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La nostra organizzazione si sente impegnata in prima persona per la manifestazione contro la guerra indetta internazionalmente, e quindi anche in Italia, per il 19 marzo e, pertanto, chiama i propri compagni e tutti coloro che siamo in grado di raggiungere con la nostra parola a parteciparvi attivamente in maniera comunista militante. Come OCI abbiamo partecipato ai lavori preparatori in vista dell'appello-piattaforma varato dalle varie realtà politiche organizzatrici e, nella discussione in merito a ciò, abbiamo costantemente e chiaramente fatte presenti le nostre specifiche posizioni, trovando anche accoglienza ad esse su questo o quel singolo punto (e non certo nel loro insieme). Coerentemente alla nostra impostazione di fondo, abbiamo aderito all'iniziativa, anche se, rispetto all’appello, teniamo a rimarcare la nostra impostazione complessiva del problema, come diremo subito. Noi non pretendiamo affatto che una manifestazione come questa possa immediatamente essere in sintonia con le nostre posizioni, né a livello dei gruppi politici organizzatori né tantomeno a livello della massa (che ci auguriamo la più ampia possibile) dei partecipanti ad essa. L'essenziale è che sia superata la fase di assenza od afonia del movimento e che ad esso siano invece ridati corpo e voce a partire da alcune discriminanti essenziali a partire dalle quali si possa procedere in avanti in termini di numeri e chiarezza politica. Non è, chiaramente, indifferente per la nostra battaglia politica, ben distinta, che ciò avvenga su una base di massa e non di un ristretto ambito di milieu, come sarebbe persino il nostro qualora ci limitassimo a "contare" le nostre specifiche forze autogratificandocene. Essere in tanti sul campo non è solo questione di numeri, ma della possibilità stessa di mutare i rapporti di forza nello scontro in atto in termini di teoria, programma ed organizzazione. Questo, beninteso, ad una condizione: che i rivoluzionari conseguenti, quali noi ci picchiamo di essere, facciano appieno il proprio dovere, non mettendosi alla coda, ma alla testa di un movimento che per diventare oggi qualcosa e domani tutto ha assolutamente bisogno di travalicare i propri livelli di partenza, su cui, altrimenti, rischia di nullificarsi. La nostra "internità" al movimento sta tutta qui, e lasciamo ad altri di fare i "concretisti" alla coda delle debolezze di esso, da riportare poi saggiamente alla "mediazione" della "politica concreta" degli… altri, cioè delle forze (supposte) riformiste del capitale. Nell'appello di convocazione vi sono, sotto questo aspetto, dei punti importanti di partenza: il riconoscimento della lotta di resistenza irachena (e non solo), un primo accenno ad un collegamento tra essa e la nostra lotta qui in una visione internazionalista dei problemi, il riconoscimento che per noi si tratta qui di combattere contro il "nemico in casa propria", il "nostro" capitalismo organicamente connesso al sistema imperialista. E' un passo in avanti non da poco rispetto al "pacifismo" che si limitava alla richiesta di disimpegno italiano da un fronte di guerra che non ammette disimpegni e pone l'alternativa: o contro il capitale o ("riformisticamente") con esso. Ma, certamente, l'appello si presenta tuttora come un pateracchio in cui le questioni di fondo rimangono tuttora confuse ed irrisolte, e questo corrisponde alla permanente fragilità dell'impostazione politica delle stesse forze di "avanguardia" che lo hanno promosso. Il "sistema mondiale di guerra" è ben poco visto come la faccia necessaria dell'imperialismo, di cui l'Italia fa parte a pieno titolo, e fa un po' ridere la rivendicazione di "una politica estera (italiana) opposta alla ideologia (!!!) della guerra" conseguibile nel nostro orticello attraverso una "sfida democratica". La vera e sola sfida non è quella "democratica", ma quella comunista rivoluzionaria, dittatoriale contro l'insieme organico dei poteri imperialisti, qui ed ovunque. Se un'"altra" Italia vorrà e potrà essere a fianco delle forze che in Iraq si battono contro l'imperialismo (e se vorrà e potrà contribuire anche a mutare con ciò il carattere stesso di quella resistenza) questa potrà essere solo un'Italia antagonista nei confronti del sistema imperialista mondiale, un'Italia comunista, o nulla sarà, se non la rivendicazione di uno "spazio autonomo" (italiano, europeo…) nell'ambito imperialista, sia pure ricoperta di lustrini "democratici" ed "umanitari". Per quel che ci riguarda, noi non "chiamiamo i movimenti pacifisti, antimilitaristi, antimperialisti, le forze sindacali, politiche, sociali, i soggetti della cultura (?) e dell'informazione (?)" a partecipare in quanto tali alla manifestazione. Chiamiamo sì alla manifestazione tutti quelli che si sentono ribollire il sangue di fronte al macello iracheno ad essere presenti ed attivi, ma non in nome di un "pacifismo" senza senso, non in nome di rappresentanze "sindacali e politiche" che, se hanno un'identità, vanno combattute per quanto hanno contribuito a questa ed altre guerre in cui tuttora, come Italia, "siamo" impegnati (ricordiamo non ultimo il caso Jugoslavia), e lasciamo pure da parte i richiami alla cultura ed all'informazione che, nel migliore dei casi, si sono dimostrati "critici" verso l'interventismo militare italiano, ma soprattutto ostili alla lotta di resistenza degli oppressi. Lo facciamo per dare coerenza alla spinta "morale" di tanta gente e sottrarla così al solito "realismo" secondo cui, per "pesare", la protesta deve passare per le vie istituzionali che contano (alla faccia dell'"autonomia del movimento", che, a conti fatti, si vuole "autonomo" in quanto politicamente vuoto ovvero "riempito" da chi sappiamo). Più saremo in piazza più di questo si potrà discutere, non in vista dell'"autonomia del movimento pacifista", ma in quella della sua trasformazione politica in un partito di classe contro le radici imperialiste del "sistema mondiale di guerra", per affermare il nostro sistema mondiale proletario di guerra al capitale. L'"indignazione morale" ha costituito il punto di partenza, che siamo ben lungi dal sottostimare, che ha messo in campo, a suo tempo, milioni di persone. Per forza di cose essa, sempre in partenza, si è raccolta attorno ad insegne politiche più o meno rientranti nella logica del sistema (partiti, fette di sindacato, forum ed associazionismo vario…) che hanno fatto il loro gioco al ribasso tradendo, in un modo o nell'altro (nel migliore dei casi in nome di un convinto pacifismo democratoide) le potenzialità del movimento in questione. Il "senza se e senza ma" era una bella cosa, se sostanziata dalla sola cosa che poteva dare ad essa contenuto: la lotta anticapitalista "senza se e senza ma", qui e là, secondo le regole di un autentico internazionalismo di classe dotato delle proprie armi. Così non è stato, e da ciò è conseguita una inesorabile linea di slittamento "realista": sì all'intervento in Iraq, ma non quello "bellicista" USA (i soliti soli USA), bensì a quello "democratico" dell'ONU; sì, poi, all'intervento, sempre pulito per definizione, dell'alternativa-Europa (Chirac bene accetto ed anzi campione di essa!); e poi ancora le fiaccolate per i "nostri" nobili "addetti alla sicurezza" patrii; infine la kermesse per Baldoni, le due Simone e la Sgrena in collaborazione di fatto con le forze dello stato e del governo chiamati a "fare il loro patrio dovere", sino alla solidarietà coi "nostri" servizi segreti. Eppure, ci pare evidente, se e quando si tratti di salvaguardare la vita di qualcuno di veramente nostro, senza virgolette, di qualche nostro militante di classe, un'altra via c'è: ed è quella di mettere in campo una nostra capacità militante basata su un'effettiva solidarietà di classe coi resistenti iracheni. Ci dispiace dirlo, ma anche quest'ultimo episodio della liberazione della Sgrena, è avvenuto sotto il segno contrario: l'azione dello stato e del governo imperialisti cui si rende grazie per aver sottratto un "nostro compagno" ai "terroristi". Cerchiamo di contrastare questa deriva che incombe sul "movimento" (a ranghi ridotti) ove non si dia lotta chiara sui "contenuti". E’ un controsenso prendere le distanze dalla manifestazione del 19 marzo per lo scetticismo sulla sua riuscita numerica. Chi fosse d'accordo sui contenuti "più avanzati" che si propongono (e, in parte, essi lo sono effettivamente) non giocherebbe a fare il detrattore, ma si rimboccherebbe le maniche per farsi organizzatore. Il fatto è che l'incalzare degli avvenimenti ci mette sempre più davanti ad un aut aut sui… contenuti, e qui si apre un fossato tra "pacifismo" e comunismo. Il "pacifismo" bertinottiano, agnolettiano, papalino o… ulivista, ha inequivocabilmente mostrato il suo volto. La sua linea "alternativista" si rivela più che mai bypartisan con le forze del capitalismo italiano ed europeo. Non chiudiamo gli occhi davanti a questo dato di fatto. Evitiamo, per quanto ci è possibile, di consegnare il "movimento" di massa alla soluzione di ricambio elettorale antiberlusconiana dei "nostri interessi nazionali", magari un po' più svincolati dagli USA, ma solo per ritrovarsi vincolatissimi a quelli di una "progressista" Neue Europa. Repetita juvant: lavoriamo al successo di questa manifestazione in quanto passibile di dare un segno in avanti all'unica alternativa possibile, quella di sempre. Socialismo o barbarie. |
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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