Un pesante attacco ai livelli occupazionali ed alle condizioni normative e salariali: ecco la sostanza del piano di ristrutturazione dell’Alitalia. Benissimo si è fatto ad iniziare a scendere apertamente in lotta.
È infatti solo con una mobilitazione diretta, determinata e continuata che si potrà costringere la controparte a tornare sui suoi passi e a “rinunciare” ai suoi propositi. Interrompere la battaglia in attesa del 31 Gennaio - data di scadenza della cosiddetta “sospensione” del piano aziendale – sarebbe un errore, significherebbe arrivare “all’appuntamento” più deboli, più divisi e con minore capacità di resistenza.
L’esempio di Milano
Intanto, proprio in queste settimane, un’altra categoria del trasporto – quella dei ferrotranvieri – è scesa con decisione in campo per il rinnovo del contratto nazionale scaduto da due anni e per reagire ad una situazione lavorativa sempre più pesante fatta di turni asfissianti, precarietà crescente e salari sempre meno al passo col costo della vita.
Contro questa lotta - e soprattutto contro l’ormai “famoso” sciopero spontaneo di Milano - i padroni, il governo, le istituzioni locali ed i mezzi d’informazione hanno scatenato una violentissima campagna diffamatoria. Per questi signori i lavoratori devono subire passivamente le scelte aziendali e governative. Per loro, che vivono nell’agiatezza e con stipendi d’oro, il tentativo dei tranvieri milanesi dell’ATM di mettere un argine al peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita è un reato. Ed è un reato pericoloso soprattutto perché può essere d’esempio per altri milioni di lavoratori che vivono gli stessi problemi.
Dal capoluogo lombardo infatti è arrivato un messaggio chiaro. La lotta per poter essere efficace deve essere condotta direttamente dai lavoratori, gli scioperi devono essere scioperi veri e devono far male all’azienda.
L’isolamento si rompe e si supera solo con la lotta
I vertici sindacali, pur riconoscendo “il profondo stato di malessere dei lavoratori”, hanno criticato lo sciopero di Milano per non aver rispettato il cosiddetto “codice di autoregolamentazione”. Secondo le segreterie confederali, con azioni di tal genere si finisce per restare isolati e per prestare il fianco ad attacchi governativi al diritto di sciopero. Certo, questi pericoli esistono realmente, ma proprio per combatterli bisogna iniziare a farla finita con la logica della “moderazione” e dell’auto limitazione delle lotte. Serve esattamente il contrario: estendere, rafforzare e radicalizzare le mobilitazioni.
A proposito di “isolamento” si pensi a quanto successe in Francia nel’95. Di fronte ad un duro piano di tagli governativi i dipendenti dei trasporti diedero vita ad un lungo sciopero che si estese anche agli altri settori pubblici e che per intere settimane paralizzò il paese. Il governo ed il padronato (con il solito aiuto della stampa) cercarono in tutti i modi di aizzare i lavoratori del settore privato contro gli scioperanti. Non ci riuscirono. Accadde invece il contrario: si stabilì un rapporto di solidarietà. Grazie anche alla fermezza della lotta, si capì giustamente che lo sciopero era dettato da problemi vissuti da tutti i lavoratori. E il governo francese alla fine fu costretto a cedere.
Per quanto poi riguarda il diritto di sciopero basterebbe riflettere sul fatto che gli attacchi contro di esso sono iniziati in grande stile a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, cioè proprio quando la capacità di mobilitazione di noi lavoratori ha iniziato ad attraversare un momento di grande difficoltà. Questo a dimostrazione di come non siano le “troppe lotte”, ma le “troppo poche lotte” a prestare il fianco agli attacchi padronali e governativi su tutti i terreni. Ed inoltre, l’esperienza di tutti questi anni non basta forse a dimostrare abbondantemente che le varie leggi e codici di “regolamentazione dello sciopero” servono solo a legare le mani ai lavoratori ed a lasciarle ben libere alle aziende?
Per un’altra politica sindacale e generale
I tranvieri di Milano hanno visto bene. Con la loro azione hanno cominciato a mettere in discussione, di fatto, quell’impostazione della politica sindacale, che da decenni è incapace di fermare l’attacco dei governi, di centrodestra e di centrosinistra, e del padronato.
Si tratta di proseguire su questa strada. Su di essa lor signori hanno disseminato una serie di trappole. A cominciare dal tentativo di mettere gli “utenti” (cioè “altri” lavoratori) contro agli addetti ai trasporti e di contrapporre all’interno delle stesse categorie i lavoratori delle diverse città e regioni. L’obiettivo è quello di sempre: isolare le lotte per impedire che si estendano e per poterle meglio colpire. Le stesse “aperture” delle istituzioni locali vanno di fatto in questa direzione. Apparentemente e all’immediato esse sembrano schierarsi a favore dei lavoratori, ma in realtà contribuiscono a dividere il nostro fronte per vie geografiche e a predisporre quindi il terreno a nuovi e più violenti attacchi.
Per non rimanere prigionieri di queste tagliole velenose c’è bisogno invece di stabilire e di intessere contatti diretti tra i lavoratori dei vari settori senza passare per la mediazione dei vertici sindacali. Di iniziare a riflettere collettivamente su come quanto sta accadendo nel trasporto aereo, in quello tranviario e negli altri comparti sia strettamente connesso.
Su come ci si trovi, insomma, davanti a tanti aspetti di un unitario attacco capitalistico e, quindi, come sia necessario cominciare a reagire unitariamente battendosi – a partire anche dalle vertenze “particolari” - per costruire una mobilitazione generale contro la generale politica dei padroni e del governo ed in cui si metta in discussione radicalmente la politica dei vertici sindacali e la logica della subordinazione degli interessi dei lavoratori alle compatibilità ed alle esigenze delle aziende, della nazione e del profitto.
Una mobilitazione che colga come gli attacchi all’occupazione, la precarietà, i tagli alle spese sociali, le limitazioni al diritto di sciopero ed ai diritti sindacali, vanno di pari passo con l’aumento delle spese militari, con le campagne razziste contro i lavoratori immigrati e con l’aggressione ai popoli del Sud del mondo. E che veda, dunque, nella lotta e nella resistenza del popolo iracheno e delle masse sfruttate di tutto il Medio Oriente contro l’Occidente, non un pericolo da cui difendersi, ma un alleato di classe da appoggiare per una comune battaglia contro un comune nemico: i grandi poteri finanziari ed industriali mondiali, il capitalismo internazionale.
17 dicembre 2003
[Home] [english version] [What's a new] [interventi]