Cari compagni

Riteniamo importante la manifestazione del 19 marzo come necessario passaggio di ripresa dell’iniziativa politica di massa e di piazza contro l’invasione e l’occupazione dell’Iraq.

Ci impegniamo quindi a prepararla e propagandarla, così come parteciperemo alle iniziative che verranno decise in questa direzione.

Senza nulla togliere alla nostra partecipazione, vi diciamo al tempo stesso che non aderiamo formalmente, anche con la nostra firma di organizzazione, al comitato promotore della manifestazione.

Questo perché la piattaforma, nonostante il lavoro fatto verso la demarcazione di una posizione più chiara contro l’aggressione imperialista raccordandosi ai contenuti “più avanzati” degli appelli di Porto Alegre e del movimento “no-war” statunitense, conserva tuttora non piccole ambiguità, che a nostro avviso non favoriscono la riuscita politica della manifestazione e della generale ripresa di iniziativa.

E’ ben chiaro che una buona piattaforma non è di per sé sola sufficiente a garantire la ripresa in carne ed ossa del movimento di massa. Ma questa verità, che ci chiama a una serie unitaria e indivisibile di non facili compiti politici ed organizzativi, giammai può significare che possiamo fregarcene di quello che sta scritto nelle piattaforme ovvero dei contenuti politici della nostra azione. Troppo spesso, come noi riteniamo, il movimento “no-war” ha segnato in questi anni una rilevante presenza di massa e di piazza, ma, insieme, una valenza politica della propria iniziativa insufficiente, per non dire quasi nulla, e tale da renderlo evanescente sul terreno reale dello scontro e facilmente azzerabile nel suo peso e nei suoi effetti dall’azione -pienamente politica questa- del governo e da quella -altrettanto demarcata- delle forze del centrosinistra che non vogliono che la piazza si caratterizzi oltre i binari di una finta “opposizione”.

 

Che significa allora aver cancellato dal testo il riferimento all’ “Italia che deve essere portata fuori dal sistema di guerra”, quando questo riferimento (se non abbiamo capito male) viene comunque conservato nel titolo? E che significa, dovunque sia messo, “portare l’Italia fuori dal sistema di guerra”? Certo noi lavoriamo affinché il movimento di massa dei lavoratori e degli sfruttati possa imporre al governo italiano il ritiro delle truppe dall’Iraq. Ma quando avessimo ottenuto questo prezioso risultato, noi non ci sogneremmo neanche per un secondo di accreditare che “l’Italia”, a guida centrodestra o centrosinistra, stia uscendo dal sistema di guerra. E se quel ritiro avvenisse, come sarebbe -nell’ipotesi- credibile, per consegnare il testimone e il bastone militare all’Onu? E le altre più di 20 missioni “di pace” che vedono le truppe italiane sparse in ogni angolo del mondo, tra cui quelle che proseguono la criminale aggressione italo-americana alla Jugoslavia? Che significa “lanciare la sfida democratica per una diversa politica estera ai soggetti in campo”? A chi rivolgiamo l’invito a “uscire dal sistema di guerra”? All’Italia imperialista (sia pure nelle posizioni di coda)? A quelle forze di centrosinistra che da decenni dimostrano quotidianamente la propria integrazione (materiale e ideologica) senza ritorno nella rete di interessi e di potere dell’imperialismo italiano?

Questo non significa che nella piattaforma si deve scrivere che vogliamo la dittatura del proletariato -per noi sacrosanta- e niente di meno.  Ma possiamo dire, con chiarezza e coerenza, che vogliamo dare voce e portare in piazza l’istanza di un’altra politica che non si basi sul saccheggio e la guerra dell’Occidente ai danni dei popoli del Sud e dell’Est del mondo, ma sulla fraterna solidarietà di lotta tra gli sfruttati di qui e di lì affinché le risorse mondialmente disponibili possano essere sottratte al controllo e al profitto delle multinazionali e utilizzate per i bisogni sociali dell’intera umanità lavoratrice. Parole vuote? Impolitiche? Noi pensiamo che soltanto dando voce, organizzazione e prospettiva politica a quelle che sono da sempre le più semplici e profonde aspirazioni della nostra gente (vivere veramente in pace nella piena soddisfazione dei bisogni di tutti e non scannarsi nelle guerre di rapina scatenate dall’Occidente) noi contribuiremo veramente a costruire la forza e la consapevolezza del movimento.

Quando poi ci si riferisce alla resistenza irachena -che finalmente si inizia a chiamare con il suo nome- occorre eliminare le ambiguità. Non possiamo prima appoggiarla, poi alla riga finale dire che essa è -soltanto- legittima. Non possiamo dire una cosa e poi svuotarla di buona parte del suo contenuto. Se veramente vogliamo dare battaglia sulla nostra piattaforma e quindi andare in piazza e in tutte le sedi di discussione, tra i giovani e tra i  lavoratori, a sostenere uno scontro necessario su chi sono i nostri nemici (i “nostri” governi, i “nostri” padroni) e chi invece i veri ed unici alleati della “pace” (la popolazione irachena che resiste e combatte contro gli occupanti), non lo si può fare in modo confuso, ondivago e in definitiva incerto e debole. Possiamo anche dire di meno di quello che abbiamo detto ma è importante che non ci siano contraddizioni e ambiguità che minano la serietà della nostra posizione. Non si tratta di ripetere formalmente alcuni passaggi di Porto Alegre, contraddicendoci poi alla riga seguente, ma di ricevere e fare nostra la forza -parziale- che il movimento “no-war” americano e le lotte degli sfruttati del sud del mondo convenute al Forum di Porto Alegre ci trasmettono, spingendoci ad assumere posizioni più chiare, semplici, nette su chi sono gli aggressori e chi gli aggrediti e sul nostro schieramento da una ben precisa parte -non il notarile riconoscimento di legittimità-.

Sulla questione dei rapimenti, poi, non ce la possiamo cavare attribuendone la paternità ai servizi segreti degli occupanti. Nel senso che è ben possibile che le squadre di Negroponte e di molti altri criminali imperialisti siano all’opera, ma è anche plausibile che settori della resistenza, sotto la morsa dell’occupazione e dei suoi crimini quotidiani e nell’assenza di un vero movimento di lotta contro la guerra qui in Occidente -e dunque anche nell’assenza di una visione di classe dello scontro da parte delle sue attuali direzioni-, vedano in ogni occidentale ed italiano un nemico. E che soprattutto vedano nelle cosiddette ong niente altro che un’appendice occidentale che ha la pretesa di venire a mettere un cerotto sulle ferite atroci prodotte dai propri governi invece di combatterli con forza per impedirne le aggressioni e i crimini. E’ proprio inverosimile un’ipotesi del genere? Queste sono verità con le quali occorre fare i conti, perché segnano la reale distanza attuale tra gli sfruttati iracheni e quelli occidentali e dunque ci riguardano se veramente vogliamo raccogliere gli appelli che ci provengono dalle forze della resistenza, per iniziare a costruire un legame tra chi resiste lì all’occupazione e chi manifesta qui per imporre il ritiro. E allora non era sufficiente dire nella piattaforma che di fronte al rapimento di Giuliana Sgrena noi chiamiamo a rafforzare e dare continuità alla mobilitazione per il ritiro delle truppe dall’Iraq contro il governo Berlusconi e la sua politica di occupazione, così demarcando, con una frase condivisibile e senza entrare in diretta polemica, che non  ci sogniamo alcun “unitarismo” con Letta e Berlusconi?

A nostro avviso una piattaforma può ben dire meno cose. Ma quelle che dice le deve e lo può dire in modo semplice e chiaro, senza fare un passo di qua e un altro di là. Deve dare un segnale chiaro e non spegnersi nelle contraddizioni, soprattutto se mette comunque in conto questioni che ci chiamano a lanciare e sostenere una battaglia politica. Non deve dire tutto, ma quel che di essenziale dice deve essere generalmente condivisibile.

 

Su questi punti, senza dilungarci oltre, vogliamo richiamare la vostra attenzione.

Vi chiediamo di inserirci nella mailing list per ricevere le comunicazioni su incontri, iniziative e appuntamenti.

A tutti noi buon lavoro.

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista