LA STAMPA del 6/10/02
Il quotidiano La Stampa di domenica 6 ottobre nel riferire della manifestazione contro la guerra del giorno prima in un trafiletto nella cronaca locale, che oltretutto sottostima a millecinquecento il numero dei partecipanti, fa ampia "pubblicità" al volantino distribuito nelloccasione dallOci. Un buon servizio sembrerebbe, oltretutto non pagato, che cita correttamente i passaggi essenziali peccato che lo si faccia per allertare sul ritorno dell"estremismo rosso anni 70" insinuando lidea che da qui a "vecchi pericoli" il passo è breve.
Lintento è fin troppo chiaro. Di fronte a giovani e giovanissimi, a lavoratori, a gente comune scesa in piazza per dire un NO alla guerra senza se e senza ma, di fronte ad una mobilitazione, certo, ai suoi primi passi, ma che risponde a un sentimento anti-guerra ben altrimenti diffuso (come si percepiva anche tra le migliaia di giovani presenti nella contigua piazza organizzata dal Sermig) - di fronte a tutto ciò inizia una campagna preventiva tesa a intimidire un movimento sul nascere per bloccarne i passi successivi. La "guerra preventiva" esige una "intimidazione preventiva", appunto. Del resto è quel che si è fatto verso il movimento no-global a Genova 2001 ed è quanto si è tentato in questi mesi per contrastare lampia mobilitazione dei lavoratori (con laccusa di "complicità col terrorismo" lanciata da Berlusconi contro chi è sceso in piazza il 23 marzo, con i tentativi di schedatura dei partecipanti agli scioperi ).
Ma sanno che ciò non basta, che un movimento si darà comunque, e non per merito di qualche "agitatore". E allora? Allora lo si deve costringere ad "abbassare i toni", a depotenziare la critica, togliendogli con ciò la sua forza politica principale: lapprofondimento delle ragioni della propria lotta e la sua radicalizzazione attraverso lestensione e il coinvolgimento della più ampia massa.
Dunque si dovrebbe accettare la spudorata menzogna di una guerra fatta per fermare il "pericolo" -per le pacifiche(!) e indifese(!) democrazie occidentali- di un Iraq affamato e devastato. Guai a dire che di vera e propria aggressione per il controllo del petrolio si tratta. Al massimo può essere consentito dissentire sui modi in cui lIraq va "punito", e comunque sempre e solo idealmente. Guai a contrastare le decisioni già prese ai piani alti del potere economico, politico e militare.
Si dovrebbe accettare che le ragioni dello scontro sono le "dittature" e il "terrorismo", e non al contrario un sistema globale di rapina, oppressione e sfruttamento per il profitto che produce a scala sempre più ampia fame, devastazione e guerra. Lo stesso sistema che qui, nel "ricco Occidente", estende precarietà e incertezza e attacca diritti, salario e occupazione. Si dovrebbe vedere nei popoli del Sud del mondo che resistono e si ribellano il nostro nemico, e non invece i nostri fratelli con cui costruire una comune lotta, una comune prospettiva di emancipazione da questo sistema.
È interesse di quanti vogliono battersi contro la guerra che si approssima contrastare la campagna di intimidazione che, al di là di singoli episodi, è rivolta allinsieme del movimento. È bene rendersene conto e rispondere per tempo, denunciandone senza remore il significato verso la più ampia massa dei lavoratori, delle donne, dei giovani, dei proletari immigrati, di chi non ha interessi da spartire coi padroni della terra.