Crisi |
Il piatto forte della propaganda dei partiti governativi, e soprattutto dell'entourage dl Craxi, nei mesi scorsi è stato la ripresa americana, cui l'economia italiana potrebbe e dovrebbe agganciarsi. Insieme alla martellante ripetizione di queste tesi, è comparsa una novità assoluta: per un decennio ci sono stati chiesti sacrifici perché c'era una gravissima crisi mondiale, oggi il governo chiede sacrifici perché è in atto una ripresa, sacrifici oggi in cambio di benefici domani.
Ma questa tanto strombazzata ripresa cos'è, a quali fattori è dovuta, quali effetti avrà? E cosa succederà dopo dl essa? Lo capiamo subito esaminando il corso dello sviluppo economico a scala Internazionale, e In particolare la cosiddetta ripresa americana, il treno su cui Craxi ha promesso di salire.
Se a qualcuno dà fastidio che la chiamiamo "cosiddetta ripresa" o "ripresina Usa" si dia una calmata e legga meglio gli stessi dati pubblicati sul giornali, i quali provano e concordemente:
Inoltre, ci si consenta dl notare che limportanza e l'entità della ripresa non può essere rapportata semplicisticamente ai livelli dellanno precedente, ma specie nel caso in esame alla profondità della crisi (generale Iniziata verso i primi anni '70.
Del resto, negli stessi circoli reaganiani, e proprio mentre il dollaro è così forte, vi è chi è cosciente della gravità della situazione: "Certi responsabili governavi temono un "disastro" se non sl promuove un'azione vigorosa per ridurre il deficit del bilancio statale. Alcuni temono che una recessione travolga il governo prima che esso sta pronto ad agire e spinga il deficit verso la cifra dl 300 o 400 miliardi dl dollari. Essi temono che la caduta del profitti scoraggi i capitalisti stranieri sottomettendo ad una pressione estrema I tassi d'interesse e provochi delle catastrofi finanziarie nei paesi indebitai del terzo mondo.(New York Times, 31 ottobre '84).Come si vede, l'ottimismo craxiano (e reaganiano) è smentito apertamente perfino da certi economisti e politici americani... vicini a Reagan.
Ma andiamo anche oltre questa constatazione, che ognuno può fare, e cerchiamo di leggere dentro la ripresina Usa.
Prima questione: da cosa è stata determinata minata la ripresa? Chi l'ha trainata? Sostiene Reagan: il mercato, poiché lo stato americano lascia libero 11 mercato dl agire. Mille volle falso!! Il cd. disimpegno statale proposto da Reagan (a parole) è diventato nei fatti un enorme accrescimento delle spese statali e del debito federale (più che raddoppiato In 3 anni).Basta pensare che oggi gli interessi che il governo Usa deve pagare sul debito federale superano da soli, l'intero bilancio statale di alcuni paesi europei. Nell'inverno '85-'88 gli Usa saranno probabilmente i più grandi (in cifra assoluta) debitori del mondo, persino davanti al Brasile. Il deficit così gonfiato non poteva essere colmato se non facendo ricorso ai prestiti sul mercato finanziario internazionale. Enormi masse dl capitale speculativo si sono orientate verso gli Stati Uniti non per la buona salute della sua Industria, ma perché arrapate dagli alti tassi di interesse praticati in Usa.
Controprova n. 1 sugli investimenti produttivi. Nei quattro anni della presidenza Reagan prima sono nettamente diminuiti (nel 1983 erano il 40% in meno del 1979), poi sl sono impennati ( + 13% nell'84), ma di nuovo nell'85 tenderanno a stagnare o aumentare di pochissimo. Non è riscontrabile, né d'altronde alcuno la riscontra, una tendenza dl lungo periodo alla crescita degli investimenti produttivi. Tra l'altro, gli investimenti Usa tendono a crescere più all 'estero che negli USA stessi.
Controprova n. 2 sui diversi settori: il massimo sviluppo è stato nel campo della produzione bellica, a cui sostegno è intervenuto massicciamente lo stato (nel 1986, su 100 lire di spesa statale, 28,5 andranno ufficialmente per la guerra, cioè per la difesa). Daltronde il più grande progetto "produttivo" Usa non è forse quello dello scudo spaziale anti-missile? E cresciuto anche, fortemente, il terziario dei servizi finanziari e commerciali (boom del fast-food). Quanto allindustria manifatturiera in senso proprio, essa ha avuto in alcuni campi (macchine utensili, tessile, legno, ecc.) un vero tracollo, mentre negli altri campi, anche non tradizionale (robotica), è continuato il declino relativo allindustria Usa. La stessa produttività è aumentata rispetto agli anni 70, ma è ancora al di sotto di quella giapponese e anche di quella europea e in larga misura gli aumenti sono dovuti più che altro alla forte riduzione di manodopera ed al corrispettivo aumento dei carichi di lavoro, non sono cioè collegati al vasto rinnovamento dellapparato produttivo. In gravissime difficoltà, inoltre, si trova anche buona parte dei proprietari di piccole aziende agricole. Insomma, la tanto strombazzata ripresa che è reale solo nel settore militare non coinvolge neppure tutto il settore industriale, anzi Daltra parte, non potrebbe essere diversamente: la politica degli alti tassi dinteresse instaurata dal governo per finanziare il proprio deficit (che a sua volta finanzia il Pentagono!) mette obbligatoriamente in difficoltà il capitale industriale perché gli fa costare più caro il denaro, quanto mai necessario per i nuovi ingenti investimenti produttivi.
Controprova n. 3: cosa rende di più? Comprare dollari o buoni del Tesoro Usa. Anche gli investitori americano spesso preferiscono lacquisto di dollari a qualunque altro impiego più produttivo. Come nota il giornale "Le Monde diplomatique" del gennaio 1985, da interprete smaliziato delle analisi e delle prospettive della borghesi francese "europeista", la maggior parte dei capitali che affluiscono dallestero negli Usa è investita a breve termine: "la fiducia è dunque mitigata; e la speculazione è lelemento essenziale di questi movimenti di capitali". Il valore del dollaro sui mercati valutari "ha perso ormai ogni legame con gli andamenti comparati delle economie reali sottostanti" (P. Savona, consigliere economico del governo). Se lo dicono loro
Per noi, dunque, vi sono tutti gli elementi per dire che la ripresina Usa è trainata dalla febbre del dollaro e dalla peste militarista, dal capitale finanziario (Usa e mondiale) e dal Pentagono. Essa prepara "naturalmente" crack finanziari e guerre.
Seconda questione: è generalizzabile la ripresina Usa? Infatti provano di no. Al contrario si sprecano le dimostrazioni che essa ha penalizzato lEuropa e vorrebbe (ma non riesce del tutto) penalizzare il Giappone. Ciò che i borghesi chiamano ripresa, altro non è che una ridistribuzioni della crisi di sovrapproduzione, e insieme una modificazione dei rapporti di forza tra gli stati capitalistici occidentali e nel sistema imperialistico nel suo complesso.
Non è un mistero per nessuno che nel secondo dopoguerra Europa e Giappone hanno avuto una crescita economica superiore a quella degli Usa. Anche negli anni della crisi il declino relativo degli Usa sul piano della concorrenza industriale è continuato.
Ora, il capitalismo americano con lamministrazione Reagan ha reagito a questa tendenza (per altro inesorabile) al declino, innalzando il confronto (o la concorrenza) con gli altri paesi imperialisti. Se paragoniamo la situazione economica attuale degli Usa con il triennio nero (1980-82, in cui la sua produzione industriale calò del 10% e la disoccupazione era al 10,7%, un relativo progresso c'è. Ma, torniamo al punto chiave: come e stato ottenuto? Rastrellando capitali in tutto il mondo (con lalto tasso d'interesse) e specie in Europa. Così il capitalismo europeo rischia di trovarsi a corto di capitali liquidi necessari per la ristrutturazione, e i vantaggi che trovano dei suoi settori che possono invadere il mercato americano non sono, globalmente, compensati dagli svantaggi dovuti alla scarsità di capitali liquidi e all'aumento della loro fattura energetica (pagata in dollari sovrastimati). Gli Imperialismi europei, che un tempo soffrivano per il dollaro troppo debole, oggi sono penalizzati dal dollaro troppo forte. Tutta la vicenda delle lotte che si registrano sui mercati finanziarli internazionali non è altro che la storia dl come il capitalismo Usa tenti dl scaricare sui "fratelli" concorrenti la crisi. Se negli ultimi anni '70 la crisi fu scaricata essenzialmente sui Paesi arretrati, provocando in essi gravissimi tracolli (Iran, Argentina), nei primi anni '80 questo stesso fenomeno si è intensificato, ma da solo non più sufficiente. La contraddizione si è fatta molto più acuta anche tra Usa, Giappone ed Europa (e, con modalità particolari, con il blocco dell'Est e nel blocco dell'Est). Il fatto che in cinque anni già due paesi europei (Inghilterra e Polonia) siano arrivati sull'orlo del marasma economico e sociale è indicativo.
In breve: la ripresina Usa è stata ed è fortemente concorrenziale verso l'Europa ed è coincisa non per caso con una sostanziale stagnazione europea. L'unico aspetto che si è generalizzato all'Europa è stato il rafforzamento del capitale finanziario rispetto alle altre forme del capitale (perfino "all'interno delle singole aziende acquista un'importanza sempre maggiore l'esperto di strategie finanziarie e lo scambista" S. Biasco a. L'Unità, 3 marzo '85). Gli altri assi praticati In Usa spingono ad alti tassi ovunque (per impedire la fuga dei capitale e una politica di alti tassi, come sa anche un principiante, rallenta lo sviluppo dell'industria in genere, e manda in rovina chi è troppo debole per procurarsi denaro a credito.
Terza questione: cosa avverrà dopo la ripresina? Due sono i possibili decorsi immediati, uno solo il decorso a media scadenza.
Il decorso immediato è in larga misura legato alla possibilità di controllare l'andamento del dollaro. Sia una ulteriore salita di questo verso livelli ancora più drogati degli attuali sia una sua improvvisa e vertiginosa caduta avrebbero immediati effetti dirompenti, e la sovrapproduzione si manifesterebbe da subito in forma molto più massiccia che nel '73-74. Potrebbe anche darsi, però, si verifichi un concorso dl circostanze e di interventi statali capaci dl tamponare nellimmediato un caotico scatenamento di conflitti. Non sembra facile, ma non lo si può escludere in assoluto. Indubbiamente la sia gli Usa che l'intero imperialismo è più blindato e timoroso di sé rispetto al 1929, quando arrivò alla crisi alla cieca con totale incoscienza e imprevidenza (almeno in Usa). Ma proprio perché il sistema finanziario Usa non consente alla gigantesca Continental Illinois Bank di fallire, obbligando il "liberista" Reagan a nazionalizzarla, non significa che i1 problema è risolto. E solo rinviato, e spostato a più alto livello. Non per caso i1 giornale della Fiat scrive: "Aumentano i timori dl bancarotte dl dimensioni imprecisabili ("La Stampa",, 22-2.'85) e il presidente della Bundesbank, O. Poehl, e costretto a dichiarare: "I mercati finanziari internazionali hanno raggiunto una tale dimensione (e caoticità nn.) che le banche centrali non sono in grado di intervenire contro o a favore di una moneta".
Qualunque cosa succeda nell'immediato, la prospettiva complessiva è certa: la crisi sta avviandosi ai suoi passaggi più catastrofici, che si realizzeranno o in un nuovo'29 dl moltiplicata potenza o in una nuova guerra mondiale dl moltiplicata devastazione. Il capitale non può si sfuggire alla sua sovrapproduzione, non può sfuggire a quella brutta bestia che è per lui la caduta del saggio dl profitto.
É qui il punto-chiave di tutta la questione, che nessuna analisi di parte borghese potrà mai ammettere. La causa profonda di questa crisi non è costituita né dal rialzo del prezzo del petrolio né, tantomeno, dall'aumento del salari. La causa è invece nella caduta del saggio dl profitto che, dopo aver operato in profondità nei decenni precedenti, ha manifestato tutti i suoi effetti dirompenti verso la fine degli anni '60. Questa è stata la molla della crisi di sovrapproduzione iniziata verso i primi anni '70 e dellaumentata concorrenza internazionale, che viaggiano da tempo verso i1 suo punto dl non ritorno.
E stata la caduta del saggio dl profitto a rendere più ardente la sete di capitali e ad aumentare enormemente la quantità minima dl capitale occorrente per mettere in moto produttivamente il lavoro. Questo stesso processo ha spinto insieme verso una maggiore concentrazione del capitale e verso un ruolo sempre più deciso degli stati nel tentativo di rimettere in sesto i meccanismi dellaccumulazione. Capitale industriale e stati, nel tentativo di attenuare le contraddizioni e scongiurare i passaggi più acuti della crisi, si sono così via via follemente indebitati verso i1 sistema bancario mondiale e su queste basi si è infine scatenata quella corsa al dollaro, i cui effetti preoccupano in modo crescente gli stessi borghesi. È stato un continuo spostamento in "avanti" della crisi ma, fino a quando la gigantesca sovrapproduzione non sarà stata smaltita, non si potranno ricreare condizioni favorevoli per i1 rialzo generalizzato e duraturo del saggio dl profitto, e nessun superamento della crisi potrà aversi. Anzi, la politica del rinvio non ha fatto altro, proprio perché non è stata sinora rimossa la base oggettiva della crisi, che accrescere i1 pericolo e lentità della esplosione di tutte le contraddizioni.
É certo, pero, che i1 capitalismo non darà le dimissioni. Esso scaricherà la sua crisi e le sue contraddizioni laceranti sul proletariato e le masse lavoratrici di tutto il mondo, ivi incluse quelle metropolitane che ancora oggi continuano ad illudersi (meno di un tempo) di poter evitare questo passaggio di lacrime e sangue. D'altra parte, se la ripresina Usa ha comportato (dal lato proletario) la generalizzazione del lavoro precario e senza garanzie, l'aumento dei poveri da 31 a 36 milioni, la riduzione progressiva dei meccanismi di assistenza sociale, l'inasprirsi della discriminazione razziale, a cosa porterà una nuova recessione? Non verranno di certo meno in un sol momento meccanismi dl compensazione imperialisti costruiti in decenni. Ma linsieme decisivo del proletariato non potrà essere compattato in senso sciovinista (in Europa o negli Usa) solo con qualche ripresina. Esso dovrebbe anche rendersi disponibile e complice nelle mobilitazioni e nelle azioni dl guerra. Non si macchierà di questa onta!
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA