è sintomatico che la crociata antilibica messa in campo a suo tempo non sia allora riuscita a coagulare consensi aggressivi di massa per una mobilitazione bellicista ed oggi frani miserabilmente. E non basta: la "popolarità" della crociata contro i "barbari" rischia attualmente di mostrarsi ancor più palesemente per quel che effettivamente essa voleva essere ed era, nel momento in cui il fronte interno - il proletariato - viene a presentare il conto alla "propria" borghesia. Chi farà più paura, in tale congiuntura, all'Eliseo? Il "terrorista" Gheddafi, per fronteggiare il quale si sta in Ciad a " proteggere" (cioè a tenere a guinzaglio) i peggiori arnesi reazionari? Oppure i "terroristi" interni della gioventù studentesca, delle ferrovie, delle fabbriche? O non ancora lo spettro di una possibile giunzione, domani, tra insorgenza in casa e fuori? Lo stesso vale per la nostrana italietta, in cui non si ha neppur vergogna di consegnare nelle mani del "terrorista" Khomeini degli evasi da quell'inferno, nel deliberato disegno di non compromettere i sacri affari che esso "ci" procura. Che almeno certi porci avessero il pudore di mettere un embargo sulla fetida montagna di menzogne "umanitarie" che si ostinano a propinarci! Non è forse un puro caso, per parlare della nostra "bottega", se da qualche tempo l'OCI viene indicata dai trascrittori di provocatorie veline poliziesche come organizzazione "forse" e "chissà come" legata a qualche indefinito centro terrorista di paesi che noi conosciamo solo per averne ben studiata la geografia sociale del movimenti di classe; essi invece sono ben altrimenti noti ai nostrani trafficanti di armi e capitali (le une e gli altri stanno bene insieme) ed ai contabili delle rispettive partite di giro sui bilanci nazionali alla voce "profitti".

Dietro l'Iran-gate c'è qualcosa di ben più grave. Scorriamo le pagine dei giornali di questi ultimi tempi: in Brasile sono bastati pochi giorni per far passare le masse sfruttate dal consenso elettorale al regime allo scontro di piazza con esso (e vi hanno risposto non schede, ma carri armati!); in Argentina ed Uruguay le stesse masse hanno mostrato al potere cosa significhi per esse la "vera democrazia"; il Sud-Est asiatico costituisce un'enorme vulcano in ebollizione che né le Aquino né i tanks coreani a servizio degli USA riescono a domare; ma la protesta si estende ovunque: essa va minando sempre più decisamente i paesi cosiddetti "socialisti", con rivolte che vanno dalla richiesta di diritti di organizzazione operaia, dall'URSS alla Cina, sino alla più prosaica lotta per il pane (il pane in senso reale e non figurato, signori!) come in Romania; ed è rivolta nelle stesse metropoli occidentali, dalla Francia alla Spagna, secondo il "copione" magnificamente evocato ieri dai minatori inglesi e che, non ne dubitiamo, sarà fatto proprio domani dai proletari italiani.

Crisi economica, crisi sociale, crisi politica. Il cerchio si stringe. Le classi dominanti non possono vivere come prima, le classi sfruttate parimenti non lo possono. Le premesse della crisi rivoluzionaria di cui parlava Lenin non si cucinano in alcuna redazione di giornale comunista né da parte di alcun "comitato segreto" di comunisti rivoluzionari. E’ il capitalismo stesso che evoca il suo becchino. Non abbiamo che da prenderne atto e regolarci di conseguenza.

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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