Da La Repubblica 25 giugno 2005

 

“Ahmadinejad sta vincendo

conservatori in testa in Iran.”

 

Secondo una fonte  del ministero egli interni “Ahmadinejadè nettamente in vantaggio e sembra essere il vincitore”. Ma è ancora presto per avere una visione chiara: subito dopo la chiusura dei seggi si sono diffuse voci contraddittore e, in pratica, entrambi i candidati si sono dichiarati vincitori.

Tutta la strategia del regime per riprendere il controllo del paese dopo la sfida lanciata dai riformatori al sistema teocratico è racchiusa in queste parole: “Bisogna ritornare alla Rivoluzione islamica” è stata la parola d’ordine sussurrata nei segreti delle moschee, nelle riunioni dei pasdaran e dei basiji, nelle cerimonie delle migliaia di organizzazioni collegate alle fondazioni religiose; e subito divampata tra la popolazione come un fuoco d’estate. La rivoluzione islamica del 1979 cominciò come la rivincita degli emarginati contro le insopportabili differenze di classe, e contro la corruzione delle èlites. La grande maggioranza della gente che partecipò allora alle manifestazioni che portarono alla caduta dello Scià ignorava tutto della dottrina di Komeini sul “governo del giurista islamico” e vedeva semmai nel riferimento all’Islam un semplice elemento di moralizzazione della politica. Ventisei anni dopo, è stata di nuovo la marginalizzazione delle classi più basse, che non partecipano in alcun modo alle spettacolari ricchezze petrolifere, a fornire al leader Khamenei, lo strumento per bloccare il processo di riforme. Ripercorrendo la ezione imparata da Khomeini.

Ahmadinejad si è presentato come l’uomo che manterrà le promesse della rivoluzione. Ha annunciato una redistribuzione dei proventi petroliferi nelle tasche di tutti, e una ripresa delle nazionalizzazioni.

“Hanno battuto sul tasto della vendetta” dice un ingegnere che racconta di aver visto crescere in questi giorni tra gli operai un odio di classe che fino a poco fa non c’era o non veniva espresso.

Secondo molte testimonianze ci sarebbe stata nei diversi luoghi di lavoro una infiltrazione capillare di persone che hanno fomentato il risentimento dirigendolo verso un voto  per Ahmadinejad. E’ impossibile trovare riscontri, ma è vero che in pochi giorni il clima è cambiato, i toni della gente sono più rancorosi. Con chiunque si parli per la strada – tassisti, facchini, impiegati lavoratori edili o piccoli negozianti’ tutti con stipendi che non bastano per arrivare in fondo al mese con i prezzi della carne, della frutta, degli affitti in aumento ogni giorno – il commento è sempre lo stesso: “in questi venticinque anni io sono rimasto povero come prima. Non ho una casa, non poso far sposare mia figlia perchè non posso darle una dote. Mio figlio è disoccupato. Ma inshallah ora con Ahmadinejad  le cose cambieranno”.

“Voto per Ahmadinejad perchè taglierà la mano di chi ruba le ricchezze del nostr paese” ha detto una ragazza avvolta nel chador in un seggio del quartiere di Shush, nel sud di Teheran.

“Si diceva che i ricchi non devono abusare della loro posizione, e invece alla tv ho visto Rafsanjani che vive in un palazzo. Ahmadinejad sa cosa vuol dire essere poveri. Chi non ha mai avuto fame invere non lo sa” ha detto una signora che si è qualificata come “madre di un martire”

A prima vista non sembrerebbe che in Iran si possa parlare di crisi economica. Le risorse straordinarie di petrolio e di gas, molte delle quali ancora da sfruttare, producono da anni immensi guadagni, attraggono investimenti stranieri e forniscono all’industria quantità illimitate di energia a buon mercato. Ma lacrisi era visibile da tempo. L’Ayatolah Taheri un religioso molto stimato, scrisse tempo fa una lettera aperta al presidente Katami per denunciare “l’infernale distanza tra povertà e ricchezza: la disperazione, la disoccupazine, l’inflazione, i prezzi in continua crescita, la corruzione dei burocrati”.

Rafsanjani, che si è candidato su una piattaforma opposta, di sviluppo economico fatto di privatizzazioni e di aperture al capitale occidentale, ha promesso all’ultimo minuto di distribuire alla gente le azioni delle compagnie petrolifere e di fissare per legge un sussidio di disoccupazione per chi perde il lavoro. Ma per troppi anni l’ex presidente è stato personalmente il simbolo dell’arricchimento, del nepotismo, dei privilegi. “Intendo svolgere un ruolo storico, quello di fermare l’estremismo” ha detto dopo aver deposto la scheda nell’urna. Rafsanjani ha i consensi di una coalizione eterogenea fatta di riformatori, di intellettuali, di uomini d’affari, di persone che nei 26 anni della Repubblica islamica non erano mai andati a votare e ora temono un ritorno ai codici più rigidi dell’islamismo komeinista.

Ma è difficile capire quanta gente si sia decisa a votare per lui.

I riformatori, che non l’anno mai amato, più che un voto per lui chiedono un voto contro Ahmadinejad. E’ non è mai facile convincere la gente a votare “contro” qualcuno. Soprattutto a Teheran, dove tra gli insofferenti della teocrazia c’è anche una corrente che teorizza il “tanto peggio tanto meglio”: se viene Ahmadinejad, dicono il paese andrà alla rovina e alla fine il sistema teocratico esploderà.

Il  risultato del ballottaggio si saprà in giornata. Ma quanto il confronto sia teso e serrato lo ha dimostrato l’alta affluenza alle urne: sia nei quartieri poveri di Teheran che votavano compatti per il sindaco, sia nelle zone residenziali di Teheran nord. L’orario di chiusura dei seggi è stato esteso di tre ore fino alle dieci di sera. Il ministero dell’interno ha denunciati intimidazoni e irregolarità in almeno sei seggi a Teheran e minacciato di chiuderli. Ma il Consiglio dei Guardiani, che ha poteri di veto sugli atti del ministero, ha minimizzato le denuncie e escluso qualsiasi arresto delle operazioni di voto. “Da numerose sezioni elettorali, abbiamo ricevuto denuncie che segnalavano l’interferenza di persone, la cui presenza nei seggi non era prevista”, ha detto Jahanbakhsh Khanjani,il portavoce del ministero dell’interno. Un direttore del ministero e un rappresentante del governo sono stati malmenati  e arrestati, ha detto il portavoce. Lo stesso è accaduto a osservatori del campo di Rafsanjani quando hanno contestato delle irregolarità al voto.

In alcuni seggi i basiji hanno inoltre impedito di votare a donne che non erano vestite secondo i canoni Komeinisti.

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista