Missione umanitaria?
L’Iraq è in fiamme, ma stampa, tv e rappresentanti di governo vorrebbero farci credere che “i nostri ragazzi” a Nassiriya respirano tutta un’altra aria e che, salvo sporadici momenti di crisi presto superati con le buone maniere e la proverbiale diplomazia italiane, essi stanno lì a compiere le loro opere di bene, tra il plauso e l’accoglienza generali della popolazione. Il contingente italiano non ha invaso il paese, non è andato lì a fare la guerra, non fa parte delle truppe d’occupazione. Siamo lì per portare la pace, perché gli iracheni ce lo chiedono, per aiutarli a costruire la democrazia. La nostra è una missione umanitaria.
Niente di più falso. Ecco alcuni fatti che ci dicono che l’Italia partecipa a pieno titolo all’aggressione imperialista all’Iraq, senza risparmio di mezzi, e con piena partecipazione alle nefandezze in atto contro la popolazione che resiste. Le truppe italiane sono asserragliate fuori città a protezione della zona petrolifera d’interesse dell’Eni e da lì partono per le loro incursioni in una città e contro una popolazione ostili e pronte a ricacciarne indietro la presenza e la pretesa di controllo sul territorio.
I soldati italiani sparano su un’ambulanza. 6 agosto 2004. A Nassiriya è in corso una battaglia. Un’ambulanza con 7 persone a bordo attraversa a gran velocità uno dei ponti d’accesso alla città: porta in ospedale una donna che sta per partorire. I militari italiani sparano e l’ambulanza prende fuoco: 4 morti, fra cui la donna incinta. L’episodio viene filmato dal reporter americano Micah Garen, temporaneamente ospite della base militare italiana. Il video, contenente le immagini dell’ambulanza bruciata e un’intervista all’autista sopravvissuto, viene trasmesso dal Tg3 e dal Tg2. Immediatamente, scattano le “contromisure”: la versione ufficiale è che i militari hanno sparato contro “un mezzo che aveva aperto il fuoco contro di loro” (oppure “un’autobomba”, o ancora “un veicolo che nella notte procedeva a fari spenti senza fermarsi agli alt”). Nel frattempo, Garen viene interrogato e minacciato per 6 ore dalla polizia militare italiana, e infine cacciato dal campo (“Per ripicca”, sottolinea il direttore del museo di archeologia di Nassiriya, Abdel Amir al Hamdani). Come riferisce lo stesso Garen in alcune e-mail: «Dopo la messa in onda (del video, n.) siamo stati chiamati dalla polizia militare italiana per essere interrogati. Io sono stato trattenuto fino alle 5 del mattina. (…) Ci hanno interrogati come criminali, me e quelli della Rai. (…) A quel punto ho lasciato il campo. (…) Ho paura che continuino a perseguitarmi in qualche modo, visto che hanno aperto un'inchiesta militare» (L’Unità, 18 agosto 2004). Garen dice anche che il ministero della Difesa aveva chiamato la Rai «per ringraziarla, ma in pratica per chiedere di tacere». Allontanatosi dal campo italiano, il 13 agosto Garen viene rapito. Qualche giorno dopo, la tv satellitare Al Jazeera trasmette un video in cui Micah Garen legge un messaggio: «Sono un giornalista americano e mi è stato chiesto di riferire un messaggio degli Squadroni dei Martiri che vogliono che il popolo americano si adoperi per fermare il massacro di Najaf». Il 22 agosto viene liberato: “il responsabile dell'ufficio dell'imam sciita Moqtada Sadr a Nassiriya, Aws al Khafaji, ha detto oggi alla tv qatariota al Jazeera che il giornalista americano è stato liberato anche perché aveva aiutato a fare luce su un controverso episodio avvenuto nelle scorse settimane a Nassiriya, in cui erano implicati soldati italiani (l’episodio dell’ambulanza, n.) (…) il gruppo d'azione segreto dell'esercito del Mahdi (il gruppo di Al Sadr che resiste all'assedio americano a Najaf, ndr) aveva preannunciato il suo rilascio motivandolo con il fatto che Garen è contrario alle politiche americane in Iraq” (Repubblica, 22 agosto 2004).
A proposito di cecità della resistenza irachena!
La guerra non è ancora scoppiata, ma già si pensa ai pozzi iracheni…
«Eni, si apre la via ai pozzi iracheni (...) il pieno sostegno del Governo Berlusconi alle posizioni degli Usa e della Gran Bretagna sulla guerra in Iraq (...) potrebbe generare importanti ricadute economiche a favore dell’ENI (...) se la guerra si dovesse fare, si porrebbero le condizioni per l’ingresso del cane a sei zampe in territorio iracheno..» (Il Sole 24 Ore, 8 febbraio 2003).
“Il 23 febbraio 2003, un mese prima dell'invasione, l'agenzia Ansa dà notizia dell'esistenza di un dossier circa gli affari italiani in Iraq. «L'Italia, che e' già presente con le iniziative dell'Eni ad Halfaya e Nassiriya, può giocare anch'essa un ruolo». Ecco cosa dice l'amministratore delegato dell'Eni, un mese dopo la caduta di Saddam. «L'amministratore delegato dell'Eni Vittorio Mincato ricorda agli azionisti come già nel passato il gruppo aveva messo gli occhi sull'area irachena di Nassiriya».
Il 15 aprile
2003 il parlamento italiano autorizza la missione italiana in Iraq:
«I militari italiani presidieranno probabilmente il sud del Paese, a Bassora»
(L’Arena, 23 aprile 2003).
«I soldati italiani verranno inviati a fine giugno nella zona di Bassora» (Corriere della Sera, 4 maggio 2003).
«Il Ministro della Difesa, Antonio Martino, conferma che gli uomini impiegati saranno 3000 e che l’area delle operazioni sarà quella di Bassora» (La Repubblica, 15 maggio 2003).
«L’ENI è molto interessata alla possibilità di entrare in Iraq (…) la situazione è in divenire, ma la seguiamo giorno per giorno». Parola di Vittorio Mincato, numero uno del gruppo, rispondendo alla domanda degli azionisti sull’interesse della società per il petrolio iracheno. (Adnkronos, 30 maggio 2003).
«I soldati italiani in Iraq hanno sostituito i marines del 25esimo Reggimento nella provincia di Dhi Qar, nel governatorato di Nassirya» (Istituto Affari Internazionali, 23 luglio 2003).
La foglia di fico. “Già in euro è una cifra che fa effetto: 726.452.888. Se la convertissimo in lire, il risultato sarebbe impressionante: 1406.608.933.447, millequattrocento miliardi e rotti. Tanto ci costerà fino alla fine di quest'anno «Antica Babilonia», la missione «umanitaria» italiana in Iraq (…) I pochi milioni dell'assistenza umanitaria sono solo la foglia di fico di una missione di guerra che si sta insabbiando inesorabilmente nel deserto di Nassiriya. (…) Solo il contingente dell’esercito, quasi duemila uomini, dispone di 1095 mezzi tra cingolati e a ruote (in un anno sono raddoppiati: erano 509 con la prima missione), tra cui 9 carri armati Ariete, quindici blindo Centauro, cinque cingolati Dardo, 98 blindati per trasporto truppe, 85 cingolati M 113, sei cingolati lanciamissili ed il resto un mix di vetture, scavatori, rimorchi. Senza parlare degli elicotteri: HH-3F dell’Aeronautica, CH 47 e AB 412 dell’Esercito, SH 3D della Marina. L’impiego di questi mezzi è cresciuto di pari passo all’aumento della minaccia. E così, se per la prima missione la relazione tecnica che accompagnava il decreto considerava un impiego medio di quattro ore al giorno per otto blindo Centauro, il budget della terza missione ipotizza sei ore di movimento medie al giorno per quindici mezzi. Un’ora di uso della Centauro costa, secondo i documenti ufficiali, 289,97 euro: ogni giorno spendiamo 26 mila euro contro i 9200 di un anno fa solo per far muovere otto dei mille e più veicoli in dotazione. Il ragionamento si potrebbe ripetere: un’ora di moto del carro Ariete costa 555 euro, un’ora di volo di un elicottero CH 47 viene 11.370 euro (sì, sarebbero quasi 23 milioni detti in lire), eccetera, eccetera. Sabato, la brigata «Pozzuolo del Friuli», che sta concludendo il suo turno di presenza in Iraq, ha pubblicato un bilancio delle attività umanitarie realizzate. (…) In tutto, 3 milioni di euro appena. Nello stesso trimestre la missione militare è costata 142 milioni di euro” (L’Unità, 22 agosto 2004).
12 settembre 2004
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