A proposito di... libertà

 

In mezzo al fiume di notizie, provvedimenti e misure peggiorative e restrittive che accompagnano ormai da tempo le estati della gente comune, ce n’è una che è passata nell’indifferenza della cosiddetta “opinione pubblica” nonché degli operatori socio-sanitari. La vicenda meriterebbe una riflessione più approfondita di quella che le riserviamo in questa nota. Siamo certi, però, che in tempi non molto lontani gli avvenimenti ci costringeranno a tornarci sopra.

 

Sul Corsera del 4 settembre leggiamo -senza alcun commento dell’articolista: “Elettrodi nel cervello e telecomando per calmare i pazienti”:

Vivevano guardati a vista, e spesso legati al letto dalle cinghie di contenzione. Perché non spaccassero tutto, e non si facessero male. Uno dei due, un giovane lombardo, era prigioniero in casa, e il compito doloroso e difficile di controllarlo era affidato alla madre. L’altro, un uomo di trentasette anni, si trovava da tempo in ricovero coatto nel reparto psichiatrico di un ospedale emiliano. Ora il ragazzone che era prigioniero in casa sta inserendosi in una comunità, mentre l’altro gira tranquillo per l’ospedale, e tra poco potrà andare a casa. Hanno ritrovato una discreta qualità della vita grazie a due elettrodi impiantati nel cervello, una «neuromodulazione» elettrica con correnti bassissime e inavvertibili (da 0,1 a 2 volt) che ha l’effetto di tenere sotto controllo la forma di agitazione psicomotoria da cui sono affetti…Spiega Brogli (uno dei due neurochirurghi del Besta di Milano): «Il cervello non viene toccato, non si provoca alcuna lesione. Non si agisce sul cervello, ma sul sintomo della malattia. E il trattamento è reversibile (chi lo decide?). I due pacemaker possono essere accesi, spenti, regolati (da chi? ...sentite il seguito). Vengono programmati grazie ad un telecomando che rimane in mano al medico. Per il malato né disagi né dolore né cambiamento della personalità… Si dà la giusta dose per quel paziente e si può sospendere o intensificare la cura. Grazie alla nostra cura un giovane lombardo è tornato a vivere libero.» (I grassetti sono nostri.)

 

Questa “cura” mostra che termini come libertà da una parte e controllo dall’altra (con ogni mezzo, elettrochoc compreso) di tutti i comportamenti che “disturbano l’ordine stabilito”, termini che a molti appaiono contraddittori, risultano essere nel linguaggio e nella pratica borghese tra loro complementari. E mostra anche come ormai la scienza medica sia totalmente sottomessa agli interessi di conservazione della società borghese. Non ci sorprenderebbe “scoprire” che simili pratiche vengano già sperimentate sul campo, ben oltre quello prettamente “sanitario" (nelle carceri ad esempio?) e con un occhio attento alla loro utilità per fluidificare l'irregimentazione sociale interna richiesta dalla guerra contro i popoli del "Terzo Mondo".

12 settembre 2004

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