Alcuni decenni fa i pochi marxisti rimasti sulla breccia passavano per "antisovietici", denegando essi all'URSS di Stalin la qualifica di società in via di "edificazione del socialismo".
Oggi sono molti, anche tra quelli che per Stalin avevano precedentemente preso più di qualche sbornia, che si schierano, apparentemente, sullo stesso versante. Gli "strappi" con l'URSS non si contano, da quello di Berlinguer sino al recente esempio delle Tesi congressuali di DP.
I marxisti hanno trovato buona compagnia? In questi lidi meno che mai. Che non basti proclamare che l'URSS non è socialista per avvicinarsi al marxismo lo sappiamo da tempo. I "primi" a scoprire l'incompatibilità tra URSS e socialismo furono anarchici e socialdemocratici negli anni '20, quando i marxisti, senza per nulla parlare di "costruzione del socialismo", parlavano ed attuavano la dittatura del proletariato. La negazione dei carattere socialista dell'URSS non riguardava, da parte di questi signori, la semplice sfera economica (Lenin ha sempre dichiarato che in URSS non si stava costruendo né si sarebbe mai potuto organizzare rapporti socialisti al di fuori di un processo rivoluzionario internazionale e per l'economia ha sempre parlato chiaramente di altre cose: di "capitalismo di stato", al livello più alto della scala economica, sotto la direzione politica del proletariato e del suo Partito); il centro del problema era dissociarsi e combattere proprio l’aspetto politico, la dittatura del proletariato. No al "giacobinismo", essi dicevano, no alla "dittatura burocratica di partito". Sì... al liberalismo, allo sviluppo di "democratici" rapporti economici, sociali e politici di sfruttamento.
Non a caso, gli eredi di Berlinguer, che hanno compiuto lo "strappo" con l'URSS sulla stessa linea direttrice, riconoscono oggi che "Turati aveva ragione" e datano di fatto il primo congresso del loro partito "comunista" non dalla costituente dei PCd'I a Livorno, ma all'assise tenuta - in contemporanea - dai riformisti.
Cossutta si lamenta che dalle Tesi congressuali del PCI sia scomparsa la nozione stessa di imperialismo. Non è esatto: il "capitalismo reale" (nel suo aspetto imperialista, proprio della sua "fase estrema") è ben presente nell'indirizzo del partitone come unico modello di riferimento (naturalmente da "riformare", così da poterlo poi magari chiamare "socialista").
Ma non sono solo i picisti a compiere lo "strappo" su questa linea liberal. Alla "sinistra" di essi altre forze, che "osano" persino presentarsi come "rivoluzionarie" nei salotti dei parlamenti democratici borghesi ("il miglior involucro della dittatura del capitale"), compiono la stessa operazione, con aggiustamenti ancora più a destra - se possibile.
Per i marxisti la rottura con l'URSS significa rottura con la controrivoluzione che ha invertito violentemente la politica del PCb e dell'Internazionale Comunista dai tempi del trionfo di Stalin, con la sua teoria dell'"edificazione del socialismo in un paese solo", espressione del trionfo sin dentro il partito di spinte (tutt'altro che "sono ideologiche") di "edificazione di un moderno industrialismo capitalista"; significa riaffermare, contro una tale controrivoluzione, le esigenze più che mai vive della violenza rivoluzionaria, della dittatura del proletariato, per l'URSS e per il mondo intero; significa non debordare di un millimetro dall'abc sulla natura delle trasformazioni socialiste in quanto cancellazione delle categorie di merce, lavoro salariato, profitto.
Le Tesi congressuali di DP sono un esempio straordinario di "strappo" in senso inverso: verso il più vieto, anacronistico, contro-rivoluzionario liberalismo. Ne prendiamo atto, non solo per chiarire che la nostra posizione sull'URSS non ha nulla a che fare con paccottiglia di questo genere, ma per richiamare l'attenzione dei proletari sull'aspetto concreto più importante che ne deriva: al "liberalismo" in tema di "socialismo reale" non può che corrispondere un altrettanto liberalismo in tema di lotta di classe qui ed ora. Comparate la tesi 1.10 sul "nostro rifiuto del modello burocratico dell'Est" con le tesi 1.9 ed 1.10 sul "socialismo" e sui "nuovi diritti e nuove libertà" e ve ne renderete facilmente conto.
La "critica radicale" al "modello burocratico dell'Est" suona in questi termini: vi è qui un regime borghese-burocratico peggiore che quelli d'Occidente (dove la burocrazia pare a DP esistere meno ed il carattere borghese della società si presenterebbe tuttavia "permeabile" alle trasformazioni). "Sul piano dei rapporti politici esso si configura come antidemocratico, antiproletario e autoritario", "il potere vi è concretato nelle mani del vertice del partito "comunista", né v'è partecipazione o controllo anche minimi dal basso" (se il potere fosse "partecipato" cadrebbe l'etichetta antidemocratica ed autoritaria: e proprio in Occidente DP scopre l'esistenza di una tale possibilità "nuova" - in realtà già collaudata da vecchia data dal riformismo ai tempi di Turati).
Dietro la critica liberal all'URSS si nasconde (ma mica poi tanto ... ) l'apologia del "libero" Occidente. Perché in Occidente esistono per DP "almeno" degli "assetti giuridici che, su un impianto di diritto borghese, hanno tuttavia assorbito, sulla spinta della lotta degli sfruttati e degli oppressi, vari elementi di "legislazione ineguale" a tutela dei settori sociali deboli", "sostanzialmente (!) estranei (!) ed incompatibili (!) rispetto all'impianto giuridico generale (!!)". Non solo, ma l'estensione di questi elementi può metter capo ad un vero e proprio "sistema di "diritti ineguali" capaci di compensare (!) gli effetti storici dei mercato e dei dominio capitalistico e di favorire deboli, oppressi e sfruttati", "garantendo (!) la loro prospettiva di vita e ruoli non marginali mediante la loro autorganizzazione". Dunque quello che manca in URSS è la capacità del sistema di "assorbire" una "legislazione ineguale" che "garantisca" e "favorisca" addirittura "un percorso di liberazione per tutti"!, capacità che avremmo invece qui a portata di mano.
Ma quando mai il proletariato è stato o può essere tutelato in quanto classe? Sì, può esserlo come "settore sociale debole" impegnato a fare il suo "dovere" nell'ambito ed a pro' dei rapporti sociali capitalistici, con la garanzia di un "giusto salario" e di "giusti diritti" (roba da Rerum Novarum e Giolitti, che la realtà strutturale della crisi si sta bene incaricando di mostrare quel che vale, al di là di qualsiasi garanzia giuridica).
Avremmo dunque in URSS concentrazione di poteri borghesi e coercizione antiproletaria più che in Occidente? A costo di passare per "filorussi" (non corriamo questo rischio, ma ci diverte la raccolta di etichette), noi diciamo che il potere reale della borghesia è assai più concentrato in Occidente ed agisce in maniera organicamente più dittatoriale rispetto al proletariato che in qualsiasi regime dell'Est se appena si guardi ai processi di dominazione reale del capitale; e per quanto riguarda gli istituti giuridici, mentre non sottovalutiamo in alcun modo la necessità per il proletariato dell'Est di lottare per i propri "diritti democratici", diciamo anche che questa lotta dovrà scontrarsi in termini di violenza organizzata di classe, dittatura proletaria contro dittatura borghese, in modo non sostanzialmente diverso da quel che dovrà fare il proletariato d'Occidente, al quale i già acquisiti diritti "ineguali" potranno sempre meno mascherare i termini dello scontro di classe in atto (non parliamo poi di "garanzie" per costruirsi una "controsocietà" all'interno degli istituti attuali!).
Ancora. Secondo DP i rapporti di produzione in URSS "nell'essenziale riproducono i rapporti sociali capitalisti (sui contenuti... essenziali dei quali non si dice una sola parola seria, né per l'URSS né per l'Italia, salvo le sparate sull'"autoritarismo") e mascherano, con il loro preteso centralismo, ossia con la loro pretesa di controllo tutto dall'alto (mentre in Occidente è ben noto che esiste un controllo anche dal basso!!, n.) del processo economico, forme di anarchia, di spreco, di appropriazione privata mediante corruzione e furto, di lavoro nero ASSAI PIU’ ESTESE CHE IN OCCIDENTE".
L'anarchia capitalistica è ridotta a disordine da mancata autogestione dal basso (logico poi che, potendo applicare quest'ultima in Occidente, non sia più il caso di parlarne troppo); lo spreco capitalista è conteggiato in merci scadenti o difettose non realizzabili sul mercato (ignorando lo spreco sociale autentico, che proprio in Occidente raggiunge il parossismo, in relazione alla maggior maturità del capitalismo imperialista rispetto all'URSS, costituita dall'iper-produzione di merci antisociali, dai prodotti "culturali" alla Rambo sino ai gadget bellici spaziali); l'appropriazione privata "illegittima" è misurata sul furto e la corruzione del singolo burocrate Pirlov (mentre, evidentemente, in Occidente esisterebbe un minor tasso di furfanterie del genere; da noi esistono, infatti, solo "legali" superprofitti, ma c'è sempre la possibilità che poi il ricco ridistribuisca al povero una quota... "ineguale" di essi per "tutelare" i bisogni di "autogestione" di quest'ultimo).
(Se l'essenziale del capitalismo sovietico stesse davvero lì ci troveremmo davvero in un'oasi vivibile per i proletari: per quanto divori il singolo burocrate ingordo, non si tratta che di "stuzzichini" rispetto a quel che inghiotte sempre più a dismisura il capitale morto, forza sociale e non individuale, in termini di lavoro vivo! Agli occhi dell'anche più sprovveduto proletario questa di DP è la miglior apologia involontaria del "socialismo reale" sovietico).
E siamo alla questione dell'imperialismo: "La politica estera dell'URSS è dominata da prospettive imperiali di egemonia mondiale, è militarista e riarmista QUALE quella degli USA, reca ANALOGHI pericoli alla pace mondiale". (Rispetto al "pacifismo" italiano - Craxi in testa - fa addirittura la figura del diavolo di fronte all'acqua santa!). Il curioso è che, più sotto, DP stessa parla di una "crescente dipendenza economica (dell'URSS) dall'Occidente" in forza di "gravi ritardi produttivi e tecnologici", dell'"indebitamento estero" etc. etc. Ve lo immaginate un imperialismo QUALE quello USA che dipende per la propria economia non solo dagli USA, ma dai suoi stessi partner in seconda? Se nelle Tesi del PCI, stando a Cossutta, non si trova più traccia della nozione di imperialismo, qui essa è sostituita da quella delle "prospettive imperiali", lontane dall'imperialismo (marxisticamente inteso quale "fase suprema" del capitalismo, con l'alta finanza nel ruolo di protagonista) quanto un Giulio Cesare può esserlo da Reagan. Per giunta un Giulio Cesare che vuol dominare un mondo da cui è... economicamente dominato.
Poiché il ridicolo non uccide, lunga vita al "compagno" Capanna!
(E tralasciamo qui il discorso, ben più serio, della concreta compromissione di DP con la politica imperialista della propria borghesia alla coda dei fremiti "indipendentistici" di Bettino).
Conclusioni. Poiché in URSS è "la mancanza di democrazia" che provoca il "blocco della dialettica sociale", DP offre il suo morale "appoggia alle lotte per la democrazia politica e i diritti civili" che si manifesteranno in URSS.
Le lotte di quali classi? E per quali obiettivi? Per una "libera dialettica sociale" che permetta a tutti di esistere democraticamente, sfruttati e sfruttatori? Per un modello all'occidentale "verso l'autogestione e la liberazione collettiva"? Per istituti statali (DP avverte che nel suo progetto "non viene meno la necessità dello stato e del piano") "democratizzati attraverso appunto forme autogestionarie, economiche e politiche, ad ogni livello"?
Lasciamo a DP una simile "tutela dei settori deboli". Per noi il proletariato è un settore potenzialmente forte, che può tutelarsi benissimo da solo e nell'unico modo possibile, da Ovest ad Est: sbaraccando finalmente, una volta per tutte, le strutture economiche e sociali borghesi e le relative sovrastrutture. La lotta dei proletariato per la "democrazia" è la sua lotta per una "dialettica sociale" ridotta all'aut aut: dittatura proletaria o dittatura borghese.
Con chi ha "strappato" questo neoriformismo di "estrema"? Col proletariato, col marxismo, dal punto di vista del liberalismo. Buon pro gli faccia. Che esso abbia qualcosa da dire al nostro "democratico" capitalismo perché esso si emendi e possibilmente si "superi" non lo dubitiamo; che esso non abbia nulla da dire al proletariato, al di qua e al di là delle varie cortine, è altrettanto fuori dubbio.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA