Dal manifesto 28 marzo 2006
STATI UNITI
«Sì, se puede», la rivolta di
Los Angeles
I «cittadini invisibili», gli immigrati messicani,
verso lo sciopero generale
LUCA CELADA
LOS
ANGELES
Il mezzo milione (stime ufficiali), ma erano molto
di più, sceso in piazza a Los Angeles ha infranto ogni record nella
metropoli californiana, anche quelle risalenti alle grandi proteste per i
diritti civili e contro la guerra del Vietnam. Sabato scorso Broadway era
come un fiume in piena, la folla che marciava rumorosa, festante e
arrabbiata sotto i frontoni deco degli edifici del vecchio centro era
semplicemente troppo numerosa per essere contenuta dal viale principale
della città e rivoli di gente con cartelli, trombe, megafoni e decine di
migliaia di bandiere, si sono staccati da corpo del corteo ingrossandosi
fino a rimepire le parallele: Hill street e Main e poi Olive street che si
sono rapidamente riempite, e il corteo si è moltiplicato fino a diventare
quattro fiumi paralleli che hanno letteralmente sommerso downtown e le
pattuglie della Lapd hanno assistito attonite alla ripresa della città da
parte dei suoi cittadini
invisibili.
Abituati a vederli nelle cucine dei ristoranti, nelle hall
degli alberghi, in officine meccaniche e sweat shop, nei cantieri
edili e nelle proprie case a far le pulizie, i losangelesi hanno visto per
un giorno il milione di messicani (e guatemaltechi, honduregni,
salvadoregni e nicaraguensi) che vivono come fantasmi nella loro città con
il volto di una maggioranza che ha reclamato per la prima volta da vera
«superpotenza popolare» il diritto di appartenenza e la dignità da sempre
negati.
Secondo i dati del census bureau
sarebbero almeno 3 milioni e mezzo gli illegal aliens, quasi
tutti di provenienza messicana e centroamericana, che risiedono in
California. Una forza lavoro invisibile e indispendabile al sistema
economico, gente che lavora senza permessi e sottopagata, fuori da ogni
tutela e minimo sindacale, alla mercé dei propri datori di lavoro, che non
può votare e che guida senza patente poiché non può richiederla alla
motorizzazione (come ha decretato il governatore Schwarzenegger) che sta
alla larga da ospedali quando si ammala ed evita ricorsi legali quando è
regolarmente vittima di soprusi.
Uno
sfruttamento endemico che va ben oltre il precariato, di persone che
pagano tasse e bollette della luce e che devono costantemente sottostare
al ricatto dell'illegalità; una popolazione «sommersa» pari al 10% di
quella complessiva dello stato, passibile in teoria in qualsiasi momento
di deportazione sommaria. Ma in una città come Los Angeles dove è ispanica
il 49.7% della popolazione (contro il 27% e rotti di bianchi) non c'è
dubbio su chi realmente alimenti «in nero» la quinta economia mondiale,
quei figli diseredati della globalizzazione «interna» che ora per la prima
volta sono usciti allo scoperto. Sotto il grattacielo del municipio li ha
accolti Antonio Villaraigosa, il primo cittadino della città più ispanica,
i cui genitori hanno compiuto a loro tempo il pellegrinaggio attraverso la
frontiera messicana. Il sindaco ha offerto all'oceanica folla la sua
solidarietà e quella della città.
Una
barriera di 1000 km
La mobilitazione senza
precedenti è stata provocata dal progetto di riforma sull'immigrazione che
dopo essere stata approvata in sordina dalla camera a dicembre, da oggi
passa all'esame del senato. Il disegno di legge HR4437, presentato dal
senatore conservatore del Wisconsin George Sensenbrenner, propone una
barriera rinforzata lunga 1000 km sul poroso confine messicano, e prevede
di alzare l'immigrazione clandestina a rango di felony, cioé reato
grave, designazione applicabile anche a chi assuma lavoratori «illegali» o
semplicemente presti aiuto a chi non sia in regola, clausola quest'ultima
che ha suscitato l'indignazione, e la promessa di disubbidienza civile
addirittura del cardinale cattolico Roger Mahony. Il prelato di Los
Angeles ha denunciato la recente isteria anti immigrati a base di ronde
volontarie sulla frontiera organizzate dai Minutemen e analoghi
gruppi di vigilanza per sigillare personalmente il confine «visto che il
governo si rifiuta di farlo».
In realtà la
strategia del border patrol è stata negli ultimi anni proprio
quella di sigillare il confine nei tratti «più visibili» in California e
Texas con l'effetto di spingere i passaggi clandestini verso l'Arizona.
Nel territorio ostile e remoto del tratto centrale di frontiera, il
famigerato «Tucson sector», è neccessario percorrere a volte fino a 100 km
a piedi e senz'acqua il che ha determinato l'impennarsi dei decessi fra le
persone, comprese donne e bambini che tentano la pericolosa traversata.
Più di trecento ne sono morti in ognuno degli ultimi tre anni. La zona si
e così trasformanata in far-west post-globale incrociato dalla
migra con elicotteri, cavalli e camionette con gabbie
porta-clandestino, vigilantes volontari con canocchiali e cappelacci da
cowboy (nonché l'occasionale smith&wesson) e dall'altra parte
pattuglie di ausilio ai clandestini che lasciano scorte d'acqua in
depositi segnalati e prestano assistenza medica volontaria quando trovano
gente che ne ha bisogno.
Due di loro, Shanti
Sellz e Daniel Strauss, appartenenti al gruppo «no more deaths» sono
attualmente in attesa di giudizio accusati di favoreggiamento per aver
tentato di trasportare in ospedale tre messicani rinvenuti gravemente
disidratati nel deserto. E' il genere di criminalizzazione che verrebbe
sancito ufficialmente dalla HR 4437 contestata dagli immigrati di L.A. a
ritmo di Si se puede il tradizionale slogan dei braceros in
sciopero. Una scena che ha rimandato alla pacifica occupazione di
Washington guidata da Maryin Luther King 40 anni fa e che si è svolta
negli stessi quartieri svuotati durante la grande depressione, quando
decine di migliaia di ispanici vennero «rimpatriati» in Messico senza
tanti complimenti per «sfoltire» le masse di disoccupati. Tendenza
invertita poi durante la seconda guerra mondiale quando per far fronte al
problema opposto, la mancanza di mano d'opera, vennero «rinvitati»
attraverso il programma dei braceros durato dal 1942 al 1964 quando
i raccolti del paniere californiano vennero ufficialmente «appaltati» a
braccianti messicani stagionali che avevano però l'obbligo di tornarsene a
casa finito il lavoro.
I picchetti dei
vigilantes
Un progetto analogo viene ora
caldeggiato da George Bush e dall'ala corporativa del partito
repubblicano, attenta alle esigenze dell'industria americana (è nota
l'abitudine perfino di Wal-Mart di assumere lavoratori «clandestini») ma
che allo stesso tempo si trova a far fronte alle recrudescenza xenofoba e
populista della destra integralista. Da un anno a questa parte ad esempio
gruppi di vigilantes come Save Our State (SOS) organizzano regolari
picchetti davanti ai luoghi dove i braccianti jornaleros si
radunano per trovare lavoro, di solito i parcheggi dei grandi centri del
fai-da-te dove caporali, costruttori e gente comune li contratta per
lavoro spicciolo al di fuori di ogni tutela. Gli indefessi sventolatori di
bandiere americane che li presidiano sostengono di reclamamare unicamente
l'applicazione delle leggi ma le tinte razziste del movimenrto sono
evidenti nella retorica sulla difesa di «sovranità e cultura nazionale»,
sfruttata da demagoghi come il parlamentare del colorado Tom Tancredo,
l'anchorman conservatore della Cnn Lou Dobbs e il fondatore dei
Minutement, Jim Gilchrist, che il mese scorso ha perso di poco un elezione
al senato dello stato presentando un programmma di «tutela dei confini» da
spacciatori, contrabbandieri e dal pericolo dell'«infiltrazione
terrorista». E da Sensenbrenner, autore della 4437.
Come stanno dimostrando le
proteste di questi giorni a Los Angeles, San Francisco, New York, Atlanta,
Phoenix, Chicago e in molte altre città la «questione immigrazione»
rischia di scoppiare in mano ai repubblicani e il risveglio del dormiente
«gigante latino» potrebbe essere vera kriptonite per il partito che
rischia la spaccatura fra la fazione pragmatica e la destra ideologica
oltre che l'alienazione di un cruciale elettorato in vista delle elezioni
parlamentari di novembre. Dietro alle bandiere, la ronde, i picchetti e
ora la controffensiva ispanica si cela infatti la realtà di una economia
di servizio globalizzata ormai interamente dipendente dalla massiccia
presenza e disponibilità di manodopera a basso costo, una realtà economica
oggettiva che i difensori della sovranità non hanno alcun modo di
modificare (a meno, come ha scritto Marc Cooper, di non volersi accomodare
a raccogliere fragole e pomodori nei campi californiani a $2 senza
assicurazione né pausa pranzo). A Los Angeles gli alieni
costituiscono altresì il segmento più dinamico tanto della maggiore
diocesi cattolica d'America quanto di un movimento sindacale che ha
trovato nella loro organizzazione una vitalità mai vista da anni grazie
anche ad attacchi come quello attuale della proposta Sensenbrenner.
La manifestazione di Los Angeles si è
aggiornata con il progetto, se necessario, di uno sciopero generale dei
lavoratori invisibili. Dimostrazione di ciò che diventerebbe la
California se, come aveva immaginato un paio di anni fa la polemica
fantapolitica di Sergio Arau, venisse davvero il «Day without a Mexican»,
il giorno senza messicani.