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I verdi, le istituzioni e il movimento proletario

 

I temi dell'ecologia e dell'inquinamento stanno acquistando rinnovata attualità per due ordini di fattori concomitanti:

Tralasciando molti altri aspetti ci soffermeremo qui sui "Grunen" tedeschi e sui neonati verdi Italiani che di essi possono considerarsi una filiazione ancorché siano un fenomeno minore per quantità e qualità.

Il movimento verde tedesco e mitteleuropeo come quello italiano, è il prodotto di reali contraddizioni sociali, in quanto dà espressione alla diffusa consapevolezza del degrado della "qualità della vita" in generale e dell'ambiente naturale in particolare. Esso è al contempo una manifestazione tipica (cioè non propria di altre classi) della insofferenza di settori intermedi della società di fronte all'aumento dell’oppressione ed all'avvicinarsi di "eventi catastrofici" verso il cuore dell'Europa. Esso infine ha a che vedere con la spinta di settori giovanili verso l'azione diretta, una spinta che il vecchio sistema politico non era preparato a recepire.

Sì tratta di un fenomeno essenzialmente metropolitano, che presuppone, sia a ovest che a est (Rdf), la avvenuta soddisfazione di altri bisogni elementari che gran parte della specie umana è ben lungi dal vedere soddisfatti.

Si tratta di un fenomeno essenzialmente piccolo-borghese che in Germania come in Italia coinvolge in grande maggioranza la componente salariata dei ceti medi. Una recente inchieste ha provato, per es., che l’elettorato dei verdi tedeschi è così composto: gli impiegati statali, i docenti, i professionisti (e simili) ne costituiscono circa il 40%, gli studenti liceali o universitari il36%, i pensionati e le casalinghe il 16%, i disoccupati il 5%. Pressoché trascurabile la percentuale di operai.

Si tratta di un fenomeno da ricollegare alla crisi, nato non per caso dentro una crisi generale che non consente neppure alla piccola borghesia di vivere come prima e la spinge, la pungola la obbliga a mettersi i movimento… a modo suo, cioè non battendo le vie del grande capitale né quelle del movimento proletario, almeno fino a che la non ancora piena polarizzazione di classe lo consentirà.

Per tracciare un profilo dell'ideologia verde occorre necessariamente richiamarsi a quella dei tedeschi. Nel movimento dei Grunen si possono, in linea di massima individuare tre filoni principali: (vagamente) anticapitalista "fondamentalista" e "integrazionista".

Il primo individua (ancora) come causa del degrado naturale ed ambientale lo sfruttamento capitalistico dell'uomo ed il saccheggio capitalistico delle risorse naturali, ma propone di lottare l'uno e l'altro dagli scanni parlamentari.

Il secondo, ecologista puro (alla Bahro), prefigura "una terza via tra capitalismo e comunismo", predica il superamento delle classi, si pone come "ponte tra destra e sinistra", si riferisce alla specie ignorandone le divisioni antagonistiche.

Il terzo e più recente filone, quello "integralista", figlio del rapporto crescente tra verdi e Spd, delle furbizie tattiche di W. Brandt e della presenza nelle istituzioni, si distingue per il suo ,maggiore pragmatismo e per l'abbandono delle velleità antisistema da un lato, del pacifismo para-evangelico dall'altro.

Al confronto, nel movimento dei verdi italiani, che nel suo insieme é una pallida copia di quello tedesco, sembra del tutto marginale la componente anticapitalista, più presente quella fondamentalista ma in vesti annacquate, particolarmente forte quella integrazionista, che pero - a differenza che in Germania - si dialettizza non solo con riformismo e socialdemocrazia, ma anche con i partiti del governo Craxi senza disdegnare qualche strizzatina d’occhio al MSI.

La più grossolana mistificazione della ideologia verde é la tendenza ad identificare l'ecologia con i problemi dell'inquinamento ed il "miglioramento della qualità della vita" con una sorta di "ritorno" ad una fase in cui la natura, via via disinquinata dall'intervento dell'uomo, torni alla sua presunta originaria purezza.

Si tratta, da un lato, di una restrizione bottegaia dell'oggetto e dei compiti dell'ecologia (di cure un aspetto - non sembri paradossale!- il cd. primato dell'ecologia sull'economia), e dall’altro della riproposizione di un illusorio ed impraticabile, nonché dal fondo reazionario, naturalismo "totale".

Ecologia significa, infatti, studio non già del semplice inquinamento industriale o moderno ma dei rapporti che intercorrono tra gli esseri viventi ed il loro ambiente per la vita, un rapporto che è dinamico e non fisso dato una volta e per tutte. Ora vien quasi da ridere a ripeterlo a più di cento anni da Darwin - non é mai esistito una sorta di paradiso terrestre dove l'uomo viveva tra piaceri e frutti della terra. Al contrario, l’evoluzione della specie umana, comparsa dopo milioni di anni di vita biologica fatta di altre specie, è avvenuta attraverso una feroce lotta fra diversi tipi di "ominidi", di questi tra loro e con altre specie, tra tutte queste e le avversità naturali. In tale lotta l'Homo sapiens ha potuto difendersi solo con l'uso della tecnica. Oggi la tecnica stessa rischia di ritorcersi contro l'uomo e la natura, non per il fatto di esistere in sé, ma per l'uso di classe (a scopo di profitto) che ne fa la parte della specie che prevale: la borghesia.

Ciò posto, noi marxisti respingiamo la fasulla contrapposizione tra tecnica e bisogni umani e sosteniamo: solo la messa al centro dei valori d'uso contro i rapporti mercantili consentirà all’umanità di creare e potenziare nuove tecnologie utili all'uomo e di preservare in quelle date ciò che è valido e controllabile, anche in relazione ai pericoli derivanti dal loro utilizzo. Solo in questo modo si potrà "rispettare" un valore d’uso primario: la natura come ambiente e insieme di risorse per la vita (da quella dell'ameba a quella dell'homo sapiens).

Piccolo particolare: non è cambiamento nel modo di pensare e/o di consumare, ma un rivoluzionamento da operare anzitutto nella struttura economico-sociale. L'Eden, ossia qual luogo e quel tempo della storia della Società in cui il "lavoro" sarà trasformato in attività per la riproduzione, l'ozio e il piacere (Lafargue), sta davanti e non dietro a noi: può essere raggiunto solo rivoluzionariamente non reazionariamente, solo con l'azione cosciente del movimento proletario e non con i sogni e l'educazionismo dei ceti intermedi.

La seconda grossolana mistificazione dei verdi è a livello politico. Essi, propugnatori di una severa critica del degrado ambientale e di una sorta di palingenesi ecologica ("…in una società futura che ci piace immaginare, con nuclei decentrati che usano tecnologie dolci ed appropriate all'ambiente, a basso consumo di energia con un rallentamento del processo antropico" - A. Donati, relatrice dell'assemblea di costituzione di Firenze 2, in "SET, aprile '84), sono di fatto dei riformisti dell'inquinamento, complementari a quelli dello sfruttamento. Le modificazioni che sognano per la società del futuro sono puramente tecniche, e non sociali. E allo scopo di conseguirle, essi incentivano - specie in settori giovanili spesso disaffezionati verso il sistema - una partecipazione alla vita delle istituzioni statali, e quindi un consenso ad esse.

Il loro organico riformismo si traduce nell'illusione che sia possibile eliminare gli effetti del capitalismo senza eliminarne le cause. Sono, insomma, essi stessi inquinatori: Inquinatori intellettuali, in quanto si appellano ad uno stato di classe che difende lo sfruttamento del proletariato ed il profitto, con tutto ciò che ne segue.

Ancora una volta, i neo-nati (alle poltrone istituzionali) verdi italiani si segnalano per il livello banale, spicciolo e semi-qualunquistico del proprio "riformismo". Sentiamo due loro campioni: "Noi lavoreremo all'interno delle istituzioni. Anche con un solo consigliere é possibile far funzionare meglio quella grande cassaforte di soldi, leggi e poteri che é la Regione" (M. Boato, consigliere reg. nel Veneto): "Non abbiamo preclusioni con nessuno, siamo disposti a collaborare con chiunque sia d'accordo con i nostri programmi: creazione di cinture forestali, salvataggio di fiumi, mari e boschi, riassetto urbano dei grossi centri" (M. Scalia, capolista a Roma). Basta così!

Altrettanto insopportabile è una terza mistificazione che settori del movimento verde fanno sulla pretesa alternatività delle piccole comunità di produttori e consumatori ecologici, le quali stanno sviluppando nei fatti un vero e proprio mercato, con felici scambi tra loro e con il mercato più generale, mediati dal poco inquinante... denaro. Ricordate allorquando, anni fa, i progenitori degli attuali verdi posero la domanda: "chi ha paura del sole?", volendo far credere che il capitalismo in quanto tale abbia paura all'alternatività delle energie "alternative"? I fatti hanno provato che né la Fiat né la Zanussi, né l'Enel né l'Ariston ne hanno avuto paura provvedendo anzi ad aumentare la propria produzione nel campo dei pannelli solari e affini. Il capitalismo, infatti, non ha pregiudizi verso nessun tipo di produzione, purché ne possa trarre profitti sufficienti. E lascia campare ai propri margini anche quelle presunte comunità alternative che scimmiottano, con piccoli e insignificanti ritocchi, la società del capitale.

Oggi le classi esistono non solo nel rapporto di sfruttamento, ma anche per come subiscono l'inquinamento. Già solo per la soggezione e l'espropriazione che vive nel lavoro salariato, la vita dell'operaio é più grama; gli epidemiologi ci dicono che il rischio relativo di morire per infortunio, tumore o altra patologia è notevolmente maggiore per quella parte della specie che é nella condizione di proletario. La sindrome da disoccupato, fino al suicidio, non sembra riguardare i non proletari.

Esiste, inoltre, anche un imperialismo nell’inquinamento. Il disordine, o spreco di risorse, l'assenza di equilibrio (entropia) ha sì effetti diffusi sulla specie, ma lo spreco é notevolmente stratificato: è molto alto, pro-capite, nel "primo mondo" (da ovest a est) rispetto ai paesi arretrati o subalterni. Gli imperialisti cedono le tecnologie più obsolete ed inquinanti a questi ultimi, riservandosi di produrre più ecologicamente a casa propria: valga per tutti l'esempio dell'union Carbide (Bhopal), il cui presidente è un autorevole esponente del WWF in Usa.

Data la divisione in classi della società e la stratificazione degli sprechi, é lecito domandarsi: é l'uomo generico che spreca o é una classe, la minoranza dell'umanità proprietaria monopolista dei mezzi di produzione? è l'uomo generico che paga il prezzo dell’"inquinamento", o é in modo particolare la classe proletaria e con essa le masse povere del mondo intero?

Ma a queste domande ne segue, logicamente, un'altra: come mai, allora, il proletariato non é in prima fila nella lotta ecologica?

La ragione é anzitutto di ordine materiale. Per l'insieme del proletariato a difesa immediata della vita coincide con la difesa del suo unico mezzo di sussistenza: il lavoro salariato, schiavitù moderna nel suo carattere di sfruttamento economico e sfruttamento della salute anche attraverso la distruzione dell'ambiente. Come potrebbe il proletariato battersi per "miglioramenti della vita" che comporterebbero la perdita della possibilità di vivere?

L'espulsione dal processo produttivo - specie nel corso di una crisi devastante come quella in corso - porta ad esasperare le difficoltà del regno della necessità, fino a far aumentare drammaticamente la scelta del suicidio quando prevalgono la sconfitta o il calo della stessa iniziativa proletaria (basta consultare le statistiche sui suicidi tra i cassintegrati Fiat e i disoccupati della zona di Edimburgo).

Sono dunque le dure necessita materiali che impediscono oggi al proletariato, capitalismo imperante, di esprimere una sua lotta sul terreno dell'ecologia, e lo costringono invece a mettere al primo posto la difesa del suo lavoro, anche quando é inquinante o a lottare, tutt'al più, per ridurre o monetizzare i rischi.

Più o meno apertamente, su queste basi, i verdi accusano gli operai di essere egoisticamente attaccati ad una logica di industrialismo distruttore e al relativo consumismo. Non vedono, né possono vedere, come proprio la lotta di difesa del proletariato dagli attacchi della borghesia rappresenti una premessa fondamentale per la sua autonomia politica e organizzativa, che é l'unica forza capace di abbattere e rivoluzionare quel sistema sociale che é causa di tutte le catastrofi ambientali, e così stabilire le condizioni per un nuovo rapporto tra l'uomo e la natura.

Ma da ora sino al momento della rottura, il proletariato non deve dimissionare da nessun terreno di lotta, anche se non può dedicare a tutti le stesse energie. Sul piano generale non si ispirerà di certo, per il proprio programma, all'ideologia dei verdi, possedendo con il marxismo preziose direttive per la lotta anticapitalistica anche su questo fronte, e rifiuterà ogni visione manichea della scienza e della tecnica.

Il proletariato d'avanguardia dovrà, però, unire alla critica senza mezzi termini dell'ideologia e della politica dei verdi, la capacità di dialogo con le masse giovanili, in parte proletarie esse stesse, che i verdi influenzano e spesso trascinano a prime forme di attività politica. Dovrà farlo con lo scopo di ricondurre ad una visione di classe la lotta contro l'uso e l'abuso capitalistico del territorio e delle risorse, di combattere gli inquinatori intellettuali, di evitare l'insorgere di atteggiamenti provincialistici ("la centrale fatela da un'altra parte") o sciovinisti ("le fabbriche inquinanti mettetele nei paesi del terzo mondo"), di prevenire le risse tra operai ed ecologisti (v. Hainburg).


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