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CONTRO LA REPRESSIONE SUI LAVORATORI IMMIGRATI
La morte di tre africani avvenuta a Torino negli scorsi mesi in seguito a diverse operazioni di polizia, gli sgomberi di caseggiati occupati da lavoratori “stranieri” a Bologna, la cacciata dalle principali strade e stazioni metro della capitale degli immigrati che per sopravvivere sono costretti a praticare il piccolissimo commercio ambulante, la campagna contro “l’albanese” ed “il rumeno” partita in grande stile dopo i fatti di Milano e Varese e le continue espulsioni verso la Libia, sono tutti fatti e segnali che evidenziano l’inasprirsi del clima repressivo contro i lavoratori immigrati.
E proprio contro questo clima di montante razzismo istituzionale ed extra-istituzionale a Roma si sono svolte due piccole, ma significative iniziative. · Domenica 5 giugno si è tenuta una manifestazione indetta dal Comitato Immigrati. Anche se dal punto di vista prettamente numerico la partecipazione è stata alquanto contenuta (cosa abbastanza prevista dagli organizzatori), dal punto di vista politico la manifestazione si è rivelata utile e positiva soprattutto a causa del fatto che ad essa hanno partecipato unitariamente lavoratori di dieci diverse nazionalità. Il corteo, composto da circa duecentocinquanta lavoratori ha attraversato il quartiere Esquilino (una delle zone a più alta densità di immigrati della capitale) lanciando slogan e producendo continui comizi nelle varie lingue. · Sabato 25 giugno l’associazione dei lavoratori albanesi Illiria ed il Comitato Immigrati hanno indetto un sit-in in Piazza della Repubblica contro l’utilizzo strumentale dei fatti di Varese finalizzato alla criminalizzazione di massa dei lavoratori immigrati. Il sit-in ha visto la presenza di una cinquantina di immigrati e durante il suo corso sono stati tenuti alcuni interessanti comizi di denuncia. Anche in questo caso non ci si aspettava assolutamente una presenza oceanica, ma, giustamente si è deciso lo stesso di dar corso all’iniziativa proprio mentre a Varese (e non solo) si respirava un clima da “caccia allo straniero”.
Abbiamo evidenziato la contenuta partecipazione numerica alle due iniziative non certo per sminuirle, ma anzi per sottolineare come in un momento di effettiva difficoltà del movimento degli immigrati (che in buona parte è frutto della più ampia difficoltà in cui verte il generale movimento dei lavoratori) sia stato giusto portare nelle strade, anche se in numero ristretto, la tematica della lotta contro la repressione ed il razzismo. E come, sul tema, sia stato giusto tentare di parlare anche ai lavoratori italiani (la manifestazione del 5 giugno è stata infatti appositamente propagandata con volantinaggi in mercati popolari frequentati tanto da immigrati, quanto da italiani). Il razzismo (e la repressione ad esso connessa) è infatti un’arma rivolta (a gradazioni differenziate) contro l’intero proletariato. Il razzismo non è un dato casuale, legato a questo o a quel governo (anche se ovviamente le forme che assume possono anche dipendere dalla specificità di ogni compagine governativa): per le nazioni imperialiste (Italia inclusa) è un fenomeno strutturale e necessario. Per suo tramite si tenta di deviare e canalizzare contro lo “straniero” la rabbia ed il malcontento che iniziano ad emergere in settori (soprattutto giovanili) popolari e proletari di fronte al costante peggioramento delle proprie condizioni di vita e lavoro. Attraverso esso si punta a legare a politiche nazionalistiche e guerrafondaie (Jugoslavia, Somalia, Iraq…) ampi strati di popolazione autoctona sfruttata e si mira gerarchizzare, dividere, stratificare contrapporre e, quindi, indebolire, i diversi settori del mondo del lavoro, di impedirne ogni avvicinamento ed ogni comune organizzazione. Per questo la battaglia contro il razzismo interessa certamente in primissima persona (e ci mancherebbe!) gli immigrati, ma deve cominciare ad essere vissuta come propria anche dai lavoratori autoctoni.
I governi ed il padronato dei paesi occidentali temono che tutto ciò possa iniziare ad accadere, ed ecco quindi le continue (ora aperte, ora velate) campagne razzistiche portate avanti dai mezzi di comunicazione. Campagne che mirano a coinvolgere in prima persona proprio i lavoratori italiani e a cui bisogna e si può rispondere solo con un’adeguata politica di classe, politica che purtroppo all’oggi è quasi sempre assente. Prendiamo il caso della ragazza milanese violentata da un gruppo di rumeni. La violenza sessuale è senza dubbio uno dei crimini più odiosi e vigliacchi che possano esistere. Ma si dà il fatto che la stragrande maggioranza (anche in termini relativi e percentuali) delle violenze sessuali in Italia sia commessa da italiani e, per di più, spessissimo all’interno del nucleo familiare. Oppure prendiamo il caso di Varese. Due albanesi accoltellano ed uccidono in circostanze poco chiare un giovane del luogo. Anche qui si tratta di un crimine odioso. Ma anche in questo caso si dà il fatto che la stragrande maggioranza di tali crimini nel “bel paese” sia commessa da cittadini italiani. Ebbene, di fronte all’odiosa campagna razzista montata a partire da questi due episodi, cosa ha detto la sinistra e la parte più in vista del cosiddetto “universo anti-razzista”? Nel “migliore” dei casi ha citato i dati che dimostrano come i crimini siano innanzitutto commessi da italiani per poi invocare una “cultura della tolleranza” da contrapporre “all’intolleranza di stampo leghista”. Il tutto, ovviamente, senza spendere una sola parola sugli stupri e sugli assassini di massa che il “nostro” Occidente compie quotidianamente sulla pelle dei popoli del Sud del mondo e che sono l’altra faccia (quella più brutale) di quella stessa guerra di classe che il capitalismo porta ogni giorno anche contro i lavoratori italiani ed occidentali.
Ebbene, bisogna dire chiaramente che per questa strada non si farà altro che (quand’anche fosse involontariamente) favorire la penetrazione del veleno razzista proprio tra gli strati popolari e proletari. Cosa significa infatti invitare alla “tolleranza” un giovane precario, un giovane disoccupato o un lavoratore che quotidianamente rischia il posto di lavoro e che allo stesso tempo vede crollare, una dopo l’altra, tutta una serie di garanzie sociali e ridursi al lumicino le prospettive per il futuro? Tollerare significa sopportare. Orbene, di fronte all’invito a sopportare passivamente un presente ed un futuro sempre più schifosi, l’illusoria, falsa e suicida prospettiva di risolvere qualcosa scagliandosi contro l’immigrato “che ci fa concorrenza sul lavoro e si prende le case”, non può che avere sempre più successo. A tutto ciò si può iniziare a reagire solo ed esclusivamente iniziando a chiamare i proletari (a partire da quelli autoctoni) a mettere in campo una vera e reale intolleranza di classe. Altro che sopportazione! La rabbia “sorda” che comincia a covare nelle periferie delle aree metropolitane e in tanti luoghi di lavoro deve essere rafforzata, organizzata e, soprattutto, deve essere indirizzata contro i reali responsabili del degrado delle nostre vite: i nostri padroni, i nostri governi. Solo attraverso una simile (e tutt’altro che “facile”) politica si potrà fermare la penetrazione del veleno razzista nel sangue del proletariato italiano ed occidentale e solo così si potrà costruire il terreno per una comune organizzazione ed una comune lotta tra lavoratori autoctoni e lavoratori immigrati contro il galoppante degrado generale prodotto dal capitalismo.
· PER L’UNITA’ TRA PROLETARI IMMIGRATI ED ITALIANI CONTRO IL GOVERNO E LA SUA POLITICA “INTERNA” ED “ESTERA” · CONTRO LA LEGGE RAZZISTA BOSSI-FINI E CONTRO OGNI RITORNO ALLA TURCO-NAPOLITANO · PERMESSO DI SOGGIORNO SENZA CONDIZIONI E PIENI DIRITTI PER TUTTI GLI IMMIGRATI · CHIUSURA IMMEDIATA DI TUTTI I C.P.T. · STOP ALLE ESPULSIONI
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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