L’Iraq di Chirac

 

Per tutto il periodo che ha preceduto l’aggressione militare occidentale all’Iraq fino al ritiro della Spagna di Zapatero dal territorio iracheno, il destro Chirac veniva presentato da una parte dei DS, da Rifondazione e dalla Cgil, come esempio di democrazia, paladino della diversità sostanziale dell’Europa.

Balle! Non è così. Non è mai stato, nella storia, così. Non ricordiamo qui la storia secolare del colonialismo italiano, spagnolo e francese, per la quale rimandiamo ai numeri precedenti del giornale. Per restare al solo caso francese e alle sole ultime vicende basta ricordare quanto accaduto negli ultimi anni in Costa d’Avorio.

Cosa sta succedendo in Africa e cosa ci fanno le truppe francesi in Costa d’Avorio?

 

Treviso, le iniziative dei lavoratori immigrati dalla Costa d'Avorio contro l'aggressione francese al loro paese

 

Nel vivo degli scontri in Costa d’Avorio abbiamo partecipato ad iniziative promosse ed organizzate dagli immigrati provenienti dalla Costa d’Avorio.

La città di Treviso, dove vivono circa quattrocento ivoriani, è stato il luogo dove si è svolta una piccola (numericamente) manifestazione, nella quale oltre alla denuncia del ruolo d’aggressione politica e militare del governo francese e dell’Onu, veniva espressa la solidarietà alla lotta del popolo iracheno. Allo stesso tempo forte era l’illusione che affidandosi ad altri stati come gli Usa o l’Italia si possano creare rapporti più vantaggiosi. Di seguito riportiamo una parte della relazione introduttiva dell’assemblea organizzata da un gruppo di ivoriani al termine della manifestazione.

[…] La costa d’Avorio è un paese con grandi risorse: primo produttore mondiale di cacao e di tonno, terzo produttore mondiale di caffè. Tra le altre risorse ricordiamo l’estrazione di diamanti, oro, uranio e ultimamente la scoperta del petrolio.

Questo quadro di prosperità, pace e tolleranza, dove le famiglie vivevano in armonia è durato fino al 1999, anno che purtroppo ha visto il primo colpo di stato che ha innescato una situazione che ancora oggi sembra non trovare soluzione.

Spesso si dice che dividere la gente serve a governare meglio i paesi, e purtroppo questa strategia politica è ciò che si è realizzato nel continente africano: l’Occidente e la mafia internazionale, per sfruttare le ricchezze dell’Africa e vendere armi,  aizzano i popoli a combattere uno contro l’altro.

Per loro i veri popoli non sono più l’ivoriano, il liberiano, il congolese, il ghanese, o togolese ecc…, ma piuttosto l’oro, il diamante, il legno, il petrolio e tutte le altre materie prime che servono alla logica dell’economia dei paesi ricchi, trascinando capi di stato pronti ad essere al servizio dei potenti per avere vantaggi personali a scapito del bene del proprio popolo, come si faceva ai tempi della schiavitù. Diciamo NO a nuove forma di colonizzazione. Chiediamo alla stampa più costanza e più neutralità nel dare informazioni e notizie.

Quanto sta avvenendo in questo paese ha radici profonde e può essere utile volgere un breve sguardo all’indietro, utile per comprendere meglio quello che la stampa borghese definisce cronaca: ossia l’oggi.

La Costa d’Avorio ha ottenuto l’indipendenza formale dalla Francia nel 1960 insieme al Dahomey, l’Alto Volta ed il Niger. Nei fatti la Costa d’Avorio ha sempre mantenuto negli anni che seguono rapporti di “collaborazione” (in realtà di dipendenza) stretta con le grandi società francesi e con i coloni residenti. Già nel ‘56 la politica di “collaborazione” avviata negli anni ‘50 da Felix Houphouët-Boigny, basata proprio su questi vincoli, garantì al paese una produzione pari al 44% dell’esportazione dell’intera Africa occidentale francese.

Il delfino di Houphouët-Boigny, Konan Bédié del Partito Democratico della Costa d’Avorio, corrotto, poco amato dal popolo ed al potere già da tanto tempo, nel 1999, venne spodestato da un colpo di stato da parte del generale Robert Guei.

Il generale indisse le elezioni presidenziali dieci mesi dopo convinto di vincerle. Gli altri candidati erano: Bédié e Ouattara del Rassemblement Démocratique Républicain, liberista, vicino alle istituzioni internazionali (è stato il direttore aggiunto del Fmi, ha introdotto la carta di soggiorno per gli immigrati), e Laurent Gbagbo del Fronte Patriottico Ivoriano.

La corte suprema annullò le candidature di Bédié per corruzione e quella di Ouattara per “problemi di nazionalità” (i suoi genitori non erano entrambi della Costa d’Avorio). Venne eletto Gbagbo, il quale si insediò il 22 ottobre 2000 con il sostegno attivo di larghi strati popolari, la cui attivizzazione lo costringe a portare avanti il programma di assicurazioni per la malattia, le politiche sociali per la casa, il programma per l’istruzione allargata a tutti gli ivoriani (ne sono restati esclusi gli immigrati che rappresentano il 26% della popolazione).

Nel 2001 Gbagbo decise di aprire il mercato delle sue merci al miglior offerente. Chi l’ha spuntata?
In Costa d’Avorio gli interessi francesi rappresentano un terzo degli investimenti esteri. Nel settore bancario dominano la Société Genérale, la Bnp, il Crédit Lyonnais. In ogni ministero c’è lo zampino di consulenti di grandi gruppi francesi, come Bouygues, Bolloré, Edf, Saur, abituati a vedersi assegnati i contratti senza affrontare la concorrenza internazionale.

Gbagbo ha scavalcato l’esclusiva francese, ha dato avvio ad una serie di progetti economici aprendo agli Stati Uniti nel settore del cacao (Cargil, Adm) e alla Cina per la costruzione del terzo ponte di Abidjan (la cui proposta è due volte meno cara rispetto al progetto francese) e ha minacciato inoltre di non rinnovare le concessioni dell’acqua e dell’elettricità alla società Buoygues. Una sorta di tentativo di “decolonizzazione” dallo strapotere francese a vantaggio di altri capitalismi più forti e dinamici.

Nel settembre 2001, mentre Gbagbo era in Italia, un movimento “ribelle” (che contava poche centinaia di uomini), il Movimento Patriottico della Costa d’Avorio, guidato da Alessane Ouattara, ha tentato un colpo di stato, attaccando contemporaneamente le città di Abidjan, dove è stato fermato, e a nord la città di Bouaké, dove è riuscito a prendere il controllo.

A questo punto la Francia ha lanciato l’operazione Liocorno con quattromila uomini provocando la divisione del paese in due. Cinque mesi dopo una risoluzione dell’ONU ha legittimato e dato pieni poteri a questa missione, sancita dall’invio di seimila caschi blu al suo comando, mentre Ouattara è portato al sicuro al centro del vecchio impero.

In Francia, a Marcoussis, nel gennaio 2003 hanno luogo gli incontri tra le parti in conflitto che produrranno gli accordi omonimi. Con essi viene congelata temporaneamente “la guerra civile” e si sancisce la divisione in due del paese: il sud alle forze di Gbagbo e il nord ai “ribelli”. Accordo premio per i “ribelli” che hanno impugnato le armi, con l’appoggio dei paesi stranieri; ed un cappio al collo alla politica di apertura alla “libera” concorrenza capitalistica lanciata dal presidente.

Gbagbo è costretto ad accettare e firma l’accordo di Accra, svoltosi in Ghana. L’accordo prevede il disarmo delle milizie ivoriane e in particolare dei ribelli del MPCI, ora chiamati Forces Nouvelles e l’impegno, da parte del presidente, di modificare la costituzione per permettere a Ouattara di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali. L’accordo entra in vigore il 15 ottobre 2004, ma non viene rispettato, con accuse reciproche da parte di entrambi i fronti. 

Africa: terra di ri-conquista 

È chiaro, dai fatti finora richiamati, come lo scontro che si svolge in Costa d’Avorio sia diretto da una doppia regia. Da una parte gli Stati Uniti, dall’altra la Francia.

Esso si combatte almeno su tre fronti complementari.

 

Primo. Rafforzamento della presenza militare occidentale in loco.

Dopo la sconfitta subìta in Somalia (9 dicembre 1992 - 31 marzo 1994) e la rinnovata ostilità di ritorno da parte delle masse sfruttate arabo-islamiche, gli Usa hanno lanciato un’offensiva a tutto campo all’intero continente africano. Quella che era chiamata la “Chasse Gardée” francese rischiava di staccarsi dalla sua influenza. L’imperialismo francese ha cercato di rispondere nonostante i tempi della “Grandeur” siano finiti… e da un pezzo!

 

RISPOSTA

 

Nei kraal insalubri dai risvegli lugubri

ho respirato i profumi avvelenati

dei vostri fiori appassiti

ma non sono morto.

Nella mia grande città assediata

dove brillano le vostre false luci

ho camminato senza bandiera

nei bagni di sangue,

del mio sangue ignorato

 

mio malgrado,

ho indossato la collana di perle istoriate

dal bagliore ingannevole che mi ha disorientato

e che vi ha insediato.

 

Mute di avvoltoi rapaci

che avete asservito la mia razza per imporre la vostra,

vi ho alla fine stanato

dietro il paravento menzognero.

 

Fratello mio appeso

di traverso al palo di tortura,

ho subito il disprezzo senza misura

nell’aria nociva

 

e nel flutto delle vostre attenzioni simulate,

ho gridato, gridato

ma i vostri manganelli alzati mi hanno risposto con brutalità:

usurpazione e imputazione

segregazione e schiavismo!

Allora l’odio che in me ribolliva sordo

d’un tratto è esploso,

le mie deboli forze si sono decuplicate

frangendo il sangue arrugginito durato troppo a lungo

le mie lacrime di rassegnazione si sono seccate

ed i miei morti, tutti i miei morti

che pesano sulle vostre coscienze

mi hanno alla fine rinvigorito!

 

Attenzione perché il mio fiuto ora acuito

vi ha stanato e mi ha ordinato la risposta!

Fuggite dalla mia rabbia secolare

nata durante i ripetuti scoppietti

che decimarono la mia razza per imporre la vostra.

 

Alle mie orecchie,

l’ineluttabile suono del corno risuona

e grida vendetta

ed io mi lancio, dopo Soweto il mio trampolino,

con Moloise il mio fermento,

nella crociata di Mandela

sino al vostro totale annientamento.

 

Sekou Cissoko

 

Negli ultimi 10-12 anni, la strategia degli Usa in Africa ha puntato, con successo, all’intensificazione dei rapporti diplomatici e militari. Dal 1997 al 2000 l’Acri (African Crisis Response Iniziative), organismo promosso e legato agli Usa, ha organizzato la formazione di battaglioni costituiti da un minimo di ottocento fino a mille uomini in Senegal, Uganda, Malagui, Mali, Ghana, Benin e nella stessa Costa d’Avorio, lanciando programmi di “semplice” assistenza militare e civile. Nel 2002 l’Acri è stata trasformata in African Operation Training Assistance (Acota) con compiti di addestramento di unità sul modello delle “forze speciali” occidentali da impiegare in ambienti “ostili”. Questi squadroni (della morte), incaricati di ristabilire la “pace” (pro-occidente), dovranno essere pronti ad affrontare ogni tipo di pericolo.

Nel 2004 il Mali, il Ciad, il Niger, l’Algeria con la partecipazione “in-diretta” degli Usa hanno condotto delle operazioni militari nel Sael contro il gruppo Salafista per la Predicazione e il Combattimento decapitandone l’organizzazione. (Israele docet.)

Grazie a questi programmi oggi paesi come Mali, Niger, Senegal, Marocco, Algeria, Ciad, Tunisia, Egitto, Kenya hanno al loro interno una presenza militare statunitense importante. Presenza tale da:

a) bloccare la penetrazione dell’islamismo nell’Africa nera;

b) controllare le infrastrutture e i siti d’estrazione delle risorse petrolifere e minerarie e le vie di comunicazione;

c) influenzare o meglio dirigere le scelte politiche di questi stessi stati.  

Secondo. Rafforzamento della “cooperazione” (leggi dipendenza) economica dei paesi africani con l’Occidente.

Dopo un incontro tra i responsabili di 83 ministri di otto grandi regioni africane e le controparti americane, nel marzo nel 1999 entrò in vigore una “legge per la crescita e le opportunità” che allargò l’accesso dei prodotti africani sul mercato americano. 

Terzo. L’Africa Occidentale è geograficamente meno lontana dagli Stati Uniti e più facile da raggiungere delle riserve petrolifere del Mar Caspio ed -al momento- meno incandescente del medio-oriente.

L’“altro Golfo”, quello della Guinea con il porto di Abidjan, rappresenta un importante obiettivo per il rapace imperialismo americano, il quale ha già pronto il progetto per la costruzione, in un futuro prossimo, di una base militare a Sao Tomè. Contro l’imperialismo decadente francese, ma soprattutto contro l’emergente capitalismo cinese, che da parte sua ha già acquisito giacimenti in Sudan, Gabon, Angola e ora punta all’acquisto della Unocal, società americana di ricerca ed estrazione del petrolio. (Questa società controlla i giacimenti in Texas, nel Golfo del Messico e soprattutto in Indonesia, Thailandia e Bangladesh.) A danno delle masse sfruttate dell’area sottoposte dapprima alla spremitura da parte del capitalismo francese ora di quello statunitense. 

Come sta rispondendo la Francia? 

L’episodio che ha visto rinvenire nelle cronache dei quotidiani la vicenda della Costa d’Avorio è stato il bombardamento della città di Bouaké, controllata dai “ribelli”, da parte dell’aviazione ivoriana. Bombardamento preparato dalla ricognizione di due aerei droni e dalla presenza in loco di esperti israeliani (questi ultimi sono stati subito dopo aiutati a fuggire da parte del governo italiano).

In seguito all’attacco contro le postazioni controllate dai ribelli, viene colpita anche una scuola che le truppe francesi usavano come base, provocando la morte di nove soldati e di un “civile” americano. In risposta Chirac dà l’ordine di distruggere a terra l’intera aviazione costituita da due aerei Sukoy e da tre elicotteri. Le truppe francesi prendono il controllo dell’aeroporto, dell’hotel Ivoire e di altri punti strategici delle città, distruggendo, tra l’altro, la sede destinata a diventare il palazzo presidenziale di Yamassoukro (la capitale) dove ne era prossimo il trasferimento da Abidjan, a sud.

S’intensificano le manifestazioni a sostegno di Gbagbo da parte dei Jenues Patriotes, che denunciano il governo francese di sostenere apertamente le Forces Nouvelles, e prende avvio un’azione intimidatoria contro i bianchi (francesi) fatta di rapine, di espropri, di incendi delle loro proprietà. Le truppe francesi e quelle dell’Onu, ricevono il mandato dal Consiglio di sicurezza d’usare qualsiasi mezzo per far rispettare gli accordi di “pace” ed imporre l’embargo sulle armi, al fine di prevenire il rischio che l’intera vicenda possa estendersi e destabilizzare l’intera Africa Occidentale. Segue una dura repressione. Alla fine i civili uccisi sono sessantadue, i feriti oltre mille (fonte la Croce Rossa Internazionale). Tutte da parte ivoriana. 

Quest’ulteriore stretta dell’imperialismo francese alla Costa d’Avorio avrà come conseguenza inevitabile un costo che sarà pagato interamente dalla popolazione ivoriana e immigrata di questo paese. Dai lavoratori che hanno già visto peggiorare negli anni passati le proprie condizioni di vita e di lavoro, soprattutto al nord dove incomincia a sfaldarsi il consenso dato a Forces Nouvelles. Da molti lavoratori agricoli tra i quali cresce lo scontento a causa dei continui ritardi nei pagamenti dei prodotti agricoli e della politica di discriminazione cui continuano ad essere sottoposti, nonostante le promesse di Gagbo.

Quali le prospettive per la popolazione ivoriana? Esse non sono diverse da quelle che accomunano l’intera massa degli sfruttati dell’Africa e più in generale del Nord e del Sud del mondo. Contro i lavoratori e gli sfruttati della Costa d’Avorio è schierato un fronte che va dalla Francia agli Usa ai borghesi locali, affittati e venduti all’imperialismo di turno. La politica messa in atto da questi briganti è quella già sperimentata dall’Occidente in altre parti dell’Africa, in Jugoslavia, in Iraq, in Afghanistan: divide et impera. Contro questa politica la risposta deve essere rappresentata da un programma di coerente difesa degli interessi degli sfruttati che si fondi sul superamento delle divisioni e delle contrapposizioni interne al proprio fronte e lavori alla riunificazione degli oppressi di tutta l’area nonché del Nord e del Sud del mondo, smettendo ogni delega suicida alle attuali inconseguenti direzioni “locali”. La storia è piena di esempi rovinosi che dimostrano come affidando le proprie sorti alle dirigenze borghesi, di fatto si finisce col legarsi mani e piedi ad una prospettiva che in nome ora di un capitalismo più equo ora della “libera” concorrenza, finisce col buttarci nelle mani degli avvoltoi più rapaci che ci riservano solo ancora maggiore violenza e povertà. A questa prospettiva va contrapposta la nostra unica prospettiva di vera giustizia e di vera liberazione: il lavoro militante e organizzato per la costruzione della società socialista. 

 

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

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