Lotta alla repressione
Se non vogliamo chiudere gli occhi davanti alla realtà, dobbiamo riconoscere che mai come in questo momento è stata difficile una difesa di classe dalla repressione statale contro le avanguardie. Non solo perché i rapporti di forza tra le classi sono sfavorevoli, ma anche perché ci troviamo nel vivo di un'offensiva borghese su questo terreno.
Negli ultimi mesi l'art. 90 è stato formalmente abolito (salvo i soliti... errori o omissioni) ed i termini di carcerazione preventiva... ridotti (dai 12 anni dell'"emergenza"). Si avvicina il varo della legge a favore dei dissociati (con un vasto consenso parlamentare) mentre generalmente le sentenze, facendo un sapiente uso politico dei diritto, attenuano le pene. Il direttore delle carceri, Amato, scrive con pathos ai detenuti di scrivergli, mentre la figlia di Moro va a messa e a cena con Morucci e Faranda. A suggello (momentaneo) del tutto, ecco a Bergamo, in un carcere, riunirsi a convegno e dialogare dissociati, pentiti e autorità dello stato.
E’ l'orgia della democracità della democrazia, che offre la pacificazione e il perdono a chi, fino a poco tempo fa, le aveva dichiarato guerra mortale.
Inutile nascondervi che questa offerta ha ormai sfondato nella stessa grande massa dei detenuti politici, e questo costituisce, forse, uno dei più significativi successi conseguiti dallo stato nel legittimare la propria azione repressiva. Nonostante ciò, ci sono compagni (dentro e fuori le carceri) che continuano a porsi la domanda: come difendersi efficacemente dalla repressione senza svendere nulla di sé alla democrazia borghese.
Cominciamo col dire che, a parte i rapporti di forza sfavorevoli della fase, una specifica eredità negativa, che viene dal soggettivismo dominante negli anni passati, funziona tuttora da ostacolo, perché un dato "modello" di lotta alla repressione non è stato ancora superato a pieno.
Il presupposto (indimostrato e indimostrabile) della linea soggettivista e militarista predominante negli anni '77/'82 era: è in atto, strisciante o dispiegata, una guerra civile o (secondo i più prudenti) una fase di pre-guerra civile, di "acuto antagonismo" tra un vasto movimento comunista e lo stato. La repressione statale contro le avanguardie è sintomo dell'inesorabile indebolimento delle istituzioni borghesi. Essa non fa e non può fare paura, anzi - se contrastata nel modo giusto - può agevolmente operare da moltiplicatore della qualità e quantità del "movimento comunista". Il modo giusto per difendersi da essa è "rispondere colpo su colpo", "fare la lotta sempre più dura", intensificare l'attacco allo stato "innalzando il livello dello scontro".
Nel periodo di dominio dei soggettivismo guerrigliero, era indegno dei comunisti perfino il declinare le proprie generalità a un poliziotto o a un giudice. L'assioma-guida era: l'unico rapporto tra i "comunisti" e lo stato è un rapporto (immediato) di "guerra".
Ne conseguiva, in modo pressoché obbligato, che non esisteva una specifica lotta alla repressione statale che mirasse a coinvolgere, per lo meno della denuncia, settori del proletariato.
Lo slogan "dall'Asinara all'Ucciardone, un solo grido: evasione" esprime bene l'inseparabile intreccio che il soggettivismo istituiva tra guerra civile (imminente o in atto), lotta allo stato e difesa dalla repressione statale. Insomma: poiché l'unica risposta comunista alla repressione era l'ulteriore sviluppo della lotta armata", l'unica forma di coinvolgimento dei settori non direttamente colpiti dallo stato, e delle masse proletarie in primo luogo, poteva essere il coinvolgimento nel sostegno o nella pratica dell'azione armata.
Non ci interessa qui mostrare la totale bancarotta dei militarismo, quanto piuttosto mettere in luce quale eredità ci lascia per quanto concerne la difesa di classe dalla repressione statale.
E’ un'eredità doppiamente negativa. Da un lato perché ha sempre sottovalutato lo stretto legame tra consenso e repressione borghese; dall'altro perché ha finito per isolare sempre più "l'area delle avanguardie" dalla massa del proletariato. Cosicché mentre le istituzioni democratiche (e non solo attraverso il Pci e il sindacato) facevano di tutto per legittimare nella società e perfino nella classe operaia la repressione contro le "avanguardie", queste ultime non facevano praticamente nulla per delegittimare la repressione statale come repressione non nell'interesse dell'intera società, ma nell'interesse della classe capitalistica.
L'unica propaganda valida era considerata la "propaganda armata", essendo tutto il resto vuoto parolaismo. E questo mentre le istituzioni non risparmiavano di certo parole e carta stampata "contro il terrorismo"...
I guasti prodotti complessivamente dal militarismo e dal soggettivismo Br hanno creato le condizioni migliori perché, in un arco di tempo relativamente breve, dilagasse un'ipotesi (delineata dal "documento dei 51 di Rebibbia") di recupero della libertà per "una generazione detenuta" passando attraverso la dissociazione dalla lotta di classe e la riassociazione alla democrazia.
Oggi, chi si rifiuta di percorrere e far percorrere il degradante tour indicato da Negri e soci si chiede e chiede se esista un'altra via, e quale è, per non "far marcire i compagni nelle galere".
Ce lo chiediamo anche noi, convinti come siamo - al di là delle profondissime divergenze passate e presenti - che il problema non riguarda solo i militanti oggi direttamente colpiti.
Si tratta, in certo senso, di ricominciare, fissando anzitutto le basi di un'azione contro la repressione che, abbandonato ogni residuo di soggettivismo, eviti la deriva democraticista. Proviamo a fissare, in modo schematico e sintetico, queste basi:
1) La lotta per il comunismo è una lotta che contrappone il proletariato come classe alla borghesia, e non già "i comunisti" e la borghesia.
2) Di conseguenza, in ogni circostanza, quando la borghesia reprime i "comunisti", lo fa nell'ambito della propria azione contro il proletariato (ecco perché è stato oggettivamente complice di essa chi in questi anni come per es. "Lotta comunista" - s'è estraniato dalla lotta alla repressione con la scusa che questa si abbatteva sui "piccoli borghesi").
3) La borghesia, quando reprime "le avanguardie" e perfino quando reprime il proletariato, non cessa di ricercare il consenso sia negli strati medi della società che nelle stesse masse lavoratrici, e finanche tra gli stessi colpiti. In Italia, e nelle metropoli occidentali in genere, lo stato presenta se stesso come "stato di tutti", che colpisce perciò i trasgressori delle leggi "nell'interesse di tutti".
4) Perciò, nel contrapporsi all'azione del governo e della democrazia borghese in genere, i comunisti debbono rivolgersi sempre alla massa dei proletariato, anche quando ad essere colpite siano semplicemente delle "avanguardie", con lo scopo di contro-informare, impedire il compattamento delle masse con lo stato e invitarle ed incitarle ad opporsi attivamente alla repressione statale.
5) Il coinvolgimento delle masse proletarie su questo terreno, non facile, è però assolutamente necessario, perché non vi è alcun altro soggetto sociale trainante della lotta antirepressiva (non lo sono di certo i "familiari dei detenuti politici", corpo sociale interclassista).
6) Un tale coinvolgimento risulta oggi relativamente (molto relativamente!) agevolato dall'esperienza che settori crescenti della classe vanno facendo della restrizione delle libertà di organizzazione e di lotta sui luoghi di lavoro e fuori di essi. Ciò non toglie, però, che la repressione contro "le avanguardie" e quella contro la classe - per quanto obiettivamente collegate dallo stesso movente e fine di classe - si presentino, però, come due entità distinte. Compito della propaganda e agitazione dei comunisti è proprio quello di mostrarne il collegamento, e la necessità/utilità di lottare uniti "comunisti" e classe proletaria contro entrambi gli aspetti.
7) La propaganda e la denuncia antirepressione in direzione del proletariato hanno lo scopo (come l'insieme dell'azione politica dei rivoluzionari) di favorire un mutamento nel rapporto di forza tra le classi e di smascherare la natura di classe (e non certo "imparziale") dello stato borghese, a partire non già dalle conclusioni dei marxisti, ma dalle illusioni delle masse proletarie sullo stato democratico.
8) Tale propaganda e denuncia debbono tener conto (al contrario della linea/Negri) dei punti "più alti" della repressione (per esempio: le discriminazioni e le vessazioni subite, anche dopo la formale abolizione dell'art. 90, dai cd. irriducibili - v. manifesto qui a fianco della nostra sezione di Napoli).
9) Siamo per il "fronte ampio" delle forze sociali e degli organismi di massa nella lotta contro la repressione, ma contro il fronte politico con questa o quella frazione borghese. Questo perché vi sono mille e una prove che un fronte politico, già nella sua fase preliminare, comporta il riconoscimento della democrazia, nonché dei precisi limiti agli obiettivi e alle forme di lotta.
10) Siamo per le lotte "parziali" (come sono state negli scorsi anni, le lotte per la chiusura delle carceri speciali, per l'abolizione dell'art. 90, per la denuncia dei casi di tortura, etc.) e per le mobilitazioni specifiche, perché possono favorire - fermi certi presupposti di contenuto - una dinamica positiva - sia intorno alla difesa dalla repressione, sia più in generale. In nessun caso e in nessun campo l'alternativa è oggi tra il tutto e il niente, ma tra una linea democratica e una linea di classe. Il problema non è, evidentemente, se perseguire oppure no vittorie parziali, ma come conseguire tali vittorie per il movimento di classe, facendo pagare prezzi politici e materiali all'avversario.
11) Sì alla difesa giuridica, non come principio assoluto ma come scelta di opportunità.
Probabilmente, sarebbe già un passo avanti se cominciassimo a discutere e a definire i presupposti di un'azione contro la repressione adeguata alla fase, al di là dei tradizionali steccati. E senza nulla togliere ai più urgenti compiti immediati, anche in questo campo.
E’ evidente, per esempio, che già da subito è da denunciare la manovra politica incentrata intorno alla legge sulla dissociazione (ne abbiamo parlato nel n. 2 di "Che fare"). Così come, specie dopo l'inchiesta Mastelloni, va sviluppata una denuncia sempre più ampia contro la costruzione dei cd. reati di pericolo (anche dei nostri compagni sono stati condannati, nei giorni scorsi, per il reato di "istigazione a delinquere" collegato con le lotte del dopo-terremoto).
L'importante è che si comprenda che fare del miracolismo sulla possibilità a breve di "tirar fuori dalle carceri" tutti i detenuti politici, sarebbe irresponsabile e superficiale. E amaro dirlo, ma è così.
Aver presente senza illusioni lo stato delle cose può -al contrario - servire ad attrezzarsi meglio per una battaglia che non sarà né semplice né breve. Non si tratta solo di tenere alta la bandiera del comunismo e della lotta proletaria, per quanto questa semplice cosa sia di enorme incoraggiamento anche per chi è colpito. Ma di mettere solide premesse per una ripresa dell'iniziativa comunista (su nuove basi) anche in questo campo.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA