A proposito di lotta al terrorismo

Mai come in questo caso l’azione militare che ha portato all’uccisione di Marco Biagi è stata sentita dalla massa profonda del proletariato come un tentativo di espropriarla della propria lotta, della propria mobilitazione contro i provvedimenti del governo in materia di mercato del lavoro.

Prima ancora di rispondere al quesito se si trattasse dell’ennesima "provocazione" di servizi deviati(?) dello stato o del rigurgito di brigatisti in cerca di un rilancio del "partito armato", è prevalsa la convinzione che in ogni caso era un’azione che si cercava di mettere di traverso al movimento in atto contro il governo.

Le manifestazioni che ci sono state subito dopo l’attentato e la straordinaria partecipazione alla manifestazione del 23 marzo a Roma confermano che la reazione prevalente nelle file del proletariato è stata quella di riaffermare il "diritto" a condurre avanti in proprio la lotta, di ribadire le sue ragioni, di non lasciarsi condizionare da questo evento, ma anzi di aggiungere maggiore determinazione e partecipazione alla propria mobilitazione.

Questo sentimento di fastidio e di insofferenza contro l’azione terroristica, considerata giustamente nel contesto dato una inutile sanguinosa pagliacciata, è stato però immediatamente utilizzato tanto nelle fila del governo che in quelle dell’opposizione per depotenziare il movimento in atto e la sua possibile evoluzione.

Il governo ha cercato di dimostrare che l’uccisione di Biagi è il frutto avvelenato del radicalismo messo in campo in maniera pretestuosa dalla Cgil e dalle forze politiche di opposizione contro la Casa delle Libertà perché non vogliono accettare il responso delle urne. In pratica i terroristi avrebbero trovato terreno fertile per condurre la propria azione militare nel clima di demonizzazione delle "riforme" che il governo si sforza di attuare per "aumentare l’occupazione" e rilanciare l’economia nazionale. Quindi se si vuole davvero togliere spazio al terrorismo occorre abbandonare lo scontro frontale verso cui si sta andando e riaprire un ragionevole dialogo. Se si riconosce che Biagi era un uomo "moderato" e del "dialogo" (significativamente prima a servizio dell’Ulivo ed oggi della CDL, tanto per dire cos’è la famosa "opposizione alternativa"), perché non devono esserlo i Maroni e i Berlusconi che si limitano a raccogliere i suoi suggerimenti?

A tali argomentazioni l’Ulivo, con corollario rifondarolo e dei Centri sociali, risponde mettendo avanti le sue storiche credenziali nella lotta la terrorismo e rilanciando la difesa della democrazia e delle istituzioni quale compito prioritario e comune a tutte le forze politiche nazionali. In pratica si accetta il ricatto posto dal governo, e non potrebbe essere altrimenti vista la natura politica dei partiti dell’opposizione che riconoscono in questo sistema sociale e nelle sue regole di funzionamento i loro alfa ed omega.

Anzi, per la dirigenza dell’Ulivo, si tratta di prendere la palla al balzo per ricondurre una lotta, in parte propugnata in parte "costretta" a sollevare, verso un alveo assai più tranquillo, viste le dimensioni e le questioni che la mobilitazione sta assumendo. Fino a quando si tratta di sollecitare e sostenere un movimento per dare una spallata al governo che, insieme all’assestamento di un duro colpo alle condizioni di vita e di lavoro proletarie, si appresta a ridimensionare il ruolo del sindacato e della cogestione politica, va bene. Ma, se il movimento si estende troppo, si radicalizza nei suoi obiettivi e nelle sue aspettative, se dalla messa in discussione di una singola misura (od una serie di misure) particolarmente odiose si passa a mettere in discussione (come è inevitabile se si vuole davvero fermare l’offensiva borghese) l’intero ramificato sistema capitalistico, allora i primi ad essere spaventati delle possibili conseguenze sono proprio i partiti della sinistra. D’altro canto uno degli argomenti forti del governo è che una serie di misure che hanno attaccato la rigidità della forza lavoro ed hanno diffuso e legalizzato la precarietà nei rapporti di lavoro per i giovani, sono state realizzate proprio dai precedenti governi a guida ulivista. E possiamo essere certi che se si riuscisse a dare una spallata al governo facendolo cadere come nel 94, con un movimento disposto a dare una delega in bianco al "governo amico", si ripeterebbe l’esperienza della vicenda delle pensioni, la cui "riforma" prospettata da Berlusconi è stata poi realizzata da Prodi e D’Alema, anche se diluita nel tempo.

I pericoli di espropriazione della lotta quindi, non stanno tanto nell’azione terroristica condotta da un gruppo di disperati che scambiano i propri vaneggiamenti con la realtà dello scontro di classe realmente in atto, quanto dall’utilizzo che si cerca di farne da parte delle forze politiche istituzionali.

La risposta non può essere quella di una mobilitazione per difendere la democrazia (non dimentichiamoci che è esattamente rivendicando quelle regole che Berlusconi pretende di sferrarci un’ulteriore attacco, ed è sempre utilizzando quelle regole che è consentito ai padroni sfruttare "democraticamente" i proletari).

Si tratta invece di continuare in maniera intransigente la lotta iniziata contro il governo Berlusconi, e di estenderla e radicalizzarla ulteriormente per unificare tutte le energie proletarie in un unico esercito di classe in grado di attaccare e sconfiggere non solo il governo delle destre, ma di colpire alla radice il sistema capitalistico e le sue istituzioni politiche, per mettere fine non ad "una" ingiustizia particolare, ma a tutte le ingiustizie di cui si rende responsabile questo sistema sociale fondato sullo sfruttamento.

La semplice ridiscesa in campo di un proletariato, che in tanti avevano dato per spacciato o inesistente, ha riconfermato come esso rimanga il perno centrale ed unificante di uno schieramento sociale di opposizione all’offensiva borghese. Ma proprio per svolgere fino in fondo questo ruolo, per raccogliere le tante spinte di protesta prodotte dal dominio borghese è necessario estendere il programma rivendicativo oltre e contro le compatibilità capitalistiche, è necessario porsi il problema del potere per dare avvio a quelle trasformazioni in grado di mettere la parola fine allo sfruttamento salariale e alla barbarie capitalistica.

Possiamo essere certi che proprio questa lotta –senza colpi di pistola, ma assai più pericolosa per il nemico di classe, in quanto chiama al protagonismo attivo le masse, la loro organizzazione, il loro programma- costituirebbe l’unico vero argine nei confronti dei diversivi tipo BR (con scarsa gioia da parte dei nostri avversari). Viceversa ogni rinuncia a proseguire in maniera conseguente lo scontro avviato con il governo e le rivendicazioni padronali, sulla base di una grande movimento di massa, aprirebbe spazi impensati ad azioni avanguardiste, che come sempre accade possono trovare limitati consensi nelle file di un proletariato debole e sfiduciato sulle proprie capacità di condurre in prima persona la lotta per la propria liberazione dallo sfruttamento.

L’unica strada che abbiamo di fronte allora è quello di rafforzare la lotta contro questo governo, contro il capitalismo e le sue leggi, riaffermando con ciò stesso la necessità che: protagonisti di questo scontro possono essere solo i proletari costituiti in classe con interessi distinti e contrapposti a quelli borghesi, e che questa lotta non la si può delegare a chicchessia, sia esso armato a meno.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA