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Dal manifesto 23 gennaio 2005
Un popolo in fila per la benzina nell'Iraq
del petrolio
«Anche questa è
resistenza»: ogni giorno ai distributori di Baghdad migliaia di iracheni
fanno chilometri e chilometri di code che durano giorno e notte, in un
clima di caos dilagante. Denunciano l'occupazione militare, accusano il
governo corrotto, criticano «queste elezioni»
STEFANO CHIARINI,
INVIATO A BAGHDAD
«Ancora non abbiamo
votato e già gli `Ali baba' messi al governo dagli Usa si scontrano per
dividersi le nostre spoglie. Una settimana fa l'inaffondabile Ahmed
Chalabi, della lista unitaria sciita sostenuta dall'ayatollah al Sistani,
ha accusato il ministro della difesa Hazem Shaalan di aver portato a
Beirut, d'accordo con il premier Allawi, 300 milioni di dollari e ieri lo
stesso Shaalan ha dichiarato di voler arrestare Chalabi per consegnarlo
all'Interpol affinché sia estradato in Giordania per scontare una condanna
a 22 anni di carcere per bancarotta fraudolenta. Intanto per le strade di
Khadimiya i rappresentanti, tutti sciiti, della lista di Allawi e quelli
di Chalabi se le danno di santa ragione mentre gli americani se la ridono
nelle loro basi». Omar, disoccupato e tassista a tempo perso, indicando
una copia del giornale Azzaman
appena comprato, non nasconde la sua amarezza per il clima oscuro,
disperante, da basso impero, che avvolge il paese alla vigilia delle
elezioni del 30 gennaio mentre sullo sfondo già si agitano gli spettri
dell'«opzione Salvador» tra squadroni della morte, misteriosi gruppi in
divisa che operano nella più assoluta impunità, omicidi, rapimenti e
regolamenti di conti all'interno della stessa cricca al potere. Il tutto
mentre i poveri cristi come lui e suo fratello, che gli siede accanto in
una vecchia Opel su un sedile ridotto solo molle e tiranti, ormai passano
la vita, nel paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo, a fare la
fila per riempire il serbatoio di benzina. Le file ai distributori di
Baghdad sono ormai apocalittiche, con lunghi serpenti di auto che girano
attorno a interi isolati contribuendo non poco al caos imperante. Sotto un
cielo plumbeo, un vento gelido e una pioggia insistente, la fila anche
oggi si stende a perdita d'occhio da Tahrir Square, la piazza circolare
della rivoluzione, nel centro della città, sino ad un benzinaio di
Philistine Street, circa sei chilometri più avanti.
Omar e il fratello sono qui da ieri sera
Omar e il fratello sono qui da ieri sera, da circa
dodici ore e hanno davanti a loro almeno altre seicento macchine «Siamo
tutti e due disoccupati - ci dice sorridendo avvolto in una giacca a vento
più sdrucita della tappezzeria della macchina - e la benzina ci serve un
pò per il taxi e un po', se abbiamo bisogno di soldi, per rivenderla al
mercato nero. E' vero che bisogna dare la tangente alla polizia, ma ci si
guadagna lo stesso. Pensate che al distributore un litro costa circa 20
dinari mentre al mercato nero supera i 1400. Così ci siamo organizzati con
tutti i parenti e facciamo i turni al distributore mentre gli altri girano
col taxi o rivendono la benzina». «Comunque si tratta di pochi soldi,
giusto per andare avanti, non dei 500 milioni di dollari portati via dal
ministro della difesa - lo interrompe il fratello quasi a scusarsi - e di
chissà quanti milioni di dollari fatti sparire da Ahmed Chalabi». «Mi
meraviglio di Sistani - interviene un anziano professore con in testa una
specie di papalina - come può sostenere una lista del genere?» «A lui
interessa solo un successo dagli sciiti come comunità e dell'Hawza - gli
risponde un altro signore, ben vestito, appena arrivato che ha passato
lunghi anni in Italia - una sorta di chiesa sciita». Poi rivolto a noi, in
un perfetto inglese, aggiunge «Per capire la situazione possiamo affermare
che Chalabi per Sistani e per l'Hawza è un po' quello che per il Vaticano
sono stati Marcinkus o forse più precisamente Sindona. Questi passano, le
istituzioni religiose e il loro ruolo nella società restano».
Parallelamente al lungo serpentone di auto vi sono
altre due file, una, velocissima, riservata alle donne e un'altra ancora
più rapida di coloro che gli agenti di guardia al distributore fanno
passare avanti gridando truci «polizia», tra le imprecazioni degli altri
automobilisti. Poco lontano alcuni ragazzi fanno su e giù con delle
bottiglie vuote per attirare l'attenzione di chi cerca la benzina al
mercato nero mentre i padri, più indietro sul ciglio della strada, hanno
il cofano aperto e pieno di tanniche. Un commercio assai pericoloso, tanto
che un presunto pullman bomba esploso ad Abu Ghraib un mese fa, facendo
strage tra i passanti, era in realtà un normalissimo autobus rubato al
momento dell'invasione americana e addetto al trasporto della benzina al
mercato nero. Alcune macchine della fila sono in realtà dei rottami spinti
a mano e utilizzati solamente come serbatoi. I proprietari spesso li
affidano a dei disoccupati che fanno la fila per loro. Omar e il fratello
fanno un turno a testa di sei ore mentre il vettovagliamento e i generi di
conforto sono affidati al fratello più piccolo che in motorino, fradicio
filo al midollo, tiene i contatti con la famiglia nel quartiere ghetto di
Sadr city.
Il freddo è quasi insostenibile
Il freddo, con il calare della sera, è quasi
insostenibile ed alcuni accendono dei falò improvvisati. Molti si armano (avere
un mitra a testa è ancora legale) per potersi difendere durante la notte
da mafie di ogni tipo. «Lo so che fa freddo - ci dice Omar chiuso nella
sua giacca a vento mentre tira una sigaretta fino al filtro come per
scaldarsi - ma a casa non è certo meglio. Non c'è elettricità e il
carburante per il generatore costa troppo. Se poi con questa temperatura
ci si ammala è la fine. Il medico ormai bisogna pagarlo, non è più come
prima quando, con Saddam, era tutto gratis». «Questo paese è diventato una
specie di far West e molti padroni di casa - interviene Ahmed ex cuoco di
un albergo ormai chiuso - hanno triplicato i prezzi degli affitti e
cacciato armi in pugno gli inquilini. I primi ad essere stati sfrattati
dall'oggi al domani sono stati gli zingari e i palestinesi, ai quali
Saddam aveva dato casa gratis, ai primi perché di loro gli piaceva la
musica, lo spirito indipendente, le feste e le donne, ai secondi perché si
considerava il protettore della loro causa. Poi hanno cominciato con gli
iracheni poveri o indigenti costringendoli ad andare ad abitare nelle
caserme, nelle rovine dei palazzi bombardati, alcuni per la prima volta a
farsi una capanna sulle discariche».
Piano piano si è formato accanto a noi un piccolo
circolo di automobilisti esasperati. Si ferma anche una donna assai ben
vestita con il capo coperto da un piccolo velo, professoressa
all'università, che si dice preoccupata perché teme che la giustificazione
ufficiale per il trasferimento dei 300 milioni di dollari a Beirut da
parte del premier e del ministro della difesa, secondo la quale sarebbero
serviti ad acquistare carri armati, armi e munizioni potrebbe essere
parzialmente vera: «Ciò significherebbe che i gruppi filo-Usa al potere si
stanno armando con la complicità degli americani in vista di una qualche
golpe o guerra sporca. Un po' Libano, un po' Salvador e per quanto
riguarda il Kurdistan, un po' Kosovo, con gli arabi e i turchi cacciati
come i serbi dalle loro case, il futuro che ci stanno preparando gli
americani è senz'altro roseo». La signora ci racconta poi, tirando fuori
da una borsa alcuni documenti, come sullo sfondo di questa situazione
drammatica di fame, miseria e violenza, pagata in primo luogo dalle donne,
gli occupanti avrebbero pensato bene di affidare lauti contratti a società
americane per organizzare corsi di yoga e di respirazione «per eliminare
lo stress» e corsi «di promozione della democrazia». «Per curiosità, in un
momento nel quale c'era la luce, sono andata su internet per vedere chi ci
avrebbe dovuto educare alla democrazia - continua la professoressa di
letteratura inglese - e ho scoperto che il contratto era stato affidato,
tra gli altri, all'Indipendent Women Forum, un'organizzazione contraria a
qualsiasi difesa del Welfare system, al periodo di maternità pagata, alla
scuola pubblica, alle azioni affermative e ai programmi federali per
prevenire le discriminazioni sessuali fondata da Lynne Cheney moglie del
vicepresidente, Kate O'Beirne direttrice dell'ultraconservatore
National Review, e Midge Decter, ex presidente con Donald Rumsfeld del
`Committee for the Free World' e moglie dell'ex direttore di Commentary
Norman Podhoretz. Avete capito chi dovrebbe prepararci alla democrazia e
come sono spesi i soldi per l'Iraq?».
Famiglie alla fame, milizie in armi
Il discorso, dopo un momento nel quale la piccola
folla si scioglie improvvisamente per il passaggio di un convoglio di
sferraglianti carri armati americani, scivola sui due argomenti del giorno,
l'aumento dei prezzi, la mancanza di sicurezza e la scomparsa di qualsiasi
rete di protezione per i più poveri e per le classi medie, le uniche
rimaste nel paese, mentre i benestanti e gli uomini di affari sono tutti
andati in Giordania, negli emirati o in, misura minore, in Siria. Il
risultato è che molte famiglie sono alla fame e secondo l'Unicef la
denutrizione e l'indice di mortalità per i bambini sotto i cinque anni
sono aumentate di nuovo drasticamente. Le mamme e i padri sono inoltre
particolarmente terrorizzati dal dilagante fenomeno dei rapimenti dei
bambini: «In molti casi i ragazzi hanno lasciato la scuola, in altri gli
istituti - sostiene un automobilista in fila - hanno organizzato una
specie di scuolabus corazzato con tanto di guardie armate. Costa però
almeno 100 dollari al mese a bambino e molti non se lo possono permettere».
In una situazione come questa - dicono un po' tutti - molti sono tornati a
farsi difendere dalle tribù, dalle mafie o dalle milizie di ogni tipo a
cominciare da quelle dei partiti al servizio degli occupanti. Qualcuno già
si prepara però, visto come vanno le cose, ad avviare un qualche rapporto
con la guerriglia. «Non hanno portato la democrazia ma la legge della
giungla per farci diventare come loro - ci dice un anziano, chiamato dagli
altri con rispetto "doctor" - ma non ci riusciranno perché noi, quando
loro ancora non avevano imparato a lavarsi avevamo già il codice di
Hammurabi, le leggi, lo stato, la scrittura e avevamo già diviso il
cerchio in 360 gradi, l'ora in 60 minuti e il minuto in sessanta secondi».
Poi tutti sbiancano e qualcuno si accascia nella o sulla macchina. E'
arrivata la notizia che la benzina per oggi è finita. Se ne riparlerà
domani. Omar, come molti altri chiude la macchina e l'affida ad un vicino
di casa per andare a riposarsi e a scaldarsi un po' a casa: «Ho deciso di
prendere la benzina e la prenderò, se sperano di stancarci con le file e
il freddo si sbagliano di grosso. Anche questa è resistenza». E scompare
salutandoci in una nuvolaglia d'acqua e fango.
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