La "nuvola di Cernobyl" è passata: con un po' di radioattività è rimasta, nei più, la sensazione di aver compiuto le prove generali per ciò che questa società ci riserva per il futuro. E questa consapevolezza, infatti, la molla che ha spinto centinaia di migliaia di persone a manifestare in Italia (a Roma e Trino in particolare) ed in tutta Europa contro le centrali nucleari. Se l'incidente di Cernobyl, alla stregua di quelli gravi (pur di altra natura) che l'hanno preceduto (Seveso, Harrisburg, Bhopal) dimostra a quali conseguenze porti l'uso capitalistico della scienza e della tecnologia, pone, nondimeno, con più urgenza il problema dì come opporsi alla progressiva distruzione dell'ambiente. Di questa preoccupazione si fa portavoce una compagna la quale ci ha scritto:
"Cari compagni, intervengo su un argomento "scottante" in questi giorni, ma lo faccio dopo una riflessione che avevo già iniziato in seguito all'articolo "Verdi, istituzioni e movimento proletario" apparso nel n. 2 del giornale e per forza di cose ho dovuto non più rinviare. La posizione dell'OCI su natura ed ecologisti l'ho condivisa in pieno però la ritengo carente (non c'è nessun accenno nell'articolo menzionato) sull'analisi delle scelte energetiche che in questi ultimi 20-30 anni sono state fatte dai governi dei paesi più industrializzati, mi riferisco, in particolare alla scelta nucleare. Per essere breve, dirò solo questo: sul nucleare non si può nicchiare, non si possono avere posizioni ambigue, dobbiamo essere, in quanto comunisti rivoluzionari, assolutamente contrari, almeno (ma non sono certo tutti) per i seguenti motivi:
1) il nucleare civile è inscindibilmente legato al nucleare bellico, far accettare questa scelta come assolutamente necessaria dal punto di vista delle risorse energetiche, e quindi economiche, è un essenziale passo avanti verso il consenso sull'ineluttabilità delle armi in particolare di quelle atomiche, e di conseguenza della guerra;
2) lo stress psicologico continuo a cui sono sottoposte le popolazioni (ed in particolar modo gli strati economicamente più bassi cioè i proletari) comporta uno stato di evidente rassegnazione (piuttosto che una spinta alla ribellione) a quelle che sono le "leggi" della società capitalista: il nucleare diventa così un elemento "centrale" della ricerca del consenso;
3) come sanno tutti quei compagni che per motivi di lavoro si occupano di prevenzione, non esiste sicurezza assoluta (e molte volte anche quella relativa è assai bassa) negli impianti: il capitale per opporsi alla caduta del saggio di profitto, non dimentichiamocelo mai, risparmia su tutto, dal costo della forza-lavoro, alle spese relative ai mezzi di produzione, in particolare sulle spese relative alla "sicurezza". Questo concetto vale relativamente molto di più per il nucleare (anche se in senso assoluto i soldi spesi sono maggiori) che di per sé è "intrinsecamente instabile" secondo le parole del Nobel Rubbia (tanto è vero che incidenti ritenuti dai massimi cultori in materia solo teoricamente possibili, si sono già verificati 2 volte (o più?) nel giro di 7 anni;
4) il nucleare, e lo sono simbolicamente i megaimpianti, è inoltre un importante meccanismo di accentramento del potere economico e quindi politico con tutto quello che ciò comporta;
5) la scelta nucleare che parte dal capitale è stata "necessaria" anche per coprire tutta una serie di sprechi energetici inevitabili per la sopravvivenza del capitale stesso (vedi ad es. l'industria bellica) i quali, d'altra parte, nel comunismo non avrebbero ragione di esistere;
6) la scelta nucleare, infine, nata come una risposta alla crisi sempre più acuta del capitalismo, è tra le grandi conquiste tecniche la più grossa deviazione verso uno sviluppo distorto delle risorse, comportando la più grande modificazione della natura in senso contrario agli interessi della specie.
Così, mentre da una parte dobbiamo essere apertamente antinucleari, in quanto anticapitalisti, dall'altra dobbiamo tener aperto il dibattito sul reale rapporto costo-benefici per tutte le fonti energetiche (non esclusa, almeno dal dibattito, quella nucleare) necessarie per la realizzazione del "vero umanismo" dopo che sia stata abbattuta la società capitalistica. Mi rendo conto della estrema limitatezza di questo mio intervento, ma ho voluto farlo soprattutto per stimolare l'analisi critica dei compagni e possibilmente anche un intervento politico relativo, per impedire che il comunismo possa ereditare dal capitalismo solo un immenso deserto. Noi rivoluzionari siamo i soli veri ecologisti e questa convinzione la dobbiamo far entrare anche nel nostro agire quotidiano".
Si è vero! sull'energia nucleare e sul suo utilizza capitalistico dobbiamo essere chiari, senza eludere il problema, alla moda di chi sostiene, l'ovvia considerazione, che solo il Comunismo potrà... e via di questo passo.
L'articolo apparso sul n. 2 di questo giornale, ed a cui si richiama la lettera, riaffermava, peraltro, in modo chiaro la necessità da parte dei comunisti rivoluzionari di non dimissionarsi dal terreno della lotta contro l'inquinamento e "l'uso ed abuso capitalistico del territorio e delle risorse". Semmai, contro le illusioni che seminano a piene mani i verdi e gli ecologisti su possibili soluzioni "tecniche" (quando non reazionarie) ai problemi dell'inquinamento e della distruzione dell'ambiente ribadivamo:
l°) che le catastrofi ambientali non sono il frutto di un intrinseco antagonismo fra uomo, tecnica e natura, ma dello sfruttamento che della natura e della tecnologia fa una specifica classe di questa società: la borghesia.
2°) per questo, non è possibile eliminare, od attenuare, gli effetti catastrofici di questo sfruttamento senza lotta contro questa classe e gli interessi che la muovono.
3°) è necessario inserire la lotta sul fronte dell'ambiente in un più ampio contesto di lotta anticapitalista.
Ciò posto, vediamo un po' più nel dettaglio.
Sappiamo che lo sviluppo scientifico non avviene in "vitro" ma in una società con un dato modo di produrre e con dati rapporti sociali.
Come alcune componenti dello stesso movimento ecologista sono arrivate a riconoscere (vedi articolo di L. Conti su "Nuova ecologia" del maggio '86) è la scienza al servizio della produttività e della competitività dell'industria che è fonte di degrado ambientale e distruzione di un equilibrato rapporto tra uomo e natura. Beninteso, la scienza, anche così utilizzata, accresce le conoscenze dell'uomo, ma sotto il dominio del capitale essa orienta le sue ricerche (ed ancor più le sue applicazioni) verso determinati settori (meno dispendiosi per la ricerca, più redditizi, utilizzabili a fini militari, ecc.) eludendo altri settori anche se più essenziali per l'uomo.
Scrivevamo giustamente nell'articolo in questione: "solo la messa al centro dei valori d'uso contro i rapporti mercantili consentirà all'umanità di creare e potenziare nuove tecnologie utili all'uomo e di preservare in quelle date ciò che è valido e controllabile, anche in relazione ai periodi derivati dal loro utilizzo".
Precisamente in questi termini va posta la questione del nucleare. Sui pericoli attuali dell'uso dell'energia nucleare non ci sono dubbi. Le conseguenze degli incidenti nucleari sono ben più drammatiche e globali di qualsiasi altro "incidente" connesso all'uso capitalistico della tecnologia. Un "incidente" del tipo Cernobyl immette nell'atmosfera sostanze radioattive (che possono essere neutralizzate) che alterano gli stessi cieli naturali della vita con conseguenze ancora inimmaginabili per 1 uomo. Possiamo ben dire che il nucleare esprime emblematicamente l'attuale fase della storia sociale dell'uomo e della contraddizione tra forze produttive che può mettere in campo e rapporti di produzione dati dal dominio del capitale. La conseguenza è che il dominio sulla natura e le stesse forze produttive sfuggono dal controllo dell'uomo ed acquistano una incontrollabile autonomia sotto il dominio del capitale. Il problema non è quello di un insufficiente controllo dell'energia nucleare da parte dell'uomo, ma quello della completa assenza di questo controllo (che non è solo e principalmente scientifico ma economico e sociale).
I marxisti, d'altronde, non sono mai stati passivi spettatori dello sviluppo tecnologico: la lotta contro il suo uso "di parte" si è tradotta sul piano immediato nelle iniziative a difesa delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato, per mitigare o rimuovere le conseguenze nefaste (ad es. le lotte in fabbrica sull'ambiente). Col nucleare questa azione di salvaguardia della salute e della stessa vita dell'uomo non può che comportare la lotta contro l'uso di questa energia. Diversamente, abbandoneremo la stessa lotta per la vita delle specie alla mercé di un "miglioramento" tecnologico sotto il controllo della borghesia... e questo non ce lo possiamo permettere (!). Semmai, solo un pieno ed effettivo controllo sociale su tutte le forze produttive che subordini la scienza e la tecnologia all'uomo, potrà riaprire, su altre basi e con altre prospettive, il discorso sull'investigazione atomica della materia, ma ciò sarà possibile solo con la presa di possesso da parte del proletariato del potere politico e del controllo sull'economia. Chi ritiene, come il PCI, che nell'ambito degli attuali rapporti di produzione, sia possibile un effettivo controllo sull'uso del nucleare da parte di organismi statali, governativi o scientifici, (Parlamento, regioni, consulte scientifiche, ecc.) semina illusioni e, alla stregua dei borghesi, subordina l'uomo ad esigenze politiche ed economiche che gli sono estranee.
La lotta contro l'uso capitalistico del nucleare non può che essere lotta contro l'uso del nucleare.
Come e con quali prospettive?
Oltre che l’economicità e la necessità di diversificazione delle fonti energetiche, ad indirizzare la scelta borghese verso il nucleare ha contribuito la stretta interdipendenza (ed intercambiabilità) tra uso civile e militare del combustibile nucleare, che fa delle centrali, potenziali, e particolarmente convenienti, fabbriche di materiale strategico. Questo rende la scelta nucleare della borghesia di carattere politico e strategico, ancor più che tecnico ed energetico. Questa caratteristica, che implica effetti politici, sociali ed ideologici determinati, che vengono tratteggiati nella lettera della compagna, comporta che:
1°) non vi sono soluzioni "tecniche" all'uso capitalistico del nucleare a cui vincolare obiettivi di lotta: l'unico obiettivo, realistico è quello della chiusura di tutte le centrali, come di tutti gli arsenali atomici, presenti sul territorio.
Di conseguenza:
2°) la possibilità di ottenere significative vittorie nella "lotta al nucleare" è legata al superamento del settorialismo ed al suo coordinarsi con una più ampia strategia di lotta contro le forze politiche, sociali e militari che della scelta nucleare sono artefici (padroni, governo ed apparati militari).
Le lotte e le manifestazioni del dopo Cernobyl hanno visto la partecipazione di migliaia di persone della più varia estrazione sociale. Accanto ai pochi proletari, studenti, lavoratori intellettuali, contadini, operatori turistici e, financo, qualche borghese sotto spoglie ecologiste. Tutto ciò non ci spaventa affatto. Tutto ciò che si muove è spurio (sia dal punto di vista della composizione sociale e/o da quello politico-ideologico) ed a preoccuparsi dell'ampio fronte di lotta formatosi sul nucleare sono i padroni e il governo; i comunisti, da parte loro, prendendo atto di come sempre maggiori contraddizioni attraversino il corpo sociale riflettendosi a livello di tutte le classi, devono semmai:
a) favorire, secondo le direttrici di cui sopra, lo sviluppo del movimento per la chiusura delle centrali nucleari ed il blocco dei lavori di costruzione;
b) legare tale lotta ad una più complessiva azione contro la politica economica e la strategia politico-militare della borghesia; ciò significa, non solo allargamento della denuncia e della mobilitazione su tutto quello che presiede o si apparenta con l'uso del nucleare (militarizzazione del territorio, arsenali atomici, assoggettamento dell'uomo e della natura alle esigenze del capitale, ecc.), ma operare per allargare il fronte di lotta alla classe operaia, unica forza oggettivamente antagonista allo sfruttamento che dell'uomo e della natura fanno le forze del capitale;
c) riaffermare (anche con l'ausilio dell'esperienza maturata nella lotta alle centrali di Germania, Olanda, Svizzera, ecc.) che solo con l'azione diretta (blocchi, occupazioni, manifestazioni) è possibile ottenere successi anche se parziali. L'uso di strumenti di pressione e consultazione (raccolta firme, referendum), non scartabili per principio, possono eventualmente servire da supporto a queste azioni e come mezzo per raggiungere obiettivi parziali. Solo se sostenuto da un'azione volta alla più larga mobilitazione di massa, con idonei strumenti di propaganda, organizzazione e lotta, un referendum (anche se su obiettivi limitati come quelli ipotizzati dal referendum DP, FGCI, Verdi, ecc.) può far compiere passi in avanti alla battaglia antinucleare. Diversamente, come qualche segnale lascia presagire, se esso viene utilizzato da surrogato alla lotta, con la conseguenza di passivizzare le masse in attesa del responso delle urne, può solo essere veicolo di nuove disillusioni e sconfitte. In primo luogo, dunque, poniamo al centro del nostro intervento la lotta e l'organizzazione attorno ad essa; senza avventurismi, settarismi o "principeschi" rifiuti a priori, ma come mezzo più efficace e realistico (a cui subordinare tutti gli altri) per battersi contro il nucleare ed i suoi effetti.