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La lotta dei lavoratori dell’Atm va “trasportata” verso tutti i lavoratori.
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Lo sciopero spontaneo effettuato nei giorni scorsi a Milano ha fatto emergere un malessere profondo tra i lavoratori del trasporto pubblico. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il rifiuto delle contraparti di rinnovare il contratto nazionale di categoria scaduto da quasi due anni. Ma il vaso era già quasi colmo fino all’orlo: turnazioni pesanti e continuative (ore e ore in mezzo al traffico), precarietà crescente, salari inadeguati ad affrontare l’aumento del costo della vita. I lavoratori dell’Atm hanno voluto reagire a questa condizione generale di compressione. Il governo, il padronato, i vertici istituzionali locali hanno scatenato una dura campagna propagandistica contro di loro. Perché? Perché per lor signori i lavoratori devono solo subire le scelte che le direzioni aziendali e quelle dell’azienda-Italia decidono di far valere. Per loro, che vivono nell’agiatezza, con stipendi d’oro (poco tempo fa i dirigenti del settore del trasporto urbano hanno ricevuto un aumento mensile di 250 euro), il tentativo dei lavoratori dell’Atm di mettere un argine al peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita è reato. Ma lo sciopero che c’è stato è reato soprattutto perché può propagare un virus tra milioni e milioni di lavoratori che, pur in altri settori, vivono, umiliati e apparentemente rassegnati, gli stessi problemi. Prendiamo altri comparti dei trasporti: gli aeroporti, le ferrovie. Come se la passano i “loro” lavoratori? E quelli del settore metalmeccanico? Anche qui, salari in caduta libera. Anche qui, precarizzazione e terziarizzazione. Anche qui, crescente spremitura sul posto di lavoro, e difficoltà ad un rinnovo contrattuale dignitoso per i lavoratori. I dirigenti d’azienda, i grandi burocrati statali, tutto il mondo borghese temono che il mondo del lavoro salariato possa dire basta alla grigia e pesante vita che è costretto a condurre. Senza più confidare nelle leggi approvate in parlamento dai “propri” eletti. O nei favori e protezioni personali “elargite” dalle direzioni aziendali. Bensì nell’unico mezzo realmente efficace: lo sciopero! Lo sciopero vero, non quello inefficace e buono solo per perdere il salario convocato dai vertici confederali! Lo sciopero dei lavoratori dell’Atm è un danno e un pericolo solo per chi campa e parassita sullo sfruttamento del lavoro altrui, non per gli altri lavoratori.
“Però, chi ci ha rimesso sono gli altri lavoratori, che non hanno potuto recarsi al lavoro.” Questo è stato il ritornello ripetuto nei giorni successivi in mille salse. Ragioniamo anche su questo. E facciamolo partendo dall’inizio. Una delle funzioni del trasporto pubblico è il trasporto dei lavoratori. Ogni giorno milioni di lavoratori entrano a Milano oppure si recano in azienda attraverso i mezzi pubblici. Per lo stato e il padronato questo “servizio” deve costare il meno possibile, deve dar profitto... deve essere in una parola competitivo come il vangelo del mercato vuole che accada in ogni azienda. E come fanno per rendere competitivo il trasporto pubblico? Semplice: riduzione della quota della spesa pubblica destinata ai trasporti; riduzione del costo del lavoro dei dipendenti dei trasporti, attraverso l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, il blocco dei salari e l’aumento dei carichi di lavoro; aumento delle tariffe per gli “utenti” che vengono fatti viaggiare, al prezzo di un’euro a biglietto, come sardine in bus e metro sovra-affollate. Se c’è qualcuno che danneggia gli “utenti” questo qualcuno è lo stesso che danneggia i lavoratori Atm. Gli “utenti”, gli altri lavoratori, hanno l’interesse ad appoggiare la lotta dei lavoratori Atm, ad entrare in lotta anche loro, a vedere come avviare una vertenza complessiva comune per ottenere un miglior trasporto pubblico e migliori condizioni di lavoro, nell’Atm e dappertutto, in tutte le aziende.
C’è poi un altro dato su cui riflettere. I mezzi con cui le direzioni delle aziende di trasporto urbano cercano di far profitto sulle spalle dei “propri” dipendenti e degli “utenti” non avrebbero successo se non fossero supportati centralmente dall’intero padronato e dall’azione del governo. È il governo che (sull’onda dei provvedimenti già avviati dai governi di centro-sinistra e tramite la legge 30 sul mercato del lavoro, i provvedimenti federalistici e anche la legge sull’immigrazione) sta favorendo quella divisione del mondo del lavoro, quella concorrenza tra lavoratori che permettono poi alla direzione Atm di fare gli arroganti con i propri lavoratori e i tanti giovani neo-assunti. Ma l’azione “fluidificante” del governo non si limita a questo. C’è di mezzo anche la guerra esterna a cui esso ha deciso di partecipare, in Iraq, Afghanistan e altre parti del mondo. Cosa c’entra, si dirà, la guerra in Iraq con lo sciopero dei dipendenti Atm? C’entra, eccome, lo mostrano alcuni aspetti della vicenda, su cui è bene riflettere attentamente. Il prefetto ha precettato i lavoratori. Albertini ha invocato l’uso dell’“arsenale” amministrativo e giuridico per impedire che i lavoratori facciano valere le loro ragioni. Il termine “arsenale” non è casuale. Inoltre è stata presa in considerazione l’ipotesi, suggerita dai Ds, di far intervenire i militari. Insomma, la mano forte. Quella mano forte che oggi si usa, e si esercita, in Iraq... Guarda caso per imporre anche là le libertà di mercato, le privatizzazioni di ospedali e infrastrutture, la piena sottomissione dei lavoratori alla mano rapace delle multinazionali, del petrolio e degli altri settori. D’altra parte, i mezzi di informazione ufficiali non hanno presentato gli auto-ferrotranvieri come un pericolo pubblico al pari del popolo iracheno che resiste come può e deve? Cosa ne deriva? Che i lavoratori, dell’Atm e degli altri settori, hanno interesse a costituire, come fanno il padronato e i vertici istituzionali, un fronte di lotta unitario per far valere insieme degli interessi che sono comuni. Un fronte che va allargato anche al popolo iracheno e agli sfruttati che nel Sud e nell’Est del mondo resistono, anche se in condizioni diverse, all’attacco della stessa macchina di sfruttamento e di oppressione: la struttura delle multinazionali, la rete delle banche, gli apparati burocratici e militari delle democrazia occidentali che ne difendono gli interessi.
La contrattazione territoriale è un trappola. Oggi un settore del padronato e dei vertici statali sta cercando di chiudere la falla attraverso un accordo cittadino. “Diamo i soldi richiesti, o quasi tutti quelli richiesti, agli auto-ferrotranvieri qui a Milano, da altre parti si vedrà”. Questa proposta può trovare un’accoglienza positiva tra gli auto-ferrotranvieri e gli altri lavoratori. Sembra che accontenti tutti. In realtà non è così. Accontenta sicuramente la controparte. Ma non i lavoratori Atm e gli altri lavoratori. Perché l’accordo sancirebbe un’ulteriore divisione del mondo del lavoro. Segnerebbe il passaggio dal contratto nazionale del lavoro a contratti locali. Che si ritorcono, prima o poi, contro gli stessi lavoratori che ne hanno usufruito in modo “positivo”. I vertici di Cgil, Cisl e Uil hanno denunciato questo esito. Lasciamo stare il fatto che essi hanno da tempo sottoscritto già questa politica portata avanti dai vertici aziendali e dal governo, come si è fatto ad esempio con i patti territoriali. Il rischio è reale. Ma come si può evitare di cadere nella trappola? Proprio rilanciando la lotta generale per la difesa della condizione proletaria, per il licenziamento dalla piazza dell’organo che sta svolgendo la funzione di centro di raccordo dell’attacco capitalistico in Italia: il governo Berlusconi. Ma questo è proprio ciò che Cgil-Cisl-Uil non vogliono fare. E non lo vogliono fare perché è la loro linea politica ad impedirglielo. La linea politica che subordina la difesa degli interessi proletari a quelli delle aziende. Che, per non turbare l’ordine capitalistico, fa proclamare scioperi che non servono a far male alla controparte, ad organizzare i lavoratori, ad incoraggiare la nuova generazione proletaria a reagire alla ghigliottina della precarietà che grava sulla sua esistenza. Negli ultimi due anni, per non parlare dei precedenti, abbiamo visto che la manifestazione del sabato o lo sciopero una tantum secondo i criteri del codice di “limitazione del diritto di sciopero” non fanno paura alla contro-parte. Nello stesso tempo abbiamo visto con Scanzano che quando c’è una mobilitazione proletaria vera, che cerca di coinvolgere settori di lavoratori via via più ampi e vuole far valere in modo deciso i suoi interessi, che non si preoccupa di bloccare l’Italia e di danneggiare gli interessi nazionali, allora il governo e il padronato sono costretti a tenerne conto.
I lavoratori dell’Atm hanno visto bene. Con la loro azione hanno messo in discussione, di fatto, questa impostazione della politica sindacale, che da decenni è incapace di fermare l’attacco dei governi, di destra e di sinistra, e del padronato. Si tratta di proseguire su questa strada. Su di essa il governo, le direzioni aziendali, i poteri forti capitalistici hanno disseminato una serie di trappole: la contrapposizione tra “utenti” e lavoratori Atm, tra lavoratori Atm e lavoratori del trasporto pubblico di altre città e, non sembri una divagazione, tra lavoratori italiani e lavoratori iracheni e terzo-mondiali, compresi coloro che -emigrando- sono giunti in Italia. Per non rimanerne prigionieri c’è bisogno di riprendere la lotta in ogni settore, di stabilire dei contatti diretti tra i lavoratori di base dei vari settori senza la mediazione dei vertici sindacali, di organizzare una mobilitazione generale e in questa mobilitazione mettere in discussione la politica delle compatibilità dei vertici sindacali. Solo così si potrà piegare l’intransigenza delle direzioni delle aziende di trasporto e quella, ben più potente, dei poteri forti capitalistici che la sorregge. La situazione stessa ci detta la piattaforma rivendicativa di questa mobilitazione generale: conquista di aumenti salariali adeguati, riduzione della precarietà, battaglia per ridurre il peso dei carichi di lavoro, opposizione al super-sfruttamento e al razzismo che gravano sugli immigrati, ritiro delle truppe italiane e occidentali dall’Iraq, denuncia e opposizione alla blindatura militaristica in corso nella società contro i lavoratori e le loro lotte. Questa piattaforma non possiamo certo realizzarla con una vittoria elettorale dell’Ulivo, il cui programma sostanzialmente non è dissimile da quello del governo Berlusconi-Bossi-Fini (la richiesta Ds di usare i militari al posto degli auto-ferrotranvieri in sciopero parla da sola). Essa richiede la tessitura di un’organizzazione di lotta tra i lavoratori, che solo i lavoratori possono mettere in campo. Un’organizzazione di lotta che si ponga l’obiettivo di incoraggiare una mobilitazione e una lotta a vasto raggio, che trovi un suo primo traguardo nel licenziamento dalla piazza del governo Berlusconi e che faccia valere la sua forza, senza nessuna delega o attesa, verso il successivo governo, di sinistra o unità nazionale che sia. 5 dicembre 2003
Da tenere a mente. Quello sciopero del 1995 in Francia...
Il 15 novembre 1995 l’allora primo ministro gollista Alain Juppé presentò un “piano di salvataggio della sécurité sociale”, che comportava tagli ai servizi pubblici, compresi quelli legati del trasporto. Lo chiedevano i mercati mondiali, la salvaguardia della competitività dell’Azienda Francia. La risposta dei lavoratori fu dura. Blocco delle vie di comunicazione per un mese. Cominciato dalla metropolitana parigina, lo sciopero si estese alle ferrovie, alle poste e poi agli altri settori pubblici. Il governo e il padronato cercarono di aizzare i lavoratori del settore privato contro i lavoratori in sciopero. Invano. Successe invece il contrario: si stabilì un rapporto di solidarietà, i lavoratori del settore privato videro che lo sciopero serviva a fermare un attacco rivolto anche contro di loro, già in atto contro di loro. Il governo Juppé alla fine fu costretto a cedere. Si tratta di una lezione da tenere a mente. Anche per quanto riguarda lo sbocco politico che ebbe la vertenza in Francia. I lavoratori hanno cercato di far valere i loro interessi contro la politica dettata dai mercati mondiali e dagli interessi della borghesia francese attraverso un “cambio elettorale”. A qualche anno da questo “cambio”, non si può dire certo che per i lavoratori in Francia si sia fermato l’attacco delle imprese e del governo. L’“alternativa” passa al di fuori del parlamento.
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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