Mentre stavamo "programmando" questo numero di "Che Fare" le notizie-clou che ci giungevano dalla Francia erano quelle relative alle manifestazioni universitarie ed alla ritirata strategica di monsieur Chirac di fronte ad esse. Non si trattava certo di un episodio di lotta proletaria, sia per le caratteristiche sociali del corpo studentesco sia per le modalità e gli obiettivi della sua lotta, e tuttavia era evidente che si trattava di un segno d'insoddisfazione sociale che andava ad erodere i punti di forza non solo del governo Chirac, ma dell'intera compagine borghese (per sua natura incapace di offrire un ragionevole sbocco positivo, nella crisi, ai bisogni della gioventù "in generale") e, pertanto, un terreno di lotta assolutamente non estraneo al conflitto di fondo latente tra lavoro salariato e capitale. Tanto ci dicevano non solo le nostre analisi sulla crisi capitalista e i suoi sbocchi catastrofici, ma tutto un insieme di fenomeni indicatori dell'accumularsi della tensione sociale sul suo versante decisivo.
La protesta degli universitari era stata preceduta, infatti, non solo dalle lotte degli elettrici, ma da una generale effervescenza in campo operaio (stanco del tartassamento cui era stato precedentemente sottoposto e finalmente libero dell'ipoteca delle "compatibilità" da rispettare nei confronti del precedente governo di "sinistra" ed anzi sospinto, in qualche misura, dallo stesso PCF, e persino dal PS, alla ripresa delle lotte, sia pure a fini elettoraleschi di logoramento della concorrenza di destra). Non era poi senza significato che nelle lotte degli universitari entrassero a portare la loro solidarietà settori consistenti della classe operaia, interessati sì a difendere le ragioni dei giovani, ma sollevando in questa solidarietà le proprie ragioni e la rivendicazione, chiaramente gridata ai vertici sindacali, di un deciso rilancio della loro lotta. Comunque fosse, lo schiaffo impresso dagli universitari al governo Chirac era sentito dal proletariato come questione anche loro. E, di fatto, è stato così: la ritirata di Chirac non poteva che galvanizzare la classe operaia, dimostrandole che è possibile scendere in lotta e vincere anche contro uno stato severamente blindato, non solo e non tanto per il consenso elettorale precedentemente ottenuto, ma per le sue stesse esigenze di "autodifesa" di fronte ad una crisi da far pagare tutta e soltanto alle classi e agli strati oppressi della popolazione.
Il successivo sciopero dei ferrovieri ha dimostrato questa "consequenzialità" tra movimenti pur profondamente diversi tra loro. Ed era logico che dovessimo "sacrificare" in questo numero i materiali progettati sulla lotta degli universitari a favore di quella dei ferrovieri. Non è un male che l'attualità ci obblighi a queste... sprogrammazioni!
In questo numero ci limitiamo perciò ad una breve nota sullo "spettro del '68" che i commentatori borghesi stessi, nel mentre cercano di scongiurare, sono costretti ad evocare, certi come siamo che se l'86 (e gli anni a seguire) non sono la ripetizione del '68 questa "differenza" non suona nulla di buono per i borghesi. Avremo modo di ritornarci sopra con più calma: lasciateci, per intanto, godere il bagno di folla proletaria che, sulla scia degli studenti, è scesa in lotta e, a differenza di questi, non trova Il comprensione" presso il potere e per esso nutre la stessa mancanza di comprensione. I proletari non possono neppure per un attimo ritornare pacificati sui banchi di scuola...
'68-86: un anagramma?Sarà pur vero, come scrive l'Avanti del 14 dicembre, che tra il '68 e l'86 studentesco non c'è alcun rapporto, "se non nel facile anagramma che accomuna le due date". Sarà pur vero che si tratta di spinte più da "yuppies" che da "hippies" (è sempre l'Avanti a divertirsi coi giochi di date e di parole). E sarà anche vero che "Dany il rosso", precipitatosi a Parigi a fare un bagno di giovinezza, è stato cacciato dagli studenti stessi al grido di "via i nonni".
Anche noi non crediamo che si tratti di una riedizione del'68 ed anche noi facciamo volentieri a meno delle identificazioni tra il tentativo soggettivo di rottura di allora (che non a caso avveniva all'insegna di una fortissima politicizzazione su un versante etichettato come marxista e all'insegna del "potere operaio") e l'attuale scesa in campo degli studenti, italiani e francesi, soggettivamente preoccupati di non farsi contaminare dal Chernobyl della politica (peggio ancora se "di classe") ed all'insegna delle riforme.
Sulle differenze bene esemplifica l'Avanti: in primo luogo, il movimentodel'68 aveva un carattere internazionale che portava a rimettere in discussione l'intero assetto della società occidentale (con riflessi non indifferenti, in certi casi, su quella dell'est: si pensi alla primavera di Praga) e non esclusivamente questioni d'interesse giovanile o studentesco ( ... ). I ragazzi dell'86 sono diversi. Si pongono obiettivi ben precisi, ragionevoli, e soprattutto realizzabili, anche perché opportunamente limitati a questioni specifiche d'interesse studentesco. Non a caso, mentre i ragazzi del '68 erano soli in strada, quelli dell'86 sono accompagnati nelle loro manifestazioni dai genitori, dai professori e dal sindacato. Una maniera per rendere evidente, qualora ci fossero dubbi, il loro perfetto inserimento nel tessuto sociale cui appartengono e nel quale non intendono assolutamente produrre lacerazioni". Conclusione: il '68 non esiste né ha facoltà di riprodursi ex-novo e, paradossalmente, "è lo stato a non avere superato il complesso del '68, mentre gli studenti ne sono ormai lontani".
Ma davvero si tratta solo di un "complesso" statale (in Francia, si presume, posto che in Italia Craxi è notoriamente privo di complessi)? E perché mai? Si tratta soltanto di un fantasma del passato o non piuttosto di un fantasma che angustia il potere perché preannunzia eventi e protagonisti angosciosi in carne ed ossa?
Nel nostro opuscolo di oltre un anno fa su "La lotta degli studenti" prendevamo atto degli stessi schemi interpretativi attuali da parte della borghesia e davamo ad essi una risposta anticipata ai ritornelli attualmente ripetuti dalla propaganda di regime. E ricordiamo, tra parentesi, che il "complesso del '68" non deve essere cosa poi tanto franciosa e chiracchiana soltanto, posto che già nell'85 Scalfaro mobilitava i servizi d'ordine per tenere a bada i "riformisti bene inseriti nel sistema" e in questo '86 non ha tema di proibire alla stessa FGCI di scendere in piazza per evitare pericolosi contagi non si sa da dove piovuti entro questa rassicurante atmosfera di "perbenismo studentesco" per definizione: forse non siamo più ai tempi del'68, ma in quelli dell'immunodeficienza generalizzata inducibile da scarni incontrollabili batteri?
Sì, il'68 aveva l'aspetto di una contestazione globale che percorse come un brivido tutto l'Occidente, e non solo, mentre l'86 studentesco si presenta molto più "realista" e quindi delimitato per estensione di fronte a richieste rivendicative. Sì, il'68 parlava un linguaggio apparentemente, ed immediatamente, più familiare a noi, il linguaggio della politica, del marxismo, mentre l'86 sembra ritrarsene. Sì, il '68 ebbe durata nel tempo ed impianto nello spazio, tra la classe operaia - in primissimo luogo - risospinta a muoversi, mentre l'85-'86 procede per fiammate circoscritte nell'uno e nell'altro senso. Eppure...
Eppure, e sta qui la ragione delle sacrosante preoccupazioni borghesi, questo movimento, sia come sia all'immediato, preannunzia ben più gravi tempeste, perché cade in una situazione di crisi profonda e generalizzata dell'intiero sistema borghese, come non era nel '68, perché i campi sociali tendono, di conseguenza, a polarizzarsi con molto maggior intensità, perché anche le semplici richieste "riformiste" di anche un solo settore "corporatívizzato" della società risultano tanto bene accette in teoria quanto inaccoglibili in realtà.
L'86 borghese non deve immediatamente far fronte ad un movimento soggettivamente orientato in senso anti-istituzionale, ma deve sì fronteggiare una serie di movimenti che, presi nel loro insieme, testimoniano dell'inconsistenza di una globale soluzione riformista da parte del sistema. In una situazione in cui la classe operaia ancora non si muove per sé con la dovuta decisione, limitandosi a risposte parziali, arretrando sul fronte di battaglia in nome di una presunta difensiva, questi movimenti non prendono la fisionomia né di un (sempre impensabile) fronte di lotta anticapitalista né quello di un fronte aggressivo di ricompattamento borghese antiproletario. Costituiscono dei bubboni, da destra o da sinistra, che oggettivamente mettono in crisi gli attuali rapporti politici e sociali, cui il potere tuttora risponde in maniera impressionistica e fondamentalmente scoordinata. E chiaro, però, che un movimento come quello degli studenti, nella situazione presente quale abbiamo delineata, del tutto indipendentemente dalle idee che esso nutre di se stesso, porta in sé opzioni oggettive che potranno configurarsi solo ad uno dei due poli opposti: o quello di settori privilegiati (o aspiranti al privilegio) mobilitati contro la classe operaia in nome di un nuovo Stato "forte" in grado di attribuire ad essi detti privilegi facendo pagare ulteriormente e senza remore "chi di dovere", la classe operaia, oppure quello dei vasti settori di massa condannati comunque alla disoccupazione, alla sotto-occupazione, alla marginalità, costretti storicamente a porsi a fianco della prospettiva operaia rivoluzionaria.
E quest'ultimo il "complesso" cui lo Stato, qualsiasi stato borghese, non può comunque sfuggire. Esso può bensì lavorare per ritardare la resa dei conti, per fiaccare in anticipo il campo avverso, per spargere in esso i veleni della propria propaganda e della propria ideologia (e dei propri scherani "riformisti"). Ma per gli stessi motivi questo è un campo strategico nostro, quand'anche dei giovanotti intorpiditi ci gridassero oggi "Via i nonni"; essi dovranno comunque crescere per diventare i "nonni" di domani, su un terreno determinato - e non determinato dalla nostra presenza, che ha, se riesce ad avercela, la funzione non di "creare" alcunché, ma di imprimere ai movimenti reali coscienza e direzione.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA