Proletari e capitale nella "nuova Europa", dentro e fuori l'UE
Bulgaria.
"Migliaia di bulgari malati e poveri sono costretti a fare da cavia per nuovi medicinali in cambio di assistenza medica gratuita. Ad esempio nel 2003 sono stati assistiti per sclerosi 650 pazienti di fronte ai 3500 malati. I produttori di farmaci sostengono che «la sperimentazione farmaceutica permetterà quindi alle molte persone non assistite per problemi economici di essere curate»".
Ansa, Sofia 28 Luglio 2004
Pressoché in contemporanea con questo "lancio" d'agenzia, è scoppiato (per qualche giorno ne hanno parlato i giornali) "lo scandalo" del traffico di bambini e organi fra la Bulgaria e l'Italia. Mamme di quel paese (e di altri paesi dell'Est) vengono fatte entrare e partorire in Italia, i bambini vengono venduti.
"Bulgaria sempre più terreno di caccia per le imprese italiane. La Marcegaglia punta all'acquisizione di una quota maggioritaria dell'acciaieria bulgara Kremikovtzi. (...) Molto attivo sul mercato bulgaro anche il gruppo bancario Unicredit, che ha già investito nel paese attraverso l'acquisizione della Bulbank. (...) Quelli di Unicredit e Marcegaglia sono solo due esempi delle opportunità che le imprese italiane cercano sul mercato bulgaro."
Il Sole/24 Ore, 24 febbraio 2004
Polonia
I 170 operai di una fabbrica francese minacciata di chiusura per delocalizzazione dell'attività produttiva in Polonia, decidono di mandare un delegazione in quel paese. Che realtà operaia vi trovano? "Abbiamo deciso di andare in Polonia non per rimproverare gli operai polacchi di prenderci il lavoro, ma per vedere cosa si poteva fare insieme, per dire loro che un giorno o l'altro si sarebbero trovati nella stessa nostra situazione. Un operaio in Mosella guadagna 1200 euro al mese, in Polonia non più di 350-400. (...) Siamo arrivati di fronte alla fabbrica verso le 10 del mattino e abbiamo trovato ad accoglierci delle milizie private. Avevano i manganelli. Non abbiamo potuto avvicinarci a più di 80 metri dalla fabbrica. Abbiamo cercato di distribuire dei volantini verso le 14 al cambio di turno. Ma solo quelli che andavano a casa li hanno presi: quelli che entravano li hanno rifiutati. Due o tre li hanno presi, ma sono stati perquisiti dai vigilantes. Nella fabbrica l'avvocato ci aveva detto che c'erano più di 1000 operai, ma abbiamo aspettato fino alle 15,30 e ne abbiamo visti molto pochi. Li avevano trattenuti all'interno con la scusa che c'era una riunione. In sostanza la gente non ha potuto essere informata, i volantini sono stati strappati. (...) Quello che abbiamo visto è che in Polonia c'è una dittatura a livello di impresa."
il manifesto, 29 giugno 2004
Cronache dal Nord-Est. Il sindacato, pilastro istituzionale, di fronte alla crisi che morde ovvero un'altra delocalizzazione è possibile
Sono ormai decine le realtà produttive, piccole e medie, investite dalla crisi in tutto il territorio friulano. Dal distretto della sedia fino all'alto Friuli e la Carnia. Decine di piccole e medie aziende che hanno chiuso i cancelli o minacciano di farlo brandendo contro i lavoratori il ricatto del trasferimento delle produzioni verso Est. Ad essere colpite per prime e più massicciamente sono le donne, espulse in gran numero dalle fabbriche, ma ora ad essere minacciati sono anche i lavoratori immigrati presenti in gran numero nel distretto della sedia e nelle aziende del pordenonese.
Una pressione enorme grava sulla classe lavoratrice.
Qual' è la reazione, la "linea di difesa" che le organizzazioni sindacali si ingegnano di mettere in campo per tentare di arginare questa situazione? Vediamo.
Punto primo, parla il segretario provinciale di Udine della CGIL, "il sindacato non demonizza le delocalizzazioni", anzi esse "possono essere una risorsa per l'economia friulana ma solo se consente alle imprese di migliorare la loro posizione sul mercato grazie all'aumentato valore aggiunto e una lavorazione ad alta interpretazione professionale". Quindi, teniamo a mente: bene, molto bene questo "aumento del valore aggiunto" ottenuto dai nostri capitalisti con le delocalizzazioni cioè a mezzo del plusvalore estorto ai lavoratori dell'Est, però occorre essere lungimiranti e tenere qui, sul nostro territorio regionale, la "testa" delle produzioni. Qui resti l'asettica "ricerca", "la programmazione dell'innovazione", le produzioni specializzate. Là vada lo sporco, le produzioni per manovali che fruttano tanto "valore aggiunto"...
Punto secondo. Chiosa dell'articolista del giornale locale di area ulivista: "Il sindacato su questo fronte è unito: mano tesa agli imprenditori per pianificare il posizionamento sui nuovi mercati. E poi arriva un appello alla regione affinché agevoli un confronto tra i protagonisti dell'economia per procedere a una delocalizzazione intelligente rimettendo sulla retta via gli imprenditori che hanno scelto la via dell'Est solo per abbattere i costi della produzione."
Punto terzo. Critica agli imprenditori, di nuovo la parola al segretario CGIL: "Il problema è che tantissime aziende, soprattutto nel distretto della sedia, hanno scelto di spostare alcune linee di produzione in Croazia, Slovacchia, Romania ed altri paesi per cercare di recuperare competitività sui mercati grazie all'abbattimento dei costi di produzione e al mancato investimento in settori come quello dell'ambiente". E continua: "le aziende che hanno trasferito le attività sono tantissime, poche però sono le ditte che hanno dato vita a investimenti all'Est per presidiare e aggredire i nuovi mercati." Chiaro no? Il padronato è miope, la sua politica è sbagliata (sbagliata in quanto non provoca ricadute positive "per il territorio regionale") perché troppo legata e condizionata al raggiungimento del profitto immediato, nel breve periodo. Ed invece il sindacato cioè il rappresentante istituzionale dei lavoratori chiede, teniamo bene in mente anche questa frase: "DI PRESIDIARE E AGGREDIRE I NUOVI MERCATI".
Punto quarto. Di conseguenza occorre urgentemente una politica di programmazione della quale deve essere investito anche il sindacato: "Qualora invece -conclude il segretario- continui a non esserci programmazione e non ci sia una ricerca a tappeto nei settori produttivi per capire cosa debba essere delocalizzato, le aziende entreranno in crisi e i licenziamenti diventeranno inevitabili".
La realistica scaletta, dettata dall'obiettività delle leggi di mercato, che i rappresentanti istituzionali dei lavoratori hanno, è perciò la seguente: il sistema delle imprese è il fulcro della ricchezza "per il territorio", la protezione ed il rafforzamento di esso sistema è nell'interesse generale. I singoli imprenditori derogano da questo, cadendo in tentazione dell'alto livello di profitto raggiungibile con una delocalizzazione selvaggia. Ma è una politica sbagliata, di corto respiro. Le istituzioni locali (provincie, regioni, forze politiche e quant'altro) devono intervenire, unitamente al sindacato, per far rientrare in carreggiata il padronato. Se si riuscirà a governare questo processo, "il nostro territorio" non ne verrà impoverito. Infine, ultimo gradino, anche i nostri lavoratori potranno difendere le condizioni di vita raggiunte e magari aspirare a migliorarle. Nota bene: nella schematica "scaletta" sopra tracciata nell'ultimo gradino sono i nostri lavoratori. In effetti ci sarebbero anche gli altri lavoratori, la classe operaia dell'Est investita dai nostri capitali ad esempio. Ma cosa può fregare al sindacato-istituzione della condizione proletaria in Romania, in Croazia, in Polonia ecc.? Ognuno se la veda in casa sua, Monsieur le Capital padrone e signore in tutte.
Le citazioni sono tratte dal Messaggero Veneto del 16 aprile 2004
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