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Contro la repressione


Repressione - Napoli. Il 7 novembre la polizia effettua 100 fermi e 44 arresti tra i disoccupati. Nei giorni seguenti la gran parte di essi viene rilasciata, ma per chi è rimasto in galera le accuse arrivano fino alla "banda armata". La stampa locale, con "Il Mattino" in testa, ne approfitta per attaccare con violenza il movimento dei disoccupati di "Banchi Nuovi" e per coinvolgere in questo attacco i delegati "irriducibili" del consiglio di fabbrica dell’Italsider, colpevoli d'avere -in quegli stessi giorni- criticato, insieme agli operai dell'altoforno in sciopero, i ritmi bestiali della fabbrica ristrutturata. Il 4 dicembre assemblea contro la repressione indetta dai Nuclei leninisti internazionalisti e dal Centro di iniziativa marxista in un'aula della facoltà di Fisica. Intervengono decine di agenti della Digos che schedano tutti i partecipanti all'assemblea, un centinaio di compagni. Nei giorni seguenti e poi in gennaio una decina di disoccupati del Comitato per il salario garantito vengono fermati e identificati mentre distribuiscono un volantino per la libertà di compagno Mimmo Lo Presti. Febbraio, Casoria, vicino Napoli: 53 disoccupati arrestati dopo alcune proteste dure.

Repressione - Milano/Veneto. L'8 febbraio vengono arrestati cinque militanti del Coordinamento dei comitati contro la repressione. L'imputazione è in base all'art. 270 bis (associazione sovversiva) con l'aggravante di fiancheggiamento del terrorismo È da notare che non viene rinvenuta alcuna arma. Decine di perquisizioni nel Veneto, in particolare a Padova, alla ricerca dei soliti "materiali documentari" Nei giorni seguenti "Il Mattino" di Padova mette in luce il carattere preventivo dell'operazione e in modo insultante la collega ad altre dei giorni precedenti negli ambienti dello spaccio di droga: tutto per la "pacificazione del territorio". Dopo pochi giorni, al primo volantinaggio del "Comitato internazionalista di solidarietà con i minatori inglesi" ai cancelli della Montedipe di Marghera viene identificato un compagno reo di volantinare. Il 3 marzo altri fermi ed identificazioni ai margini della manifestazione indetta a Padova, per protestare contro gli arrestati e le perquisizioni.

Repressione - Trieste. Sabato 9 marzo un tribunale di emergenza composto da cinque agenti della Digos decide ed esegue la condanna a morte di Pietro M. Greco, un compagno latitante da due anni e inquisito in una delle inchieste sull'Autonomia operaia. Era disarmato e neppure l'ombra di un'arma è stata trovata nel suo alloggio di fortuna, che il giudice Coassin ribattezza "covo" solo perché è stato ritrovato in esso "materiale che permette di capire come viveva il latitante" (Corriere della Sera, 11 marzo). Qualche parlamentare (è quanto dire!) sussurra di "omicidio a sangue freddo"; prima di metterlo su un'auto i poliziotti hanno ammanettato il compagno disarmato, riverso per terra, ferito da otto proiettili e morente. Nei giorni seguenti duecento agenti con cani poliziotto invadono l'ex Ospedale psichiatrico di Trieste e lo perquisiscono a tappeto. Diversi giovani malati vengono portati in questura. In margine a questi fatti la Fgci sostiene la necessità di una... "maggiore professionalità dei corpi di polizia".

Repressione - Milano. Lunedi 11 marzo ai cancelli dell'Alfa Romeo si presenta il compagno Giovanni Casucci, reintegrato in fabbrica su ordine del pretore. L'azienda lo aveva licenziato per prolungata assenza ingiustificata, ma il pretore aveva ritenuto... "involontaria" la sua assenza, dal momento che Casucci era in carcere o agli arresti domiciliari per supposto fiancheggiamento della W. Alasia. L'azienda non può non accettare, per il momento, di reintegrarlo nel salario, ma lo rispedisce a casa: dopotutto, è nel "libro nero" dell'Alfa dal 1964, ci informa il "Corriere della Sera". E "Il Sole 24 ore" del 12 marzo gli fa eco attaccando una "norma supergarantista" e un sindacato che non si è chiaramente schierato contro il rientro di Casucci.

Lotta alla repressione - Come interpretare tutti questi episodi, ed altri analoghi che per brevità, non riportiamo (v. per es. le perquisizioni a Radio Mara di Spoleto e altre sedi di sinistra in Umbria dopo la strage del treno Napoli-Milano)?

Noi non crediamo che essi rappresentino la raschiatura del barile da parte degli organi statali oppure siano un'operazione per fare terra bruciata intorno alla cd. riorganizzazione della armata. Non lo crediamo per due decisive ragioni: 1. in tutti i casi ad essere colpiti so compagni, organismi e settori sociali chiaramente distinti dalle Br; 2. la tesi che critichiamo presuppone una situazione di normalizzazione della conflittualità sociale giunta alla sua fase conclusiva.

Al contrario, questi fermi, arresti, perquisizioni, etc. sono l'espressione di una più complessa manovra di repressione preventiva e di intimidazione di aree più vaste di quelle direttamente colpite, nel timore di esplosioni sociali di proporzioni generali. Un timore non infondato dopo le contestazioni di massa al decreto sulla scala mobile dei primi mesi dell’'84 e mentre incombe, sui borghesi di ogni nazione, lo spettro di un proletariato che ha ripreso ad agitarsi in tutta Europa.

La complessità di questa manovra statale non può essere compresa da chi si attarda in una logica residuale e da chi si è irrimediabilmente lasciato chiudere nel ghetto, sempre più stretto, dell'ultimo moikano. Soggetti di questo tipo, dalla repressione subita, cercheranno di ricavarne riduttivamente la prova di essere gli unici ed ultimi nemici della borghesia ed inveiranno pateticamente contro chi non è stato arrestato.

Da parte nostra, che pure ricadiamo sotto le particolari attenzioni della polizia, senza dimenticare di denunciare tutti gli aspetti della repressione statale, l’accento cade innanzitutto sulla manovra politica complessiva e su come contrastarla.

La lotta contro la nuova ondata repressiva va perciò condotta non sotto il segno della rassegnazione di chi sta per compiere dignitosamente l'ultima battaglia di una guerra già persa, ma con la convinzione che si stanno aprendo brecce vistose nel muro, sebbene con tutta l'accortezza richiesta da una lotta che non è ancora d'attacco. Per questo, con rinnovata determinazione, la denuncia della repressione dev'essere indirizzata verso la massa del proletariato, quali che siano nell'immediato le sue reazioni. Il campo va arato e seminato prima che venga il tempo del raccolto. Per questo, a tutti i movimenti di massa o agli embrioni di essi che vanno formandosi si deve chiedere di farsi carico della lotta contro la repressione, che non deve essere appaltata ai tecnici e neppure ai "compagni". Anche sotto questo aspetto c'è molto da imparare dai minatori inglesi.

E sul piano del diritto? Senza rinunciare ad alcuna forma di difesa dignitosa sul piano giuridico, dev’essere chiaro che non lo si può praticare al modo belante, costituzionale e riformistico dei filo-russi, i quali -per es. a Padova (come peraltro dappertutto)- hanno incentrato la denuncia contro le recenti perquisizioni sulla "difesa intransigente della nostra costituzione". Qui il marcio, di chiara origine togliattiana, è nella fasulla contrapposizione tra democrazia e fascismo. La democrazia borghese, in effetti, è in sostanziale continuità con il fascismo, di cui non per caso conserva il codice penale che in alcune parti ha perfino peggiorato. La democrazia è diversa dal fascismo se ed in quanto si sente al sicuro, ma nelle stesse condizioni "di pericolo" reprime in modo analogo. Basta vedere, nei casi sopra citati, come si fa oggi ricorso alle norme sulla associazione sovversiva e la banda armata non già sulla base di fatti, ma sulla base del semplice "pericolo".

Dunque: lotta alla repressione statale e per la piena libertà di movimento e di organizzazione del proletariato, avendo come obiettivo il miglioramento dei rapporti di forza e senza illusioni sulla democraticità della democrazia.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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