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LE VIGNETTE DI CALDEROLI Non c’è bisogno di spendere parole su ciò che pensiamo di Calderoni e consimili, viste le leggi in materia di diffamazione. Qualcosa di essenziale va invece detto sulla vicenda delle vignette da lui esibite sulla sua padanissima t-shirt. Il senso comune che circola è che si è trattato di un atto di “irresponsabilità” oltraggiosa, con l’aggravante, come Ciampi dixit, della carica istituzionale ricoperta. “Ci vuole rispetto per l’Islam” (e tutti gli altri “diversi”). Tutti lo affermano, da Berlusconi a Fini (entrato rispettosamente nella moschea di Roma dopo aver bazzicato per le sinagoghe di mezzo mondo), da Prodi a Benedetto XVI. Con rispetto ed il “dialogo” tutte le faccende rientrano nella (profittevole) normalità. Sarà proprio così? Noi non ne siamo troppo sicuri. Abbiamo già detto la nostra sulla questione materiale di fondo che sta dietro all’insorgenza attuale che prende spunto nel mondo islamico dalla questione delle vignette. Qualcuno ha detto: si tratta di un pretesto. D’accordo, se si vuole intendere che il materiale infiammabile dello scontro tra Occidente oppressore ed Islam oppresso sta altrove e qui siamo in presenza solo di un piccolo cerino, ma in prossimità di una gigantesca polveriera. Se così è, è ben stupida speranza quella di poter evitare la deflagrazione esibendo da un lato bombe e truppe di occupazione e dall’altra ostentando un sovrano rispetto per una “diversa fede religiosa” supposta come fatto immateriale, in sé. Anche un Bush si esercita in quest’operazione, mostrando, da Bassora a Guantanamo, da Gaza a Teheran, di che pasta sia fatto l’imperialismo e contemporaneamente giurando sommo rispetto per una sorta di Islam disincarnato. Nel piccolissimo, “noi” italiani non siamo da meno. Ad esempio, ci rifiutiamo tuttora di riconoscere i nostri crimini pregressi in Libia, ma senza mai indossare magliette offensive per un Islam disposto a chiudersi nelle moschee a salmodiare versetti coranici e basta. Diamo atto alla Lega di una cosa: è del tutto idiota supporre che le masse oppresse di Bengasi si siano rivoltate in seguito all’apparizione in tv per un minuto dell’ineffabile Calderoni. La materia incandescente esisteva già prima ed a prescindere. Si tratta, sì, di un pretesto, ma… non pretestuoso. Si tratta anche di un’azione promossa da taluni vertici del mondo islamico e non “spontaneamente” dalla base sintonizzata sulla nostra tv, ma rispondente a sentimenti e bisogni reali di massa. Anche con la complicazione di una indiretta contestazione a Gheddafi a doppia faccia (una delle quali non precisamente da accogliere in blocco). Questo giochetto non è destinato a durare a lungo. Le vignette danesi, guarda caso!, hanno dato luogo ad incendi di bandiere Usa ed assalti alle loro sedi simboliche (tipo l’“innocente” Mc Donald) nonostante l’“estraneità” Usa alla faccenda, e questo persino a Sarajevo (come da noi anticipato in passato). Quale il motivo? Fateci sopra un ragionamento. Dopo di che non stupitevi se gli incazzati islamici ci attaccheranno anche qualora noi decidessimo di pubblicare a dispense il Corano come regalo annesso ai maggiori quotidiani nazionali o ci facessimo sopra qualche bel film apologetico e “dialogante”. Si può ben predicare “siamo tutti fratelli” quando da una parte c’è l’oppressore e dall’altra l’oppresso in catene. Il futuro prossimo, perciò, non sarà determinato dal “rispetto delle regole” dell’ipocrita “apertura al dialogo multiculturale” di cui qui oscenamente si parla, ma da un preciso aut aut. O una forza comunista internazionalista riuscirà a fondere assieme la lotta antagonista degli oppressi di qui e di là (“i due pulcini spaiati di una stessa chioccia”, diceva Lenin) o prenderà sempre più corpo quello “scontro di civiltà” (imperialismo versus oppressi) che, tra i suoi necessari arsenali, avrà non solo le cannoniere, ma anche la sirena dell’“antagonismo culturale”, religioso compreso, tra due mondi “naturalmente contrapposti”, dietro cui tentare di agganciare le stesse classi oppresse interne ai paesi imperialisti in nome dei “nostri comuni valori” da difendere contro i “barbari”. Calderoni e la Lega hanno bene compreso, a tempo, il senso di questo aut aut, attrezzandovisi in anticipo, pronti a pagare uno scotto iniziale come investimento sul futuro. Feltri, intelligentemente, ha reso “onore al kamikaze padano”, sul solco della sua campagna preventiva pro-Fallaci. Questo fronte aggressivo a tutto campo è destinato in prospettiva a passare dal ghetto apparente attuale all’egemonia se non fermato a tempo da un radicale contro-programma di classe. Non inganni l’attuale stramaggioranza trasversale che blatera di “multiculturalismo”, “reciproco rispetto”etc. etc. (Notiamo, en passant, che il fascismo usava esattamente gli stessi stereotipi in Somalia e in Libia nei confronti di una pretesa religione islamica disincarnata, beninteso dopo aver fatto a pezzi a decine e decine di migliaia islamici in carne ed ossa, e ne daremo gli estremi documentari a chi ne fosse interessato.) La fosca prospettiva che indichiamo (sempre condizionata dall’emergere o meno della nostra materiale controrisposta) ha già oggi crescenti pezze d’appoggio concrete su cui marciare. L’attacco “islamico” a intere comunità cristiane, col risultato anche di decine di morti, giustifica, agli occhi della propaganda imperialista, l’argomento: ma come?, noi “vi rispettiamo” al punto da condannare caricaturisti danesi e caricature leghiste, e voi ci ammazzate i nostri? A parte che le “comunità cristiane” che operano in Africa e nel mondo islamico sono inserite in una struttura di potere internazionale che, da cinque secoli, ha giustificato e preso parte attiva alla colonizzazione, al genocidio e alla schiavizzazione compiuta dal capitalismo in Africa e nel resto del Sud e che oggi è parte attiva della politica di neo-colonizzazione. (Tanto per dire, ricordiamoci l’unzione sacra e poi la partecipazione delle istituzioni cristiane alla tratta dei neri oppure il ruolo svolto dalla gran parte delle missioni cristiane in Oriente nella vivisezione della Cina nell’ottocento e nel primo novecento o il sostegno che la Chiesa di Roma diede alle aggressioni coloniali italiane in Libia e nell’Africa orientale o ancora, in anni più recenti, la mano avuta da Santa Madre Chiesa di Roma nella disgregazione della “ex”-Jugoslavia...) A parte questo, riconosciamo anche noi che non pochi tra gli appartenenti alle comunità cristiane prese nel mirino possano essere individualmente incolpevoli e, a loro modo, vittime di uno scontro “insensato”. Ma questo perché accade? Perché tra i due pulcini di cui sopra, oppressi di qui ed oppressi islamici, non si riesce a gettare un ponte e la furia (sacrosanta) anti-occidentale di là, lasciata sola, sbaglia obiettivo nell’intento di “riconoscersi unitariamente come fronte unitario ed esclusivo degli oppressi” (salvo, magari, non attaccare, come si dovrebbe, i propri quartieri generali borghesi “islamici”). Anche in questo caso non si può far parte di una gerarchia intrecciata con mille fili a quella imperialista con capitale a Washington (pur se con Washington in contrasto talvolta sui modi di esercitare il dominio occidentale sul Sud e l’Est del mondo), non si può dissolidarizzare dalla necessità di una resistenza non solo a parole contro questa oppressione (che non vuol dire accodamento ai partiti e alla prospettiva islamici) e, nello stesso tempo, pretendere di essere considerati dagli oppressi del mondo islamico per le buone intenzioni individuali e le buone opere che “concretamente” si compiono e senza che la popolazione islamica veda queste stesse opere come “cerotti” per far meglio avanzare l’opera di civilizzazione portata avanti dai grandi poteri capitalistici. Dicendo questo non la facciamo affatto facile. Anzi, siccome non siamo dei demagoghi, diciamola chiara: se da quei paraggi ci fossero dei comunisti internazionalisti forzatamente isolati dalla massa islamica in rivolta, la loro sorte probabilmente non sarebbe migliore, ed anzi forse peggiore, di quella delle suddette comunità cristiane (anche se per motivi opposti, perché colpevoli del tentativo di portare nella mobilitazione di massa un indirizzo di lotta contro l’imperialismo che congiunge la resa dei conti con le potenze occidentali e i loro multiformi tentacoli di rapina e oppressione con quella contro le classi sfruttatrici islamiche locali). Nelle condizioni attuali del conflitto di classe a scala internazionale questo è uno scotto che tocca anche a noi pagare, parallelo a quello vissuto qui in Occidente, dove le cristiane metropoli imperialiste non risparmiano mezzi (lasciando da parte, almeno per il momento, quelli violenti) per far sentire estranee alla massa dei lavoratori (contro i loro stessi interessi) le “ragioni” dell’internazionalismo e della fratellanza di classe o per farla mobilitare contro di esse e contro coloro se ne fanno sostenitori, quando questi ultimi non si limitino a pure petizioni di principio ma tentino di farle vivere con una linea d’intervento politico tra la massa dei proletari e in vista di una lotta di massa contro il “proprio” imperialismo. Noi, comunisti internazionalisti, ci facciamo carico anche di queste situazioni, che ci lacerano le viscere. Ma lo facciamo a modo nostro, nella prospettiva di una fratellanza di classe, al di sopra (e nel rispetto vero) delle varie “fedi”, che non potrà affermarsi fin tanto che da qui non parta una rottura di fondo rispetto al “nostro” imperialismo. I “folli islamici” del 1920 poterono, a Baku, sotto la direzione dell’Internazionale Comunista, trovarsi assieme a “folli cristiani” dietro le bandiere… folli della rivoluzione mondiale comunista. Lì, e solo lì, si ebbe una autentica multiculturalità legata ad una autentica monocultura: quella rivoluzionaria, comunista. L’unico antidoto alle magliette alla Calderoni stanno in magliette, cuori e muscoli, che affermino davvero l’unità degli oppressi dietro quell’unico programma, quell’unica organizzazione. Tutto il resto è chiacchiera destinata a bruciarsi d’un lampo, e ne abbiamo già avuto un assaggio nella rivendicazione, per quanto “rispettosa dei diversi”, degli “arretrati”, per cui giornali e riviste non certo destrorse, da Libération a Charlie Hebdo, con incursioni sin nel manifesto, hanno pensato bene di farsi paladini dei “nostri” supremi valori della libertà di stampa per difendere il diritto di “chiunque” ad esprimersi come meglio gli aggrada. Noi, i civili. Talmente civili che se la nostra stampa irride ai “valori cristiani”, anche in modo estremamente rude (basti scorrere le pubblicazioni satiriche che un tempo diffondeva l’Unità), non ci facciamo neppure caso, perché sappiamo benissimo che non esistono valori fuori portata d’irrisione… salvo quelli capitalisti. Qui da noi non ci sono mai state masse cristiane che dessero l’assalto a Tango e Cuore, perché lo sappiamo benissimo che non abbiamo altro dio che Mammona, e questo è l’unico inattaccabile.
23 febbraio 2006 |
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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