Petrolchimico di Marghera. Il nostro volantino sull'accordo sponsorizzato dal governo, dagli enti locali e dai vertici sindacali

E’ davvero, e finalmente, un passo in avanti,

o è ancora tanto fumo negli occhi?

 

Lavoratori,

diciamolo francamente, anche se non ci fa piacere: l’“accordo” sponsorizzato da governo, provincia, comune e vertici sindacali non dà alcuna vera certezza ai lavoratori, su nessuna questione essenziale. A cominciare dal “destino” dei 180 lavoratori della Dow Chemical e degli altri lavoratori metalmeccanici degli appalti (perché non se ne parla mai?) che in queste settimane hanno già perso il lavoro. Anzi: la chiusura dell’impianto del TDI è data per scontata, e con essa avviene un’amputazione grave delle capacità produttive e del “sistema produttivo” del petrolchimico. Inoltre, per quello che riguarda gli indispensabili investimenti in tecnologie avanzate non è previsto alcun meccanismo costrittivo che obblighi davvero le imprese a farli. Non vi è nessuna certezza neppure sulla nuova centrale elettrica necessaria per dare continuità al polo industriale di Marghera. Tant’è che su “il Gazzettino” del 27 ottobre si può leggere quanto segue: è “un accordo, insomma, che chi vuole può eludere senza grosse difficoltà, nonostante lo stesso Ministero per lo Sviluppo si faccia garante”. Ed in effetti è così, purtroppo. Questo accordo non è che l’ennesima dichiarazione di intenti, di promesse, di “impegni” (molto vaghi e molto condizionati, salvo, forse, quello che riguarda la raffineria) che serve solo a gettare acqua sulla rabbia e il malcontento degli operai, ma non costituisce un vero freno all’ulteriore smantellamento di quel che resta del polo industriale. Non è quell’inversione di tendenza di cui c’è bisogno.

Lo stesso sindacato dei chimici deve riconoscere che non è certo un accordo che dà vere garanzie. “Pur sapendo che dovremo sputare sangue –afferma un dirigente sindacale- per far mantenere gli impegni alle aziende e per difendere chi perderà il posto, siamo pronti egualmente a firmare, perché altrimenti l’alternativa è il nulla, quello verso cui spinge il governatore del Veneto”. Ora, è vero che Galan&C., e con loro il capitale turistico-alberghiero e le imprese del business delle bonifiche, puntano alla totale distruzione di Marghera come polo industriale e di organizzazione della classe operaia, e sono perciò i primi nemici dei lavoratori, ma è altrettanto vero che per battere sul serio il loro programma anti-operaio era ed è necessaria una mobilitazione di grande ampiezza e decisione che li sconfigga - altrimenti, alla fin fine, quello che passa, anno più anno meno, chiacchiera in più chiacchiera in meno, è proprio il programma della giunta regionale. Ma è proprio questa mobilitazione di grande ampiezza e decisione che i vertici sindacali non hanno voluto finora mettere in moto!

Più volte – a cominciare dal giorno della chiusura della Dow- essi hanno minacciato “la grande offensiva”, ma ogni volta è stata una falsa partenza, e dal terreno della lotta generale (appena lanciata e subito bloccata o rinviata) si è poi retrocessi a quella aziendale, e addirittura a quella di categoria, con la gravissima separazione tra chimici e metalmeccanici, fino a concentrare tutti gli sforzi sul solo terreno istituzionale, ritornando a dare ai Cacciari, agli Zoggia e a quant’altri quella fiducia che giustamente gli era stata tolta. E mettendo direttamente nelle loro mani (!) il futuro di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. Così, a seguito di questa rinuncia preventiva dei lavoratori a far valere la propria forza, siamo ad un accordo che non è un vero accordo ma solo un altro po’ di fumo negli occhi; e Galan – essendo congelata la lotta operaia (mentre altre lotte riempiono le piazze con la benedizione congiunta di Cacciari e Galan…) – può prendersi il lusso di fare la voce grossa e minacciare di non firmare.

 

 

Serve uno scatto di reni!

 

Lavoratori,

la situazione è difficile, non solo e non tanto per l’attacco del “partito politico” trasversale alla destra e al centro-sinistra che vuole smantellare Marghera; è difficile perché, nonostante una buona partenza, a settembre, quando si era deciso di dare vita ad una protesta coordinata a scala nazionale, troppo presto ci si è fermati, troppo ci si è fidati delle istituzioni, troppo abbiamo esitato nel mettere in campo −da subito− una risposta di lotta forte per imporre alle istituzioni e al governo le attese e le necessità dei lavoratori.

E’ prevalsa, invece, una fiduciosa attesa verso il governo Prodi, e verso la presenza in esso di un ministro quale Bersani “preoccupato”, a differenza di altri suoi colleghi, di salvare qualcosa dell’industria italiana. Sennonché anche questa “contraddizione” interna alla maggioranza di governo poteva e può essere sfruttata a vantaggio dei lavoratori solo mettendo in campo una vera mobilitazione di carattere nazionale, pari all’importanza della posta in gioco, una mobilitazione che non faccia sconti a nessuno.

Il ritardo in questa direzione è grave, ma il tempo non è ancora scaduto, purché si rompano finalmente gli indugi. Contro Galan&C., ma anche contro la Dow Chemical, l’Eni e tutte le imprese pronte ancora una volta a ritardare e bloccare gli investimenti necessari alla messa in sicurezza delle produzioni e dei posti di lavoro; e contro la schiera fittissima delle “lingue biforcute” che confezionano accordi così tanto ambigui “che chi vuole, può eludere senza grosse difficoltà”.

Non è vero che “l’alternativa all’accordo è il nulla”. L’alternativa all’accordo è la scesa in campo −decisa− dello schieramento di forze più volte minacciato e mai realizzato, coinvolgendo da subito, in pieno, tutta Porto Marghera e oltre la stessa Porto Marghera, l’intero proletariato, l’intero mondo del lavoro intorno ad un piano ed un’azione di lotta determinata, ampia e convinta che riaffermi quelle che sono state per anni le fondamentali rivendicazioni operaie - le rivendicazioni avanzate anche all’inizio di questa lotta -, e sappia legare questa battaglia “particolare” ad una discussione a fondo sui nodi politici e sulla vera direzione di marcia perseguita dal governo Prodi con la prossima finanziaria. Questa, infatti, se in qualche modo si differenzia dalle precedenti quanto a sacrifici immediati ed economici chiesti ai lavoratori, chiede però ancora una volta ai lavoratori, come le precedenti finanziarie del centro−destra, di farsi carico, attraverso un patto di comune responsabilità con le imprese, del rilancio dell’economia nazionale. Il che significherà ulteriore subordinazione dei nostri bisogni e dei nostri diritti agli interessi delle aziende, e comporterà un’ulteriore divisione, frammentazione ed indebolimento della nostra forza, e un ulteriore arretramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro, soprattutto quanto a ritmi, intensità e insicurezza del lavoro. 

Ed invece, anche soltanto per far tradurre in realtà i generici impegni esistenti nella bozza di accordo e tanto più per conseguire gli obiettivi che come lavoratori ci eravamo posti all’inizio di questa nuova tornata di lotte, bisogna mettere finalmente al centro della iniziativa operaia e proletaria gli interessi vitali di chi lavora. E ritornare ad affermare con forza, senza deleteri compromessi, la difesa congiunta ed intransigente di tutti i posti di lavoro e della salute in fabbrica e fuori dalla fabbrica, per porre un argine deciso, ampio e solido al dilagare della precarietà e della disoccupazione.

Non rinviamo ulteriormente una risposta di lotta generale e preparata come si deve!

 

2 dicembre 2006