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Dal manifesto del 24
febbraio 2006
Dopo l'attentato alla moschea sciita di Samarra i
pogrom anti-sunniti e anti-opposizione fanno oltre cento vittime. Appello
all'unità del leader sciita radicale Moqtada al Sadr che accusa Usa e
Israele. I partiti sunniti interrompono le trattative per la
formazione del nuovo governo. Uccisi ieri otto soldati americani. Tensione
anche a Beirut
STEFANO CHIARINI
Cinquanta persone di ritorno da una dimostrazione
unitaria sunnita-sciita contro la distruzione della moschea sciita dalla
cupola d'oro di Samarra, ma anche contro il tentativo di Usa e Israele di
spingere l'Iraq verso la guerra civile, sono stati fermati ad un check
point, falso o vero della polizia non si sa, e massacrati sul posto. Le
loro auto date alle fiamme. Tre reporter della televisione araba al
Arabiya, la nota giornalista Atwar Bahjat, con il cameraman Adnan Abdallah
e il fonico Khaled Mohseni, sono stati fermati all'uscita di Samarra e
trucidati. La giornalista era stata minacciata di licenziamento dalla sua
emittente per aver rivolto pesanti accuse alla guida spirituale degli
sciiti iracheni l'ayatollah al Sistani, colui che in queste ore ha dato il
via libera, tentando poi inutilmente di fermarla, alla caccia al sunnita.
Dieci immigrati provenienti da vari paesi del medioriente, da alcuni mesi
rinchiusi in una prigione di Basra perché sospettati, in quanto sunniti,
di «terrorismo», sono stati prelevati dal carcere da un gruppo di
poliziotti e uccisi poco dopo. Sono questi i tre episodi più significativi
di una giornata di sangue nel corso della quale misteriose bande
paramilitari, nella maggior parte dei casi organizzate dal ministero degli
interni, nelle mani delle milizie al Badr, longa manus del partito di
maggioranza relativa, il Consiglio Superiore per la Rivoluzione Islamica
in Iraq (Sciri), filo-Tehran, hanno dato vita a veri e propri pogrom
contro i sunniti e contro quei settori che sostengono l'ipotesi di un
«governo di unità nazionale» che riduca nell'esecutivo il peso della
componente filo-iraniana rispetto a quella arabo-sunnita-sciita
«nazionale». Quest'ultima è infatti, a differenza dello Sciri, favorevole
al mantenimento dell'unità dell'Iraq, allo stabilirsi di buoni rapporti
con i paesi arabi e ad un dialogo tra le varie componenti della società
irachena, laici compresi. Non è però da escludersi che nel «caos creativo»
provocato dai «neocon» dell'amministrazione Bush, decisi a distruggere
l'Iraq per favorire una «pax israelo-americana nella regione», gli episodi
di sangue più gravi, tra i quali l'attentato stesso alla moschea della
cupola d'oro di Samarra, siano in realtà responsabilità di servizi segreti
infiltratisi un po' ovunque, da al Qaida allo Sciri, decisi a soffiare sul
fuoco delle differenze etniche religiose tra la popolazione irachena e più
in generale tra i popoli del medioriente. Non a caso l'altra notte a
Beirut si è sfiorato lo scontro fisico diretto, con conseguenze facilmente
immaginabili, tra i tifosi sciiti di una squadra libanese e quelli di una
compagine sunnita kuwaitiana, bloccati sul nascere dall'intervento degli
Hezbollah, che hanno poi, ieri pomeriggio, convocato una riunione tra
tutti i leader religiosi libanesi per lanciare un appello comune contro un
possibile riaccendersi della guerra civile. Guerra civile che dall'Iraq
potrebbe anche estendersi alla Siria dove gli Usa si sono alleati ai
fratelli musulmani locali per rovesciare il regime del presidente Bashar
di religione alawita e quindi riconducibile allo sciismo. Le vittime degli
scontri in Iraq sarebbero almeno una quarantina solo nella capitale,
trenta a Basra e il resto sparse un po' ovunque nel paese. In tutto circa
130. Secondo l'Associazione degli Ulema musulmani sunniti sarebbero 160 le
moschee attaccate, una ventina quelle distrutte, dieci gli imam uccisi e
quindici quelli «scomparsi». Il leader sciita radicale Moqtada al Sadr ha
lanciato ieri un appello agli sciiti perché cessino ogni attacco e si
«uniscano ai sunniti contro i piani di Usa e Israele» e ha chiesto la
formazione di un comitato congiunto per l'ordine pubblico costituito dagli
esponenti delle varie comunità.
Di fronte ai pogrom i partiti moderati sunniti, riuniti nel
Fronte per l'Accordo Iracheno, che avevano chiesto come condizione della
loro partecipazione al nuovo governo di Ibrahim al Jafaari la rimozione
del ministro degli interni Bayan Jabor dello Sciri e lo scioglimento degli
squadroni della morte da lui organizzati con l'aiuto di Tehran e di
Washington, hanno annunciato ieri di aver abbandonato ogni trattativa. In
questa drammatica situazione il genio dello scontro etnico-confessionale
fatto uscire dagli Usa dalla bottiglia per colpire il nazionalismo
iracheno e arabo rischia ora di far saltare i piani di Washington per un
riequilibrio a suo favore della non scritta alleanza con Tehran
all'origine dell'invasione dell'Iraq. Il futuro dell'Iraq si deciderà in
gran parte oggi, venerdì, all'uscita delle moschee. Per cercare di
raffreddare la situazione è stato proclamato per oggi a Baghdad, per la
prima volta, un coprifuoco diurno e notturno ma a mantenere l'ordine non
c'è più nessuno. Per volere degli Usa, l'Iraq non ha infatti più un
esercito ma solo forze di polizia composte dai membri delle milizie curde
e sciite che rispondono solo ai loro leader politici. Nel frattempo le
operazioni della resistenza si vanno intensificando: otto sono stati ieri
i soldati Usa uccis in Iraq.
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