Iran: l’Ulivo va alla guerra.

A quando una iniziativa contro la guerra? 

 

La manifestazione del 3 novembre a Roma indetta da Giuliano Ferrara per Israele e contro l’Iran è stata un’iniziativa politica di rilievo. Per due ragioni. Perché ha dislocato l’Italia in primissima fila nella mobilitazione preparatoria di azioni di guerra contro l’Iran; e perché ha trascinato d’un sol colpo la quasi totalità dell’Ulivo (con qualche timido distinguo di Bertinotti) su questo fronte.

Con una energia ed un tempismo magistrali il direttore del Foglio ha colto la palla al balzo dell’esternazione, peraltro rituale, di Ahmadinejad per spazzare via i fumosi accenni “pacifisti” dello stesso Berlusconi circa la guerra all’Iraq (“ho sconsigliato Bush dal farla”) ed inchiodare sulla “linea della fermezza” anti-islamica, senza se e senza ma, sulla linea della guerra all’Iran, sia il proprio polo che il centro-sinistra. Nessuno tocchi Israele! Viva Israele! Viva la libertà (di Israele)! Non ricordavamo da tempo manifestazioni così categoriche nell’affermazione dell’intangibile diritto di Israele, e dei protettori e finanziatori di Israele, “noi” Italia in prima fila questa volta, a dettare legge in Medio Oriente e ad imporla con la forza a quanti osino obiettare alla legittimità storica di uno stato che lo stesso Herzl definì in termini schiettamente colonialisti come “un avamposto della cultura contro la barbarie[1], e che in tutta la sua storia non ha fatto altro che confermare tale sua vocazione originaria.

Si dirà: che c’è di nuovo? I manifestanti e i mass media che ne hanno enormemente amplificato il messaggio non sono sempre stati a favore dell’esistenza dello stato di Israele? Vero, ma di nuovo c’è, perfino a destra, e tanto più nel centro-sinistra, il carattere esplicitamente incondizionato di tale schieramento. Finora la difesa di Israele era andata di pari passo, o quasi, con la parallela affermazione della necessità di dare una qualche soddisfazione anche alle aspirazioni nazionali dei palestinesi. Non si può dire si mettessero realmente le due “necessità” sullo stesso piano, ma non si era mai arrivati ad affermare in modo così categorico: la difesa dello stato di Israele da ogni forma di minaccia (anche di tipo meramente verbale e retorico quale quella di Ahmadinejad) è la pre-condizione assoluta di ogni possibile soluzione della questione palestinese, ed i primi a doverlo accettare con zelo debbono essere proprio i palestinesi, chiamati alla completa distruzione delle loro organizzazioni più militanti nella lotta contro l’occupazione. Di più: chiamati a diventare anche fuori dai territori gli agit-prop della libertà incondizionata dello stato che li opprime. Ed è veramente notevole che questo avvenga all’indomani della costruzione del muro dell’apartheid, che espropria una bella quota dei territori palestinesi del 1967, e mentre continuano le esecuzioni mirate in serie di capi di Hamas e Jihad islamica nonché altre ordinarie uccisioni di palestinesi “comuni”, bambini inclusi, e perfino la stessa road map, vera e propria via dell’umiliazione per i palestinesi, è bloccata da parte del governo Sharon. “Nessuno tocchi Israele” acquista così il significato sinistro di “Israele può toccare chiunque”, e nessuno deve permettersi di fiatare! Tant’è, certi esponenti del sionismo italiano sono arrivati a promettere schedature ed esami per quanti, perfino nel campo istituzionale, non hanno aderito alla dimostrazione pro-Israele. E si sa bene che tali promesse di liste di proscrizione (sole giustificazioni ammesse, e non stiamo scherzando: essere malati o trovarsi all’estero, gli altri saranno tutti “tenuti sotto osservazione”) non sono campate in aria.

Ma c’è anche un’altra novità. Ed è il tono esplicitamente bellicista che ha accompagnato e seguìto la manifestazione, la richiesta aggressiva di misure di rappresaglia, per ora soltanto diplomatiche, contro l’Iran, ma –è noto- ogni percorso di guerra comincia sul piano diplomatico, ed è altrettanto noto che Israele e gli Stati Uniti stanno da tempo predisponendosi a colpire militarmente l’Iran. Non vogliamo dire, con ciò, che non si siano imbastite, anche in pubblico, azioni volte ad ammorbidire i toni. Però lo strappo, rispetto alla stessa non partecipazione diretta dell’Italia all’ultima aggressione all’Iraq nelle prime fasi della guerra, c’è stato, e ha riguardato in modo tutto particolare l’Ulivo. Per lo scontro futuro con l’Iran l’Italia, almeno l’Italia di Ferrara e di Fassino, non sarà defilata, anzi vuole essere una protagonista di prima fila nella schiera degli oltranzisti che non accettano alcun “brindisi” con i “criminali”. Perché si tarda a convocare l’ambasciatore iraniano? perché Berlusconi ha brindato con il reprobo alla “pace dei popoli”? perché “il governo italiano non ha fatto sentire la sua voce chiara e forte” contro il programma nucleare iraniano? perché l’ambasciatore italiano in Libano si è permesso di incontrare il ministro dell’energia libanese che è un membro di Hezbollah, “un’organizzazione terroristica”? Forse penserete si tratti del direttore di “Libero” o de “il Foglio”; errore, è il direttore de “l’Unità” (3 novembre), che arriva a complimentarsi con Calderoli, sì, sì proprio lui, il campione del più schifoso razzismo anti-immigrati, per la sua proposta “spavalda e virile” di ritirare immediatamente il nostro ambasciatore dall’Iran… Ecco dove e come finisce, con l’approssimarsi al “dunque”, il “pacifismo” dell’Ulivo e la sua critica delle “avventure belliche” di Berlusconi. Ecco il reale programma di politica estera dell’Ulivo, o Unione che dir si voglia. Che del resto, prima ancora del 3 novembre, Prodi si era premurato via via di precisare: non andremo via dall’Afghanistan, non andremo via dai Balcani, non faremo come Zapatero in Iraq (e del resto non ha detto lo stesso Berlusconi che entro il 2006 ritireremo tutti i soldati?) ma ci daremo da fare per ritornarvi il prima possibile, non faremo sconti a Putin, saremo un alleato veramente “fedele ed affidabile” degli Stati Uniti… Gente del 15 febbraio 2003, gente di Assisi 2005: esageravamo “come al solito” quando vi mettevamo in guardia dal dare credito alle fandonie sull’Italia e sulla Europa “di pace” alternative agli Stati Uniti e dal conferire mandati politici per la “pace” a dei simili rappresentanti?

Il 3 novembre a Roma Bertinotti non c’era (anche se a Milano l’omologa manifestazione il locale segretario di Rifondazione non se l’è voluta perdere). Non c’era perché a suo parere solo con “due stati e due popoli” si possono “disinnescare le tensioni” in Medio Oriente. Tuttavia gli piace molto l’idea di andare in piazza con Ferrara perché bisogna “sparigliare la scena. Uscire dall’arroccamento reciproco per aprire un confronto. Rilanciare una sfida in campo aperto fuori dai vecchi reciproci schemi” (“la Repubblica”, 31 ottobre). Insomma, fare “la mossa del cavallo”. L’uomo ha in mente un’azione a sorpresa. E non ce la fa a tenersela neppure un solo giorno. Riguarda la Cina. Vi andrà a dicembre e medita di fare un “beau geste”: attaccare Pechino per la sua violazione dei diritti umani, per il suo liberismo, per la pena di morte, sostenere l’embargo della vendita di armi alla Cina e forse attaccare l’ammissione della Cina nel WTO (La repubblica, 1 novembre). Una denuncia a buon mercato dei diritti violati dei lavoratori e del liberismo (che è poi la politica di riferimento degli alleati Rutelli, Amato, etc. con cui ci si prepara a governare), salvo non alzare foglia per organizzare le decine di migliaia di lavoratori cinesi supersfruttati presenti in Italia, e la sostanza che conta: impegnare Rifondazione in prima fila nella campagna –di pace?- contro Pechino. Mettere la Cina nel mirino: che sia proprio questo il terreno del futuro, programmato incontro in piazza con i Ferrara e la sua bella compagnia? Scusi, onorevole: non si tratta del medesimo bersaglio strategico dei vituperati Stati Uniti di George W. Bush e soci?

Purtroppo sono state pochissime le voci che si sono staccate dal coro pro-Israele o, comunque, di tono bellicista. La più significativa, senz’altro, è stata quella dei Cobas, che hanno qualificato come “disgustosa” l’adunata organizzata dalla “lobby filo-israeliana”, ne hanno denunziato energicamente il carattere guerrafondaio e le impudenti falsificazioni che ne stanno alla base, e vi hanno visto una sorta di dichiarazione solenne da parte del centro-sinistra di abbandono del popolo palestinese alla “cancellazione di ogni possibilità di avere uno Stato palestinese indipendente”. Tutto giusto e ben detto. Ma, compagni, a quando una manifestazione contro la guerra all’Iran? a quando la ripresa della mobilitazione contro la guerra all’Iraq e della solidarietà militante al popolo palestinese più che mai vessato da Israele? a quando una chiara presa di distanze da certo militantismo “di sinistra” anti-cinese, anch’esso di natura bellicista?

 

22 novembre 2005


 

[1] Cfr. T. Herzl, Lo stato ebraico, Il Melangolo, 1992 (1896), p. 41. Herzl è il capo riconosciuto del movimento sionista. In questo testo si discute, e la questione resta aperta, se lo stato ebraico debba essere fondato in Palestina o in Argentina.



 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista