UNA LOTTA DI TUTTI I LAVORATORI |
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Da quando sono stati annunciati gli 8.100 esuberi la Fiat e il governo si sono trovati a fare i conti col fatto che la risposta data dai lavoratori mette all’ordine del giorno l’unificazione della lotta di tutti gli stabilimenti e la sua estensione agli operai dell’indotto, ai lavoratori degli altri settori, al movimento no-global, con il coinvolgimento dei giovani, dei precari e di più ampi settori sociali.
Il vero ostacolo che la Fiat si è trovata di fronte è la rinnovata fiducia dei lavoratori nelle proprie forze e l’attenzione, la simpatia, la partecipazione di quella parte di popolazione che vede in questa vicenda una questione che tocca da vicino le sorti di chi vive del proprio lavoro. Sono questi i punti di forza su cui fare leva: altro che "aiuto" da parte di governo, parlamentari, enti locali! La risposta determinata degli operai di Termini Imerese con l’appoggio di tutta la popolazione, gli scioperi e le manifestazioni ad Arese e via via negli altri stabilimenti, la prima generalizzazione di questa lotta ai lavoratori dell’indotto e degli altri settori nell’ultima settimana con la partecipazione, dappertutto di giovani precari e di studenti (che a Torino hanno occupato la stazione insieme agli operai), la scesa in campo attiva del movimento no-global (non a caso gli arresti sono partiti alla vigilia dell’annunciata presenza dei no-global a Termini). Tutto ciò dimostra la possibilità di rafforzare questa battaglia costruendo un ampio fronte con l’insieme dei lavoratori, quelli (sempre meno) "garantiti" e quelli già precarizzati e guadagnandosi la simpatia e l’appoggio della gente comune e di quei giovani che vedono davanti a sé un futuro fatto di lavoro precario (quando c’è) e ultraflessibile. La lotta per la difesa dei posti di lavoro alla Fiat deve diventare una lotta generale a difesa delle condizioni complessive di chi vive del proprio lavoro. Per darle questo respiro vanno costruite alcune condizioni: - che essa ci sia, sia convinta e determinata, che esca fuori dalle officine, come si sta facendo a Termini Imerese. Insomma, una lotta che faccia effettivamente paura a padroni e governo e proprio per questo sappia catalizzare il sentimento di scontento diffuso nei settori che iniziano a percepire il disastro sociale che si prepara. Se la lotta operaia non si fa decisa, anche questa simpatia (o comprensione) si dileguerà e i lavoratori Fiat cadranno di nuovo nell’isolamento. Solo con la lotta dura si potranno convincere anche quei lavoratori sfiduciati o ancora aggrappati alla micidiale illusione che "stavolta tocca a qualcun altro". Non è la moderazione che può portare a questi risultati, ma al contrario la radicalizzazione della lotta; - che si faccia realmente dell’attacco Fiat all’occupazione una questione di tutti i lavoratori, non come semplice solidarietà con i destini di "altri", ma per la difesa di interessi che sono anche propri. Il terreno per una battaglia generale su temi che toccano tutti c’è già. Si annunciano licenziamenti nelle piccole aziende e nei grandi gruppi con effetti a cascata sui rispettivi indotti, si diffonde la cig. Nel mentre i provvedimenti del governo Berlusconi precarizzano ancora di più il lavoro (abolizione dell’art. 18 e libro bianco, legge Bossi-Fini contro gli immigrati) e tagliano, con la finanziaria, sanità, istruzione, assistenza (con particolare aggravio per le donne lavoratrici).
Certo la posta in gioco nello scontro aperto dalla Fiat è alta. Ci troviamo a fronteggiare direttamente i meccanismi della concorrenza internazionale che consentono la sopravvivenza dei soli capitali più concentrati. A decidere chi mangia e chi viene mangiato (del calibro di Fiat e Daewoo!) sono il mercato globalizzato e la finanza mondiale (quelle banche e borse che sono diventate i veri padroni della Fiat) con la loro ricetta fatta di tagli, flessibilità, terziarizzazioni, delocalizzazioni, ecc. Ma non è che nei paesi e nelle aziende che reggono la "concorrenza alta" per i lavoratori le cose vadano molto meglio: basta dare un’occhiata al deterioramento della condizione operaia negli Usa o in Gran Bretagna (dove negli ultimi mesi c’è stata un’ondata di scioperi), o allo stesso annuncio di sacrifici fatto dal cancelliere tedesco all’indomani della sua rielezione. Le differenze tra paese e paese non scompaiono. Ma il declino della condizione dei lavoratori è generalizzato perché è il prodotto del mercato mondiale, dove oramai il successo delle aziende e dei loro piani industriali non equivale alla corresponsione di "utili" ai lavoratori, ma anzi si basa sulla maggiore spremitura del loro lavoro. E dove, anche nelle aziende e nei settori che "tirano", nessun lavoratore può sentirsi al sicuro dalle onde di ritorno della concorrenza al ribasso scatenata dalla globalizzazione. Nessuna lotta per un "piano industriale" che non si scontri con i meccanismi del mercato può salvaguardare l’occupazione. La nostra difesa come lavoratori non è data dallo stato di salute aziendale -come pretendono i vertici sindacali- ma esclusivamente dalla forza collettiva che sappiamo sviluppare come classe. Non si tratta di costruire assieme a governo e padroni una soluzione per la Fiat ( ...magari accettando la contrapposizione tra i vari stabilimenti) ma di lottare contro di essi, di costruire intorno alla difesa intransigente dei nostri interessi quei rapporti di forza che soli possono portare a dei risultati a noi favorevoli.
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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