I "diritti" degli operai nell'Urss della perestrojka
È proprio vero, e da sempre. La legge, il diritto segue le cose sancisce dei rapporti di forza che nelle cose si sono dati. E se questi rapporti di forza si sono sbilanciati a favore della classe operaia il buon diritto borghese ne prende atto, ovviamente, solo nella misura in cui deve farlo per non compromettere le sorti ulteriori del conflitto permanente contro di essa. Il riconoscimento legale (e limitato) dei diritti acquisiti sul campo viene presentato come un'elargizione "democratica" che dovrebbe servire a tacitare e far regredire il movimento di classe dal terreno dello scontro.
Tutto questo lo si vede benissimo nella fresca proposta di legge sovietica sul diritto di sciopero.
A centinaia di migliaia, gli operai sovietici si sono presi questo diritto, negato nelle tavole costituzionali, scavalcando codici e garanti istituzionali del rispetto di essi (partito, sindacati, tribunali e sbirraglia). Se lo son preso incondizionatamente. Ecco perché si tratta ora, da parte del potere, di "riconoscerlo" quel tanto che è necessario perché, non si vada ad uno scontro più in profondità (da cui, comunque, esso uscirebbe con le ossa rotte) e sotto forma tale che valga a mettere ad esso una museruola.
È dubbio che la manovra riesca. Il progetto in discussione è troppo al di qua del livello cui la classe operaia è saputa pervenire, e di cui ha buona coscienza, e, al tempo stesso, troppo al di qua delle necessità, presenti e soprattutto future, del regime di tutelarsi con tutti i mezzi dall'insorgenza operaia. Come si fa a combinare il riconoscimento che gli operai possono scioperare (dal momento che già lo fanno senza attendere permessi preventivi) e quello secondo cui gli scioperi minacciamo l'ordine costituito? Tra le "lacrime e sangue" che Gorbacev sta promettendo non s'inscrive forse la necessità di imporre uno stop alle agitazioni "scriteriate" del proletariato? E allora: un diritto sulla carta e la sua messa in mora nella pratica? Un bel busillis, da cui davvero non si vede, nella congiuntura attuale, come uscirne.
"Il progetto di legge presentato al Soviet supremo dal presidente dei sindacati, Stepan Šalaev, sembra più ispirato alle norme "liberticide" imposte dalla signora Thatcher che alle speranze e alle richieste dei minatori e di centinaia di altre categorie" ("Repubblica", 3 agosto).
Normalissimo. Gli operai sono, per legge, i "padroni" della produzione (e i sindacati ufficiali gli amministratori delegati di questo loro "potere"). Lo sciopero, quindi, è "in sé" contraddittorio con questo loro status "padronale". Ad una recente assise sindacale un operaio ha ironizzato: "Quando mai i padroni fanno, sciopero contro sé stessi?". Poiché scioperano, vuol dire che riconoscono in altri i veri padroni e in sé gli sfruttati. Dura da digerire, tanto per un Šalaev che per un Gorbačev, e, d'altra parte, non sono più i tempi di Stalin, o di Mao, allorché si poteva far "quadrare" costituzione e realtà effettuale a suon di polizia e tribunali per assicurare il rispetto dell'ordine.
Che dice, in sintesi il progetto di legge? Che prima di poter effettuare uno sciopero si deve passare attraverso una "commissione di compromesso", a composizione paritaria, che deve trovare un'intesa entro cinque giorni (prendiamo dall'"Unità", 3 agosto), esperita la quale, se non si arriva alla composizione delle controversie, si va ad un "comitato di arbitraggio" presso il Tribunale supremo della Repubblica (ovvero ai tribunali regionali), che ha altri dieci giorni di tempo per decidere. Dopodiché può scattare lo sciopero, purché con decisione "presa a maggioranza del collettivo". Con l'eccezione per quei casi in cui esso "può causare pericolo alla vita e alla salute dei cittadini" o "impedisce il normale ritmo di vita della popolazione" e le "necessità difensive e la sicurezza del paese".
"Un concetto larghissimo - commenta "Repubblica" -, che, a seconda delle interpretazioni, potrebbe includere le stesse miniere", e, diciamo noi, qualsiasi altro settore produttivo (non è vero che ogni blocco dell'attività produttiva compromette il "normale ritmo di vita"... del capitale e la sua sicurezza?).
Le obiezioni a questo progetto si sono affollate, anche da parte dei capoccioni. Innanzitutto, lo schema di esso è ricalcato sull'unico modello delle aziende statali, ma trova difficoltà di applicazione ai casi delle aziende "autogestite", delle "cooperative", delle aziende private a venire e delle joint-ventures. Poiché si prevede che questi settori saranno in espansione, come applicare ad essi i criteri limitativi? Un blocco della FIAT, poniamo, non procurerebbe, rispetto ad un blocco dell'IRI, analoghi danni ai "normali ritmi di vita" etc. etc.?
Ma, soprattutto: che valore potrà avere una legge del genere dal momento che gli operai hanno dimostrato di non rispettare alcun sbarramento preventivo e, nello scendere in lotta, non si sono limitati ad un'azione di "collettivo" aziendale, ma si sono dati "comitati di sciopero" su base territoriale (senza, beninteso, passare attraverso "democratiche consultazioni" a suon di schede per decidere l'azione)?
Ne risulta, come dicevamo, che le "tavole della legge" sul tavolo del Soviet supremo non sono in grado di comprendere (e disciplinare di conseguenza) i livelli acquisiti dalla lotta operaia e, al tempo stesso, non presentano alcuna garanzia per il "mantenimento dell'ordine". Il ramo legislativo risulta già sorpassato in partenza dall'... esecutivo proletario.
Che fare allora? Se la lotta operaia, com'è prevedibile, non si taciterà non è anche prevedibile che le "lacrime e sangue" gorbacioviane dovranno assumere contorni materiali più netti? Quando le leggi servono a poco, in ogni buon regime borghese che si rispetti interviene la legge dello knut.
Non possiamo che augurarci che questo avvenga nelle condizioni migliori perché allo knut della "perestrojka" rispondano le braccia armate del proletariato. "La légalité nous tue"; a noi uccidere la légalité borghese!