Il volantino diffuso dalla nostra organizzazione alla manifestazione di Roma del 30 settembre 2006

 

 

Viva la resistenza delle masse lavoratrici in Palestina e in Libano!

No alla forza multinazionale “di pace" occidentale in Libano-Palestina!

Scendiamo in piazza oggi, nel mezzo dell’unità nazionale destra-“sinistra” a favore della missione Onu in Libano, contro questa missione. Questa manifestazione è quanto mai necessaria. Per denunciare che la missione in Libano non è affatto una missione di pace ma un nuovo tassello nell’aggressione delle potenze capitalistiche occidentali al mondo arabo-islamico e agli sfruttati del mondo intero, anche di quelli occidentali. E per tentare l’avvio di un’iniziativa politica, al momento inevitabilmente minoritaria, tesa a favorire il rilancio di una lotta organizzata di massa contro questa aggressione. A tal fine vanno urgentemente affrontati alcuni fondamentali nodi politici.

 

La polarizzazione sociale e politica in corso in Medioriente

 

Il primo nodo riguarda la chiarificazione sullo scopo della missione dell’Onu e del ritrovato ruolo internazionale dell’Italia. Non corrisponde alla realtà dei fatti ed espone, come minimo, a pericolosi scivoloni politici l’affermazione che la missione dell’Onu in Libano rappresenta, semplicemente, un servizio agli Stati Uniti e ad Israele per permettere loro di realizzare con i mezzi diplomatici quello che non sono stati in grado di ottenere sul terreno militare per la resistenza di Hezbollah. L’offensiva lanciata a luglio da Israele non è nata dalla furia bellica di un governo di pazzi. Con l’aggressione al Libano, Israele ha tentato di bloccare il processo di polarizzazione sociale e politica che si era avviato in Libano, in Palestina, in Medioriente e dentro gli stessi confini di Israele. Come accaduto altre volte in passato, il Libano stava diventando un territorio in cui gli sfruttati, al di là degli steccati religiosi, stavano organizzandosi contro l’occupazione d’Israele e contro la politica liberista del governo di Fuad Siniora. Stava diventando un ponte di collegamento e di fraternizzazione tra l’Intifada palestinese e la resistenza antimperialista in Iraq e in Afghanistan.

L’aggressione militare lanciata sul Libano da Israele in estate, come quelle degli anni settanta dirette contro le basi della resistenza palestinese, ha mirato a distruggere le basi militari e il consenso politico alla forza, Hezbollah, protagonista in Libano di questa embrionale convergenza e collegamento tra le lotte e le iniziative antimperialiste dell’intera area. L’aggressione militare lanciata dal governo Olmert-Peretz serviva inoltre per canalizzare verso l’esterno il crescente malcontento sociale interno ad Israele, per i costi economici e soprattutto umani della politica colonialistica di Israele nella regione.

Si è trattato, quindi, di un ben ponderato intervento di polizia contro le classi lavoratrici dell’area. E si è trattato di un’operazione preparatoria dell’assedio che Israele e l’imperialismo hanno iniziato a cingere attorno all’Iran, per fare terra bruciata attorno al popolo iraniano, per schiacciare preventivamente la solidarietà che quest’ultimo potrebbe incontrare, nello scontro con l’imperialismo, nel Vicino Oriente.

 

L’obiettivo comune all’unilateralismo degli Usa e di Israele e del multilateralismo europeo: imporre l’ordine dell’euro-dollaro contro gli sfruttati del Medioriente e il proletariato mondiale

 

Questo disegno di Israele, con la piena copertura degli Usa, non è riuscito. Non è riuscito per l’eroica resistenza di Hezbollah e delle masse lavoratrici del Libano. Davanti alle difficoltà militari israeliane e ai riflessi che esse cominciavano ad avere nell’opinione pubblica interna e nelle stesse truppe israeliane, l’Italia e la Francia hanno assunto un’iniziativa autonoma. Hanno preso la palla al balzo della difficoltà in cui si erano cacciati Israele e gli Usa per reinserirsi nelle manovre in corso nella regione. Non tanto e semplicisticamente per dare una mano a Israele e agli Usa. Quanto per dare una mano a se stesse, ai propri interessi di rapina e di dominio imperialistici sulle risorse petrolifere e sulla manodopera dell’area. L’Italia e l’Europa non blairiana si sono rese conto che continuando a rimanere alla finestre o alla coda degli Usa rischiavano di perdere le loro ultime posizioni dominanti in Libano e, più in là, in Iran. Preoccupate di questo, si sono mosse, pur senza avere l’intenzione e la forza al momento per costituire un polo imperialistico contrapposto agli Usa, per tutelare i loro interessi in Medioriente. Che richiedono, al pari di quelli degli Usa e di Israele, lo schiacciamento delle resistenze e delle lotte degli sfruttati mediorientali, e la loro sottomissione ai piani del capitale finanziario. Schiacciamento e sottomissione che l’Italia, la Francia e le potenze capitalistiche europee vorrebbero però realizzare con mezzi in parte diversi da quelli “unilateriali” degli Usa, con i mezzi delle “manovre pacifiche” e del “multilateralismo”, che garantirebbero alle potenze europee una fetta del bottino mediorientale maggiore rispetto all’applicazione del “metodo” voluto dagli Stati Uniti e da Israele, vista la minore forza militare dei briganti capitalisti europei in confronto con quello alleato statunitense. Quali siano questi mezzi “pacifici”, li stiamo vedendo già all’opera, con i tentativi di libanesizzare e ingabbiare la politica di Hezbollah entro le maglie della ridotta statale libanese, di imporre al Libano i vampireschi piani di risanamento finanziari approntati dal capitale europeo, di far seguire ad Hezbollah la stessa parabola che ha trasformato l’Olp in una forza compradora d’Israele e dell’imperialismo.

L’intervento dell’Italia, della Francia e dell’Europa non blairiana in Libano è rivolto, inoltre, contro il proletariato dell’Europa, europeo ed immigrato, per disciplinarlo alla causa della politica neo-colonialistica contro il mondo arabo-islamico, per convincerlo a vedere in questa prospettiva la soluzione dei problemi crescenti che i lavoratori vivono anche in Europa sul lavoro e nella vita sociale in genere, per meglio irregimentarlo al momento in cui, se Hezbollah o l’Iran non dovessero piegarsi “consensualmente”, l’esportazione della “pace” in Medioriente, cioè dell’ordine dell’euro-dollaro sugli sfruttati del Medioriente, occorrerà usare le armi e magari ritrovare sintonia con l’alleato statunitense.

 

Le basi di una coerente lotta contro la missione in Libano e contro l’aggressione imperialista al mondo arabo-musulmano

 

La missione in Libano va denunciata e lottata per questa finalità complessiva politica anti-proletaria perseguita autonomamente dall’Europa e non per l’insufficiente smarcamento dell’Italia e della Francia dagli Usa. Il destinatario di questa denuncia e il protagonista di questa lotta non può essere, qui in Italia, che la massa dei proletari, quegli stessi che al momento credono illusoriamente di lucrare alcuni vantaggi dal rilancio della potenza capitalistica dell’Italia.

Sta in questa politica di netta contrapposizione sia alla politica unilaterale degli Usa che a quella multilaterale dell’Europa il primo aiuto che dall’Europa possiamo inviare a sostegno della resistenza degli sfruttati in Libano, in Palestina, in Iraq, in Afghanistan e nell’intero mondo islamico. Affinché essa riesca a respingere, insieme all’attacco militare in cui primeggiano gli Usa e Israele, anche le “blandizie”, non meno terroristiche, messe in campo dall’Italia e dalla Francia. E affinché riesca a dotarsi del programma e dell’organizzazione in grado davvero di dare ossigeno alla resistenza antimperialista in Medioriente: quelle basate sulla fusione della lotta per il riscatto nazionale con la lotta per il riscatto della classe proletaria, in Medioriente e nel mondo intero.

Ecco i nodi politici che il rilancio di un’iniziativa coerente contro la guerra c’impone di affrontare.

 

Le illusorie speranze dei lavoratori verso la missione in Libano

 

Il consenso alla missione onuista in Libano non si limita alle forze parlamentari di governo e di opposizione. Esso è arrivato anche dalla quasi totalità delle forze che in questi anni si sono dichiarate per la pace e contro la guerra e la massa dei lavoratori. Presupposto di questo consenso è la convinzione che la  risoluzione 1701 segni una svolta che finalmente rimette al centro la politica multilaterale dell’Onu. È l’aspettativa che la missione italo-europea possa essere il primo passo di una nuova politica occidentale che punti a raffreddare i conflitti in Medioriente, induca alla tregua anche con l’interposizione ora in Libano, domani forse in Palestina. È l’auspicio che questa nuova politica, depotenziando gli effetti dirompenti della guerra al mondo arabo-islamico, improvvidamente alimentata dall’oltranzismo militarista di Usa e Israele, la “allontani da noi”, eviti che si estenda ulteriormente e che “ci torni dentro casa” come un boomerang.

Quanti in questi anni sono scesi in piazza per lottare contro la guerra di trenta (o cento?) anni e ritengono che le aspettative di una vera “pace con giustizia” siano malamente riposte alle cure di D’Alema-Prodi-Rutelli, sono chiamati a portare nelle piazze e nella società un’iniziativa politica che contrasti queste diffuse ed illusorie aspettative tra e verso la nostra gente -la massa del proletariato, dei giovani, delle donne-, che faccia chiarezza sulla natura e i fini di questa missione -e di quelle già in corso-, che dichiari sin da subito la necessità di organizzare la lotta contro l’unità nazionale bipartisan a sostegno della missione militare in Libano.

 

In questa lotta è nostro compito mettere in primo piano la denuncia dell’imperialismo italiano ed europeo

 

Altro che ruolo di pace dell’Europa! Il governo Prodi-D’Alema-Rutelli, quello dei 78 giorni di bombardamenti sulla Jugoslavia, nei suoi primi cento giorni sta aumentando la presenza e il protagonismo militari dell’Italia in Medioriente. Soprattutto sta riposizionando in altro modo i suoi effettivi militari, a migliore protezione degli interessi nazionali dell’Italia. Non lo fà per poter sventolare una interpretazione meno ipocrita del suo articolo 11 (con il quale, peraltro, ha dichiarato in regola tutte le missioni militari dell’Italia) o per venire veramente incontro alle aspettative di giustizia e di riscatto nazionale delle masse palestinesi o libanesi (alle quali comunque non rinuncia a rivolgersi). Lo fa perché le forze del capitalismo nazionale che gli dettano le mosse, hanno deciso di salvaguardare se stesse, di puntare con la propria iniziativa a spostare la feroce competizione attorno agli enormi interessi in gioco in Medioriente dal terreno dello scontro militare, dove oggi l’intera Europa è subordinata all’iniziativa statunitense, a quello della “pace” e del dialogo con “le popolazioni” e soprattutto con le borghesie e con gli stati arabi, perché su questo terreno esse confidano di poter recuperare le moltissime posizioni perdute.

L’opposizione alla missione militare in Libano, quindi, non può indirizzarsi né esclusivamente né prioritariamente contro gli Usa ed Israele, limitandosi a richiamare in coda il “servilismo” dell’Europa. Perché così facendo non si coglierebbe la portata dell’azione degli imperialisti europei e italiani in Medioriente e si lancerebbero denunce veementi contro la missione in Libano, che però, guarda caso, risparmierebbero i “propri” governi, il “proprio” imperialismo, mentre la denuncia da un punto di vista di classe dell’imperialismo, ivi compresa quella del capofila statunitense, non può che partire da lì. Che fino ad oggi i governi europei non abbiano marciato all’unisono non toglie che anche divisi essi siano e restino baluardi -forse minori, ma di tutto riguardo- dell’imperialismo e protagonisti della sua aggressione. E se (divisi o uniti) sono in ritardo quanto a capacità di competizione globale, proprio questo ritardo è già oggi il terreno di coltura di tendenze antiproletarie e razziste che puntano a inquadrare una illusoria soluzione dei problemi reali dei lavoratori europei e italiani in una politica sciovinista che risollevi il rango imperialista dell’Europa anche in chiave antiamericana. Le vogliamo contrastare o no queste tendenze che parlano al proletariato? Noi sì.

 

Quale sarebbe il contenuto di classe di “una vera autonomia dell’Europa”?

 

Contro quanti si congratulano con D’Alema e ne esaltano la svolta di autonomia della politica estera italiana ed europea, per dare a bere che questa sarebbe una vera politica “di pace” diversamente da quella di guerra della sola amministrazione Bush, non ha senso controbattere che invece non c’è nessuna “vera” o non c’è una sufficiente “autonomia dell’Europa”. Perché così si lascia intendere, contro ogni realtà, che se veramente l’Europa si desse la statura politica e i coefficienti per trattare alla pari e dettare la politica mondiale allora sì che l’umanità marcerebbe verso la pace.  E, peggio, si lascia intendere che se D’Alema e il governo italiano mettessero in campo una politica dell’Italia e dell’Europa “veramente autonoma” dagli Stati Uniti, allora la platea dei consenzienti si allargherebbe anche a molti che oggi contestano con questi argomenti spuntanti la missione in Libano.

Noi crediamo l’esatto contrario: una “vera autonomia dell’Europa” non sarebbe altro che la riedizione di un suo ancor maggiore protagonismo imperialista di guerra e di sfruttamento contro le masse lavoratrici del mondo intero e per questo noi la osteggiamo sin dai suoi primi vagiti e dai tentativi di rilancio che oggi vediamo in atto, al di là dei risultati effettivi che ne verranno, anche nell’iniziativa del governo Prodi-Montezemolo. Altro che contrappeso “di pace”! Sarebbe una “maggiore autonomia” che gli sfruttati del Sud e dell’Est del mondo potrebbero ancor oggi avvertire come un meno peggio cui aggrapparsi, ma che non mancherebbe -già oggi non manca- di rivelare fino in fondo la sua natura di nemico capitale degli sfruttati e della loro resistenza, con altre modalità -se e perché serve- ma con finalità non diverse da quelle dei teocon statunitensi.

 

Un’unità nazionale da denunciare a tutto tondo

 

Non basta, allora, chiamarsi fuori dall’unità nazionale a sostegno della missione in Libano perché essa si compatta su una missione militare che mette in mostra i muscoli delle portaerei e dei mezzi corazzati dell’Italia. Se non ci fossero gli eserciti di mezzo, ma solo gli “aiuti civili” alle popolazioni bombardate, ci andrebbe bene l’unità nazionale con Prodi-Montezemolo? No! La denuncia del militarismo imperialista, soprattutto quando si ha a che fare con “imperialisti dal volto umano” come amano pittarsi quelli di casa nostra, non va mai disgiunta dalla denuncia dei meccanismi “pacifici” con i quali i governi occidentali, i loro organismi internazionali e le banche puntano a conseguire gli stessi risultati di dominio e di rapina. E così non va disgiunta dalla denuncia dei cosiddetti aiuti civili alla ricostruzione da parte di quegli stessi governi occidentali che hanno concorso alla distruzione o la hanno giustificata e favorita. Gli aiuti civili alla ricostruzione, infatti, verrebbero e vengono usati (con il concorso dell’associazionismo filo-governativo smanioso di ri-sedersi alla “tavola della pace”), per perseguire le stesse finalità, per stabilire in altro modo il controllo pieno del Libano (e dell’Iraq, della ex-Jugoslavia, etc.) e l’assoggettamento delle sue masse lavoratrici.

 

La guerra in Libano e Palestina rilancia il protagonismo della resistenza delle masse sfruttate e lavoratrici del mondo arabo-islamico.

 

È solo essa con le sue conquiste e i suoi sacrifici sul campo -non certo l’Europa e l’Onu con la diplomazia multilateralista- ad aver imposto una battuta d’arresto al rullo compressore dell’imperialismo in Medioriente. In Medioriente non ci sono soltanto le truppe di occupazione occidentali e il verminaio di governi fantocci (da quelli di Arabia Saudita, Egitto e Giordania fino alla “nuova democrazia” irachena) e di faccendieri occidentali e corpi mercenari al seguito. Ci sono anche masse lavoratrici e sfruttate che combattono e resistono per porre fine a tutto questo.

Riteniamo inaccettabile chiedere il ritiro delle truppe italiane dal Medioriente e ora anche dal Libano cancellando dagli appelli e dalle piattaforme -per decisione o per “dimenticanza”- ogni riferimento alla resistenza delle masse arabo-islamiche all’aggressione imperialista. Oppure limitando il riferimento alla resistenza in questo o in quell’altro singolo paese, ovvero circoscrivendo il sostegno alle “forze laiche, di sinistra, comuniste” quando le masse che resistono si inquadrano oggi in via del tutto prevalente in organizzazioni islamiste come Hezbollah, o ancora dichiarando in subordine il sostegno alla “resistenza nazionale libanese” come “ricompresa nell’azione di aiuto civile alle popolazioni per la ricostruzione e l’assistenza alle vittime”.

Lasciando cadere reticenze e ambiguità, noi dobbiamo sostenere incondizionatamente la resistenza delle masse lavoratrici e sfruttate in Afghanistan, Iraq, Palestina, Libano. E, per quante difficoltà possano esserci oggi a farsi capire, dobbiamo saperla indicare ai lavoratori italiani come la più vitale forza oggi in campo contro il concreto disegno dei governi occidentali che associa l’aggressione di trenta anni sul fronte esterno alle politiche che puntano al costante peggioramento delle nostre condizioni interne di lavoro e di vita. Così come la indichiamo a quei settori della popolazione lavoratrice ebrea che, entro i confini di Israele e nel mondo intero, stanno iniziando a comprendere che la costituzione dello stato d’Israele non ha rappresentato la soluzione del dramma vissuto dagli ebrei per le persecuzioni subìte in Europa, che essa è una falsa soluzione, che ha implicato un costo enorme per le popolazioni della Palestina e implicherà costi crescenti anche per la popolazione ebrea.

Noi, proletariato d’Occidente, siamo chiamati a dare il nostro sostegno “senza se e senza ma” alla resistenza delle masse lavoratrici arabo-islamiche di tutto il Medioriente, affinché noi e loro insieme si possa sconfiggere l’aggressione del “nostro” imperialismo al mondo arabo-islamico e scongiurare il baratro ancor più profondo di guerre fratricide che essa prepara. Un sostegno che ci chiama al compito, niente affatto semplice, di una fraterna interlocuzione con le masse arabo-islamiche in lotta qualunque siano le forze che le rappresentano. Interlocuzione che non può prescindere dalla difesa militante dei lavoratori immigrati, a partire dal contrastare nel proletariato italiano le campagne d’odio contro di essi -e in particolare contro i musulmani- e proseguendo con la necessaria attenzione, partecipazione e sostegno al concreto percorso di organizzazione e di lotta dei lavoratori immigrati. Un sostegno incondizionato che non omette di dichiarare il nostro internazionalismo di classe, il nostro essere comunisti, e di entrare nel merito delle incongruenze dell’antimperialismo arabo-nazionalista e islamista, ben sapendo di rivolgerci a chi combatte la più feroce delle aggressioni e dalla sponda di un Occidente il cui proletariato è oggi fin troppo assente da ogni più sfumata proiezione di solidarietà internazionale di classe. E sapendo, quindi, che se le masse lavoratrici arabo-islamiche fanno affidamento a direzioni politiche che, pur tuonando contro l’imperialismo, ben si guardano dall’organizzare seriamente tutto il proletariato dell’area contro i loro aguzzini occidentali (perché sarebbero loro stesse spazzate via dall’incandescente risveglio dei lavoratori mediorientali), è anche perché qui da noi stenta a levarsi una voce di lotta contro i nostri governi. In tal senso si rivela insufficiente anche un appoggio alla resistenza perché resti così come è, ovvero un appoggio che non guardi e non lavori in direzione di un vero antimperialismo internazionalista di classe

 

Sono queste le questioni che hanno davanti quanti vogliono dare seguito coerente alla propria opposizione all’aggressione imperialista al mondo arabo-islamico e alla missione in Libano. È per non aver affrontato con decisione queste questioni che il cosiddetto movimento no-global e no-war, in particolare nelle sue propaggini italiane, è al momento svanito. È anche per non aver dato sufficiente battaglia su questi punti al suo interno che la generica petizione di pace di ieri si sta accomodando oggi in grandissima parte e senza eccessive scosse -ma non necessariamente per sempre- nel sostegno all’Onu, al governo Prodi-D’Alema, alla missione militare in Libano.

Avendo ancora presente che, perché battaglia reale ci sia, il soggetto chiamato a prendere in carico queste questioni, riprendendo l’iniziativa generale contro il capitalismo e contro il governo Prodi, è l’intera massa degli sfruttati, verso la quale occorre indirizzare l’iniziativa di quanti siamo oggi in piazza, per dare battaglia nel proletariato contro le politiche di unità nazionale, chiamando alla necessità di definire con la discussione collettiva un distinto -e contrapposto- punto di vista di classe dei lavoratori sul Libano e su tutto il resto.

Da qui, secondo noi, si riparte.

29 settembre 2006
 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista