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FRANCIA: dagli studenti ai ferrovieri
si riaccende la lotta di classe

Fare un giornale con tempi di uscita molto lunghi - cosa a cui siamo costretti dalle enormi difficoltà reali che fanno da contraltare alle solenni dichiarazioni sulla "libertà di stampa" - non ci consente di seguire e riferire puntualmente quanto va succedendo nella Francia di questi giorni. Le ultime notizie, alla data in cui scriviamo, parlano di un'estensione del fronte di lotta ad altri lavoratori dei trasporti e dei servizi urbani, con una riuscita manifestazione a Parigi. E la strada che indichiamo nell'articolo, che non dà, di per sé, garanzie di successo immediato, ma che si inquadra perfettamente in una ripresa generale della lotta di classe, al punto tale che taluni riformisti "cavalcatori" della prima ora - il PSF - cominciano già a prendere le distanze dalle strumentalizzazioni altrui (del PCF) e dall'estremismo dei lavoratori.


Chi sono questi ferrovieri? Un reparto tra i più sfruttati della classe operaia francese: l'azienda di stato, in preda ad un deficit cronico, è da tempo in fregola di "ristrutturazione" (sull'esempio di quanto già avviato per il Métro, anche se in attivo, dove provocatoriamente era stata dimissionata la direzione di "sinistra" con un diretto attacco al sindacato). " Razionalizzare" il servizio pubblico significa per il capitale fare di esso sempre più un efficace servizio d'infrastruttura per l'industria nazionale, scaricandone crescentemente i costi sull'utenza "sociale" e sui lavoratori del settore in primo luogo. Da tempo i proletari delle ferrovie sono stati sottoposti ad una disciplina vessatoria corroborata da operazioni poliziesche di controllo, ad un'intensificazione dei ritmi e della mobilità, ad una limitazione sempre più stretta dei diritti e dei "poteri" sindacali. Con la lettera di Chirac del 12 novembre scorso sugli indirizzi di "politica salariale per il 1987 nel settore pubblico" si è costruito l'ultimo tassello di quest'attacco antiproletario: limitazione degli aumenti contrattabili al 2% annuo con un massimo del 3% in caso di miglioramento della produttività; abolizione degli automatismi salariali (coi taglio, ad esempio, del precedente "premio" di 300 franchi per gli impiegati allo sportello); contrapposizione del "merito" agli scatti di anzianità per introdurre nel settore una "sana", liberistica competizione tra sfruttati (ed, ovviamente, un aumento di produttività non pagato). Nessuna concessione, inoltre, sulle richieste dei lavoratori in merito alle condizioni di lavoro (come nel caso della rivendicazione di nuovi controlli medici e psicotecnici). E basta un dato ufficiale a lumeggiare le condizioni di vita di questi proletari: la vita media del ferroviere francese è di 56 anni! Calcolate voi cosa ciò significhi in termini di sterminio di massa pianificato, e proprio da parte di chi pretende di inalberare gli stendardi dei "diritti umani" quando si tratta di suonare la grancassa propagandistica contro la repressione della dissidenza nell'Est o contro il "terrorismo assassino" che "insanguina le nostre strade!" Quanto sangue scorre sulle rotaie di questo autentico lager di stato, di questo programmato campo di sterminio? Ma si sa, è un sangue questo che non fa notizia, non impressiona l’ "opinione pubblica"...

Contro questa devastazione delle loro vite i proletari francesi delle ferrovie sono insorti dandosi strumenti ed obiettivi di lotta all'altezza della posta in gioco.

Per muoversi essi non hanno avuto bisogno che arrivassero ordini dall'alto, dalle loro direzioni sindacali o dai loro partiti e questo è già un primo dato significativo. Già precedentemente dotati di un buon tasso di sindacalizzazione e con una prevalenza, in essa, della sinistra (la CGT raggruppa il 46,67% dei ferrovieri iscritti al sindacato), essi hanno costantemente esercitato la loro pressione sulle dirigenze sindacali, contrastandone tutte le titubanze e la perenne disposizione al compromesso in nome dei superiori interessi nazionali d'azienda, perché ci si muovesse, e sul serio. li loro modo di essere e sentirsi sindacato evidentemente era diverso da quello dei burocrati: alle complicate alchimie dei vertici ed alla loro sostanziale passività essi hanno risposto costituendosi degli autentici organismi di fronte unico sindacale alla base coi "comitati di lotta". Rappresenta ciò una rottura coi sindacalismo? No, rappresenta un passo avanti nella coscienza e nell'organizzazione trade-unionista (di cui sarà facile in futuro vedere le implicazioni politiche) che si è potuta realizzare passando per il sindacato ufficiale, passandovi da proletari, educandosi in esso alla lotta (ed anche, e principalmente in un certo senso, alla lotta contro la sua direzione riformista marcia). I "comitati di lotta" non mettono esplicitamente in causa questi sindacati (cui tuttora demandano la trattativa ufficiale e la sottoscrizione di un eventuale giusto accordo) e meno che mai mettono in causa il sindacalismo (di cui sono, anzi, l'espressione più avanzata). La loro lotta e la coscienza che essi hanno della loro lotta non travalica i confini del trade-unionismo da un lato e della coscienza riformista dall'altro. Ma, come nel caso dei minatori inglesi, questa lotta realizza una condizione ulteriore, ed enormemente più avanzata, della rottura nei fatti e nella coscienza dei presupposti materiali su cui si basano e il dominio borghese e quello riformista. Essa diventa, così, un formidabile atto pratico sulla via del passaggio della classe operaia dal riformismo alla rivoluzione, un "passo avanti" nel "processo" di polarizzazione sociale e politica. Ed un passo, è bene sottolinearlo, che non si sarebbe potuto compiere senza tutta l'esperienza precedente di lotta entro le "ammorbanti" strutture del sindacato. Anche noi, al pari di certi nostri "vicini" estremisti, ci emozioniamo per la dimostrazione esemplare di forza che emana dai "comitati di lotta", ma a differenza di essi non scambiamo un passaggio per un improbabile punto d'arrivo (con conseguenti delusioni e recriminazioni a lotta chiusa) né diamo a credere che tutto questo sia nato d'improvviso, "spontaneamente", su terra vergine. Anche la rivoluzione può scoppiare in un solo giorno; ma la sua gestazione non è affare d'un giorno soltanto...

Ci rallegriamo, perciò, che - intanto - i "comitati di lotta" siano riusciti a mettere i loro sindacati con le spalle al muro, ad accoglierne e portarne avanti in qualche modo (e ben ne conosciamo i limiti!) le richieste. Dove qualcuno vedrà unicamente un "tentativo di inserimento e deviazione" del movimento noi vediamo un risultato di prima grandezza di questo movimento, dalla cui radicalizzazione soltanto potrà derivare la possibilità di andare più oltre.

La seconda "novità" sta nel metodo di lotta: sciopero ad oltranza, senza preavviso, senza rispetto alcuno di "codici di autoregolamentazione" in vista delle "festività" (posto che il proletariato non ha festività da celebrare, ma condizioni di vita da difendere e lotte da fare). La differenza con i nostri scioperetti abbondantemente preannunciati in vista della loro cancellazione "all'ultimo momento", con le agitazioni di due o quattro ore al massimo e con il rispetto rigoroso sempre delle date di calendario inviolabili, balza subito agli occhi. Dopo la lotta dei minatori inglesi, questo è un altro esempio della tendenza storica presente ad imprimere agli scioperi un'impronta radicale. E finita l'era delle azioni "dimostrative". O si dimostra sul serio la propria forza, o la battaglia è perduta d'anticipo. Solo uno sciopero di queste caratteristiche è in grado di piegare, a determinate condizioni (in sintesi: l'ulteriore allargamento della linea di conflitto ad altre decisive categorie proletarie), il capitale e - quel che va sottolineato - esso è anche il solo a poter assicurare una partecipazione di massa. Come scriveva Trotzkij nel '35: "Le masse operaie capiscono quello che non capiscono i ‘capi’, cioè che in una situazione caratterizzata da una profonda crisi sociale una lotta economica parziale, pur esigendo enormi sforzi ed enormi sacrifici, non può da sola assicurare risultati consistenti. Peggio: può indebolire ed esaurire il proletariato. Gli operai sono disposti a partecipare a manifestazioni di lotta e anche allo sciopero generale, ma non a piccoli scioperi logoranti, senza prospettive"." E’ ben nota la recriminazione interessata dei "nostri" capi riformisti: "noi " ci staremmo alla lotta, sono gli operai a non rispondere ai nostri appelli. I minatori inglesi ed i ferrovieri francesi dimostrano, al contrario, che se appello reale ad una vera lotta c'è i lavoratori entrano decisamente nella battaglia, cessano di conteggiare i soldi perduti per le due o quattro ore di "agitazione" senza costrutto; e lo fanno perché possono finalmente sentirsi non quali individui sparsi di fronte alla forza concentrata del capitale, ma esercito di classe.

Terza "novità": le rivendicazioni immediate. Una ne vorremmo subito mettere in rilievo, ed è la rivendicazione del pagamento integrale delle giornate di sciopero. Si tratta di un'importante acquisizione teorica": schiavi del lavoro salariato, noi esigiamo che la lotta contro l'inasprimento delle sue catene venga riconosciuta come diritto conquistato sul campo; è il capitale stesso che ci "provoca" alla lotta e sta ad esso pagare per questa sua provocazione. Si tratta di una rivendicazione doppiamente importante, sia per il criterio che l'ispira sia perché il lancio senza esitazioni di essa può ulteriormente galvanizzare il fronte di lotta e, non potendo essere sanzionata da alcun codice di diritto borghese, ma solo dalla forza della lotta, contribuisce a rendere più nitido ed aperto lo scontro di classe. Il significato in ultima istanza politico di una tale rivendicazione non ha bisogno di essere commentato.

Entrando poi nel merito delle rivendicazioni economiche immediate vere e proprie vi troveremo lo stesso filo. Lo sciopero si è realizzato attraverso la più ampia unità della categoria e per rafforzare questa stessa sua unità. Si respinge, perciò, con estrema decisione il tentativo di dividere la categoria per "meriti", che non significa soltanto frammentazione di essa, ma sua globale sottomissione a criteri di profittabilità capitalista che la classe - per restare se stessa - deve respingere su tutta la linea. "Merito" significa lavorare di più in proprio per arraffare una trentina di danari condannando l'intiera categoria a lavorare di più a salario reale diminuito. E perciò: rigidità ed egualitarismo. Finché non avremo la forza di spezzare le catene del lavoro salariato nel suo complesso - questo il significato profondo della rivendicazione - vogliamo restare uniti tra noi per precostituire le condizioni dell'assalto di domani. Ed ancora: recupero integrale del potere d'acquisto sottrattoci dagli aumenti del costo della vita. Sappiamo fin troppo bene che le variazioni nei segni di valore monetario valgono sin qui a senso unico, per deprimere la nostra capacità d'acquisto ed esaltare la massa dei profitti concentrata nelle mani dei borghesi; la nostra lotta significa che siamo decisi a non farci volontariamente "inflazionare". Infine: la nostra vita, ancorché in condizione di schiavi, sia almeno salvaguardata nella "norma", per quel che può valere la norma borghese. Gli antichi romani padroni di schiavi chiamavano questi ultimi "oggetti animati" e da "oggetti animati" siamo trattati dal capitale. Vogliamo, restando ancora vostri "oggetti" finché non avremo la forza di seppellirvi, poter respirare e vivere e non essere semplicemente usati e gettati a vostro piacimento.

Su queste basi i ferrovieri francesi hanno imposto il principio che prima viene la lotta, poi la trattativa, rimanendo la lotta in piedi quale strumento di trattativa (perché ai tavoli padroni-sindacati non si conteggiano opinioni, ma forze reali in campo) e solo a vittoria ottenuta si sigla l'accordo. Lotta sino alla vittoria. E che vittoria? Anche ammesso che nessun ferroviere abbia mai letto Marx, è questa la traduzione nel movimento reale di un fondamentale principio marxista: "Di quando in quando gli operai vincono, ma solo in modo effimero; il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma l'unione sempre più estesa degli operai." Ed è proprio questo il risultato che i ferrovieri francesi ambiscono ad ottenere e preservare!

Mentre scriviamo non siamo ancora in grado di sapere come lo scontro tra ferrovieri ed azienda di stato (tra proletariato e Stato, in ultima istanza) andrà ad evolvere. Date le complessive difficoltà di riorganizzazione del proletariato sul suo terreno di classe, in Francia come altrove (una riorganizzazione che implica non la "semplice" ripresa della lotta tradeunionista, ma quella politica più generale in direzione della costituzione del partito di classe), è prevedibile che il peso passivo delle tradizioni del passato giocherà all'immediato contro l'unica seria garanzia relativa di vittoria su tutta la linea: l'estensione, a tutte le altre categorie di lavoro salariato, della "guerra di classe" dichiarata dai ferrovieri in direzione non soltanto di miglioramenti (o preservamenti, con molto maggior modestia) delle posizioni economiche attuali, ma del potere di classe, del potere non contrattabile e non spartibile "secondo (borghese) giustizia".

E altrettanto certo, però, che in nessun caso potrà spegnersi tra i ferrovieri e nelle altre categorie salariate la coscienza dell'antagonismo sociale che li oppone al capitale, la coscienza dei propri interessi, della propria forza potenziale e l'esperienza della propria capacità di organizzarsi in classe per sé. Se, nella congiuntura di breve periodo, il riformismo potrà apparentemente rifarsi il lifting per reinserirsi nella classe e ricondurla sui binari morti della "contrattazione sociale", dei giochi elettoraleschi, del compromesso tra tutte le classi progressiste", un inizio di rottura irreversibile si è già consumato nei rapporti tra proletariato e riformismo.

Non ci occorre altro per poter proclamare, prima che siano emessi i bollettini di guerra conclusivi, che comunque il proletariato francese, ed internazionale, ha segnato un punto decisivo a proprio storico vantaggio. 6.1.’87


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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