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Una discussione con "Operai Contro" ed altri compagni

Una sola "bottega" è in gioco: 
quella degli interessi di classe del proletariato

I lettori di "Operai Contro" avranno seguito negli ultimi due numeri (29 e 30) di quel giornale gli sviluppi di una "strana" polemica nei confronti della nostra organizzazione.

Nel n. 29, prendendo spunto dallo sciopero indetto dal sindacato il 13 novembre a proposito delle trattative sulla scala mobile, si imputava a noi, rivoluzionari tra virgolette, di distribuire un volantino reo di "terrorizzare (!) l'operaio e costringerlo (!) allo sciopero indetto dai sindacati", senza essere minimamente toccati dal dubbio che "proprio questi sindacati hanno collaborato, con la loro azione politica, ad aumentare lo sfruttamento degli operai". Conclusione: l'OCI agisce da supporto al sindacato, per giunta in modo meno diplomatico di DP, che perlomeno chiede "contenuti alternativi e critici" (evidentemente assenti nell'azione dell'OCI).

Nel n. 30 si dà "informazione" di "una lunga lettera di due pagine" dell'OCI alla redazione di Operai Contro, nella quale parrebbe che ci siamo limitati a chiedere la pubblicazione del volantino incriminato... ai sensi della legge sulla stampa. Richiesta respinta dai nostri cortesi interlocutori unicamente perché i problemi teorici e politici da risolvere sono molto più complessi e non si può impegnare il giornale a discutere su un volantino".

Il tutto corredato da una "bonaria" conclusione: l'OCI è preoccupato per la propria bottega (a differenza di ... ) e con essi non val proprio la pena discutere.

E invece noi rilanciamo la discussione che avevamo tentato di avviare con la redazione di "Operai Contro", proprio perché essa tocca problemi teorici e politici che riguardano non la "nostra bottega", ma i destini della classe operaia; e la rilanciamo sia ai compagni che fanno in vario modo riferimento ad "Operai Contro", e che ci ostiniamo a considerare, fino a riprova contraria, interessati ad uno stesso progetto di "autonomia del proletariato", sia a quell'area più vasta di compagni che si sente parte attiva del dibattito in corso per far avanzare un tale progetto. (In particolare, prendiamo nota - e rimandiamo i compagni alla lettura diretta - di due importanti contributi da parte di alcuni compagni fiorentini apparsi sui temi in oggetto nel n. 20 del "Bollettino del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione").

Lo facciamo con lo spirito che "Operai Contro" dichiarava nella presentazione-proposta del suo n. 1 (novembre '81), di ricercare "il confronto di opinioni anche diverse nel tentativo di coordinare un lavoro comune" in campo operaio (quel lavoro comune così pressantemente necessario e così drammaticamente latitante nella fase attuale) in direzione degli "operai che non vogliono piegare la testa davanti ai padroni e alla politica del Sindacato".

Le nostre preoccupazioni di "bottega" stanno tutte ed esclusivamente qui.

Possiamo discutere?

La sostanza dei problemi in discussione non nasce dalla volontà da parte di alcuni rispetto ad altri di opporsi all'autonomia proletaria e nemmeno sulla valutazione che si dà dei risultati dell'azione sindacale di "difesa" degli interessi di classe, ma sul modo di intendere i percorsi della ripresa proletaria e il ruolo che, in essa e per essa, spetta all'avanguardia rivoluzionaria.

Il nostro punto di partenza è quello di Lenin, richiamato da uno dei due documenti dei "Bollettino": "L'avanguardia non si deve adeguare al livello degli strati più arretrati delle masse, ma deve però tener presente lo stato effettivo della coscienza di tutte le masse dei lavoratori e non solo delle sue frazioni più avanzate". Coerentemente, crediamo che l'azione di un'effettiva avanguardia comunista abbia il dovere di indirizzarsi - con gli strumenti specifici che ciò richiede - tanto alle frazioni più avanzate che alla "massa profonda" secondo un piano unitario e complessivo che valga ad evitare tanto il rischio del "codismo" che quello dei rinserrarsi nel cerchio dei "già coscienti", di un’"élite" staccata di fatto dalle masse e mai in grado di ricongiungersi ad esse (come nelle esperienze, passate ed attuali, di un facile "estremismo infantile").

Consideriamo consona a queste direttrici l'azione da noi svolta, pur con tutte le difficoltà, non solo oggettive, del caso, nel corso degli ultimi tempi, dal referendum alla questione della scala mobile e della finanziaria. Lo diciamo non per vantare nostri primati di "bottega", ma per chiamare al confronto su esperienze concrete quei compagni che, in questi casi, hanno scelto la via del l'"astensionismo " o addirittura dei "boicottaggio" (anche se in maniera non troppo attiva), proclamando nel caso del referendum la propria "estraneità" allo "sporco gioco" e nel caso delle vertenze sulla scala mobile e la finanziaria una pari "estraneità" alle manifestazioni "burla" indette dai sindacati. Nessuna delle due linee può vantare, all'immediato, tangibili risultati di massa. Il problema è: quale delle due può contribuire ad uno spostamento reale dei rapporti di forza nella classe e tra essa ed i suoi contraddittori?

Discutiamone, se è lecito...

"Tutto o niente" = Niente

Per "Operai Contro" il punto di partenza è l'assunzione dell'idea che il sindacato non solo tradisce gli interessi storici della classe, ma i suoi stessi interessi immediati non diversamente dalle altre forze del capitale, di cui appare - anzi -in determinate occasioni il miglior rappresentante, l'interprete più "complessivo" delle sue esigenze. (Anche se nel n. 21 del giornale un compagno correggeva: "Il sindacato tradisce spesso gli interessi immediati del proletariato, ciò che esso tradisce sempre sono i suoi interessi strategici di classe rivoluzionaria", che è cosa più esatta e certamente diversa). Questo ruolo del sindacato è destinato a farsi sempre più evidente agli occhi degli operai, che saranno perciò crescentemente indotti ad abbandonarlo; tendenza che le avanguardie devono incoraggiare e promuovere come preliminare delle future battaglie:

"Proprio perché partiamo dalla difesa dei nostri semplici interessi materiali, il primo avversario, quello più immediato, è un sindacato che non solo ci ha svenduto, ma che opera in ogni modo per stroncare ogni nostro tentativo di una critica generale del sistema che ci sottomette" (n. 5, aprile '82).

"Perché non capire che negli operai della Fiat che disertano gli scioperi inconcludenti (siamo ancora all'aggettivo soft, n.n.) del sindacato c'è la possibilità di una ripresa di scioperi e lotte che mettano in discussione l'intero sistema di sfruttamento, i padroni e i sindacati che lo sostengono?" (Documento per il Convegno Operaio, n. 8).

L'abbandono del sindacato, la diserzione dai "suoi" scioperi diventa così la premessa e la punta di diamante della ripresa... a venire, ciò su cui si deve far leva. Poco importa se, in dispetto al "primo avversario", si dimentica o non si riesce a mobilitare contro il "secondo", contro Agnelli e Craxi. L'operaio che entra in fabbrica (a testa alta?) per sottomettersi al giogo dei lavoro salariato - e certamente senza produrre miglioramenti a suo favore in esso - è immediatamente il soggetto cui rivolgersi per la "critica radicale dell'intero sistema di sfruttamento", l’interlocutore (per ora molto ipotetico; si vedrà poi ... ) cui rivolgersi.

(Obiettiamo, con parole altrui: è vero che "una buona parte della classe operaia ha intuito spontaneamente che questa battaglia, se centrata solo sulla modifica di alcuni punti (come vogliono i riformisti), non può andare molto lontano. Inoltre molti hanno capito che non possono bastare due ore di sciopero o qualche sporadica iniziativa a far indietreggiare la borghesia, ma occorrono delle fasi di lotta ben più articolate. Queste sono le due indicazioni più immediate fornite dalla classe. Su questo dobbiamo "lavorare", tenendo conto, però, che "la classe è consapevole che non basta dire no a alcune parti della finanziaria, ma la classe spontaneamente non lega il rifiuto della legge all'offensiva che più generalmente padroni e governi sferrano alle sue condizioni di vita. Non solo. Ma la classe non è capace di produrre iniziative più articolate alla finanziaria, si limita ad intuire che due ore di sciopero non sono sufficienti e esprime la propria protesta non partecipando agli scioperi indetti dai vertici sindacali" ("Bollettino" cit.). Il che comporta che spetta proprio ai rivoluzionari contrastare in positivo un'"intuizione" che, di per sé, immediatamente e per via spontanea, non si traduce in un passo avanti - da "registrare" e basta, in previsione "della ribellione che prima o poi esploderà fra gli operai" ("Operai Contro", n. 5 cit.).

Allo schema sui "referenti" fa da contrappunto quello sui termini della ripresa. Qui spontaneismo immediatista e purismo estremista si incrociano:

"Gli operai contro degli anni '80 non solo avranno bisogno di una base teorica capace di demolire criticamente il sistema (la base ideologica premessa alle lotte?!, n.n.), ma anche di un'organizzazione politica che ci guidi alla lotta per il suo superamento" e "dalla ribellione che prima o poi... " noi di "Operai Contro" "ci aspettiamo il contributo più significativo" (la teoria che nasce dalle lotte?!, n.n.).

E i percorsi della ripresa? Non ci sono percorsi, non ci sono passaggi da praticare:

"Il nodo da sciogliere oggi alla Fiat e nelle concentrazioni operaie più importanti può essere così riassunto: o il superamento del sistema del lavoro salariato o Niente" (n. 26).

La logica di fondo sta proprio qui: niente. Niente che valga la pena di una mobilitazione da parte delle avanguardie finché non si darà (spontaneamente) lo scontro decisivo per il "superamento" del capitalismo.

Di fatto, l'unica soluzione preparatoria diventerebbe, per intanto, quella della cosiddetta "associazione operaia" (avanzata come "ipotesi" tutta da "verificare" ed "arricchire" sul piano pratico), né partito né sindacato: non partito, perché ci si aspetta l'elaborazione della teoria dal basso, dall'immediato e dallo spontaneo delle lotte che verranno; non sindacato, perché al presente stadio dell'imperialismo non varrebbe la pena di "attardarsi" sul piano di una difesa di interessi immediati della classe operaia, inconcepibili - per definizione - al di fuori del "superamento" del sistema capitalista tout court. Di questa "associazione" "Operai Contro" ha persino indicato la necessità di "statuti organizzativi". Per raccogliere chi? E per escludere chi? E in che prospettiva?

La possibilità che si tratti di una riedizione aggiornata di "circolo culturale" ad insegna marxista e nulla di più non deve aver attraversato soltanto le nostre menti malate, visto che, a più riprese ed in diversi modi (non sempre e non necessariamente da noi condivisibili), all'interno del "coordinamento" che fa capo ad "Operai Contro" è chiaramente emersa la necessità di reagire, da militanti della classe e nella classe, a questo pericolo, connaturato - a nostro avviso - in tutto l'impianto di lavoro che il gruppo responsabile del giornale si è dato.

Di cosa intendiamo discutere?

Tornando, per un attimo, alle questioni sollevate dal nostro volantino (questioni teoriche e politiche), nella nostra lettera alla redazione di "Operai Contro" ne ricordavamo i contenuti reali:

"E’ facile capire che il contenuto del volantino era ben altro da quello riferito, e precisamente:

  1. chiamare gli operai allo sciopero "contro il governo e il padronato" per fermarne l'attacco congiunto e sempre più in profondità;
  2. denunciare il pericolo di una trattativa tra Confindustria e Sindacati sulla base della piattaforma unitaria CGIL-CISL-UIL;
  3. imporre "ai dirigenti sindacali e ai CdF" la consultazione nelle fabbriche sulla piattaforma, che è "da rifiutare e denunciare" perché la politica che ne sta alla base ha prodotto "solo e unicamente AUMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE E DIMINUZIONE DEI SALARI";
  4. collegarsi con gli studenti "in un unico fronte di classe contro la finanziaria" e rivendicare "in piazza lo SCIOPERO GENERALE" (questo è, tra l'altro, il titolo dei volantino);
  5. riproporre come centrali per l'unificazione delle forze proletarie gli obiettivi della "riduzione drastica e generalizzata dell'orario di lavoro a 30 ore settimanali" e del "salario garantito a cassintegrati e disoccupati".

La politica rivoluzionaria è tutt'altra cosa? Vediamo allora un po'. "Non ci è chiaro a cosa alludete - replicavamo -, e vi formuliamo perciò alcune domande:

Aspettiamo meditate risposte, teoriche e politiche.

Risposte a vuoto

La risposta a questi quesiti può anche essere estremamente semplice e lineare da parte di chi, come la redazione di "Operai Contro" ha in testa lo schema della ripresa che abbiamo sopra tentato di riassumere senza forzature "di testa nostra". Chiamare in piazza gli operai ad esprimersi sui propri contenuti è un non-sense dal momento che è il sindacato a guidare la danza. E’ necessario riconoscere prioritariamente che il sindacato "non ci rappresenta" e poi si potrà, eventualmente, far qualcosa di diverso. Prima la "coscienza", poi l'azione, e semmai la coscienza appartiene a coloro che oggi non scendono in lotta perché già "consci" del tradimento perpetrato a loro danno dal sindacato.

Tutto perfettamente logico, secondo la logica formale dell'idealismo anti-dialettico...

Noi crediamo, all'opposto, che la coscienza proletaria non possa darsi al di fuori di un intervento attivo nella lotta, attraverso il collegamento tra il livello di coscienza (ed esperienza organizzativa) delle avanguardie e quello delle masse "arretrate" tout court o di quei settori di classe che si limitano ad "intuire" una realtà di fatto senza essere capaci di rispondervi in positivo. Su quale terreno? Quello stesso cui chiamano illusoriamente i sindacati riformisti e sul quale devono essere inchiodati alle loro responsabilità. (Diversamente potrebbe essere solo in un caso: quello in cui il sindacato per definizione chiamasse gli operai non a contrapporsi "inconcludentemente" a sia pure alcuni aspetti dell'attacco capitalista, ma a... "scendere in lotta" per affermarlo al più alto grado).

E’ perfettamente vero che "i margini di questa compatibilità" (tra interessi proletari ed interessi dell'economia nazionale, n.) sono così esigui che obbligano il più sincero riformista a trasformarsi o in un conservatore o in un venditore di fumo" e che "in questa situazione la politica "difensiva" di un sindacato tradeunionista (repetita juvant!, n.n.) e per di più fautore di un capitalismo "democratico", "dal volto umano - non poteva che essere quella poi praticata; cioè un tentativo di limitare i "danni" di una ristrutturazione produttiva assolutamente necessaria ai padroni" "Bollettino" cit.). Non riusciamo, però, a capire come si faccia derivare da questa constatazione la conclusione che "oggi è profondamente arretrato e inutile militare nel sindacato in quanto la politica tradeunionista di cui è (in parte) ancora portatore, non è in grado non solo di migliorare le condizioni di vita degli operai e dei proletari, ma nemmeno di mantenere quelle già esistenti."

E’ proprio questa contraddizione insita il ella politica tradeunionista dell'attuale fase dei capitalismo senile che tanto più richiede, giusta Lenin, una presenza rivoluzionaria nel sindacato. A meno di immaginarsi la ripresa del proletariato come un "progressivo" svuotamento dei sindacati per attestarsi su "richieste" di contro-organizzazione, con un "salto" dalla coscienza riformista ad una improvvisa contro-coscienza rivoluzionaria, è la dimostrazione sul campo della incompatibilità tra interessi proletari (anche i più "semplici" ed "immediati") ed interessi dell'economia borghese che può mettere in crisi il piano riformista di "limitazione dei danni" (altra cosa che l'assunzione in forma protagonista degli interessi "generali" del capitalismo).

Significa questo trascurare forme e contenuti di un'organizzazione già oggi e qui alternativa? Nient'affatto. Significa soltanto porre questa esigenza, "intuita" spontaneamente da settori della classe, nella sua giusta dimensione, in direzione non solo e non tanto della raccolta dei "già coscienti", ma dell'insieme della classe, della "massa profonda" di essa, per "arretrata" che sia.

D'altra parte, chi scrive dell'"inutilità ed arretratezza" del militare nel sindacato deve poi riconoscere:

"E’ assolutamente necessario essere presenti politicamente in ogni tentativo di percorso organizzativo esterno al sindacato (anche se egemonizzato dalla sinistra sindacale e dai revisionisti, perché attualmente la classe operaia è schierata su queste posizioni)".

D'accordo sulla presenza in ogni tentativo di questo tipo e sui suoi criteri ispiratori (cosa su cui non concorderà la redazione di "Operai Contro", per la quale il "più vicino" è per definizione "il più lontano"). Ma se ha un senso l'analisi sulla fase attuale e sulle sue proiezioni future com’è possibile cancellare dall’orizzonte la massa che, bene o male, continua ad aderire al sindacato illudendosi sulle possibilità di essere difesa in qualche modo da esso? La legge storica della polarizzazione e dello scontro sociale non obbliga i rivoluzionari ad "usare" la propria eventuale organizzazione anche formalmente indipendente dal sindacato in direzione di questa vasta massa "imprigionata" nel sindacato? O si prevede che essa debba venir automaticamente meno?, o che essa stia già venendo meno?, o che essa sia programmaticamente persa? (E come mai, visto che sono in gioco interessi oggettivamente contrapposti tra classe operaia e capitale, al di là di qualsiasi barriera ideologica e formale?).

Una posizione del genere non fa che spostare il problema, dando ad esso una soluzione illusoria: "scartato" il sindacato ufficiale (o, meglio, autoscartatosi esso), si va ad organizzare e mandare avanti percorsi esterni egemonizzati dalla sinistra sindacale (cioè da una forza "esterna" al sindacato molto sui generis) e dai revisionisti. Ma davvero questa parte dei movimento e della classe non ha relazioni con chi resta nel sindacato?, o là non v'è più nessuno di cui meriti di tener conto? O addirittura, poi, staremmo anche solo un mezzo passo fuori dall'ambito tradeunionista?

La confusione non è poca.

Molti compagni sanno purtroppo vedere come diceva un classico dei marxismo - solo il sottile strato della burocrazia sindacale, trascurando la pentola che ribolle sotto ad essa (e che dovrà infine far saltare il coperchio). Impressionati dalle compromissioni e dai tradimenti del riformismo imperialista vanno a cercarsi soluzioni alternative di "élite" o presunte controsoluzioni organizzative scambiando le loro illusioni per una sorta di linea obbligata su cui già chiamare a raccolta e indirizzare le truppe: via dai sindacato!, diserzione dagli scioperi burletta!, tutto (subito) o NIENTE.

Posizione disfattista quant'altra mai!

Una prima conclusione

Noi pensiamo che il sindacato riformista dell'epoca imperialista (fenomeno già noto a Lenin) è sì legato al capitalismo in maniera tale da impedirne ogni parvenza di "neutralità" alla maniera tradeunionistica dei periodo secondinternazionalista, ma vi resta legato in maniera diversa dal padronato, dal governo e dallo Stato, dalla polizia e dall'esercito (anche se taluno afferma di credere il contrario). Esso è e resta un'organizzazione operaio-borghese, costretta a riferire i termini della difesa reale del capitalismo a quella di una difesa (resa oggettivamente sempre più improbabile) degli interessi immediati della classe. Questa situazione di contraddizione lo espone non su un solo fianco, quello della reazione di strati più avanzati del proletariato che si pongono in rottura positiva con esso o di strati che non si sentono più da esso rappresentati senza saper per altro darsi un progetto di risposta. Esso si espone anche sull'altro fianco: quello della reazione borghese, cui non bastano le dichiarate compatibilità e i limiti peggioramenti nelle condizioni di vita della classe operaia, ma cui abbisogna un attacco demolitore delle stesse capacità organizzative e politiche della classe.

Nei momenti di interludio tiepido della lotta di classe vanno insieme svendite "controllate" del sindacato, apatia della massa, scarsa aggressività del padronato e dello stato e il raccogliersi di ristrette avanguardie, provvisoriamente staccate dalla grande massa (ma che dovrebbe, in ogni caso, sapersi pensare ed organizzare per essa). Il pericolo è che, guidate dall'impressionismo del momento, le avanguardie pensino al futuro in maniera distorta.

Quando la situazione si surriscalda le cose cambiano radicalmente. La borghesia va all'attacco della classe e dello stesso riformismo colpevole di essere troppo poco capitalista senz'altri aggettivi ed incapace di fungere sino in fondo da cane da guardia in seno alla classe. E’ allora che, a meno che le condizioni precedenti dello scontro di classe non abbiano compromesso a fondo le potenzialità operaie, si assiste di regola ad una radicalizzazione delle masse e ad una radicalizzazione del sindacato stesso: fenomeni non identici (anzi, in prospettiva destinati proprio alla massima divaricazione: la rottura profonda col riformismo da parte della massa); fenomeni, tuttavia, strettamente connessi tra loro. La radicalizzazione delle masse non procede di regola (ciò che non escludiamo in assoluto e soprattutto per situazioni già decantate) per una previa fuga dal sindacato, ma per un ritorno aggressivo di sindacalizzazione, caricata di aspettative, richieste e prese di posizioni attive su tutti i piani. C'è da temere che tutto ciò "rivitalizzerà" il sindacato riformista? Per i logici formali e gli impressionisti sì; per i marxisti è vero il contrario.

L'esperienza della lotta dei minatori inglesi è stata esemplare in questo senso, ma si può anche pensare a quanto sta maturando in Germani Occidentale, in Spagna, in Francia e, più nel piccolo, al risveglio di interesse (sia pur ancora "di opinione") dei lavoratori della Fiat nelle recenti elezioni interne, che hanno visto una massiccia partecipazione ed un blocco compatto attorno alla CGIL. E’ proprio degli opportunisti di sinistra stabilire un nesso meccanico ed obbligato tra ripresa del sindacato e ripresa della massa, subordinando la seconda alla prima. Ma è proprio degli infantili di sinistra temere la prima e cercare di scongiurarla come presunta premessa della seconda.

E per questo che noi, ben lungi dal ritirarci di fronte all'esigenza di strutture di confronto e coordinamento tra avanguardie indipendenti dal sindacato già oggi, le contempliamo e le sollecitiamo ed anzi ci duole che in concrete situazioni in cui esse si renderebbero possibile non si trovino sufficienti disponibilità da parte di chi si dichiara non preoccupato della propria bottega; ma è anche per questo che intendiamo l'azione dell'avanguardia in direzione delle masse anche le più -provvisoriamente - "arretrate" per preparare i migliori coefficienti della ripresa. L’esperienza della realtà, letta con i semplici occhiali della "bottega marxista", ci mostra che per altra via, quando i tempi diventano maturi, l'avanguardia manca o rifluisce direttamente nel riformismo o si dà ad un vano cavalcamento della spontaneità per riconsegnare successivamente, una volta di più, la massa al riformismo o alla passività o ancora, e peggio, alla demagogica ed allo knut borghese.

Si tratta o no di temi teorici e politici di cui vale la pena discutere tra compagni che guardano ad una stessa finalità?

Noi crediamo di sì ed a questo lavoriamo.

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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