Contro la campagna sul "terrorismo"
Presentiamo di seguito il volantino diffuso dalla nostra organizzazione all'attivo dei delegati di Cgil-Cisl-Uil di Milano del 22 febbraio 2007. All'attivo dei delegati Cgil del Veneto del giorno successivo, il servizio d'ordine ne ha impedito la diffusione.
Un brutale ricatto (a più voci) da respingere ai mittenti
Una tambureggiante, ben orchestrata campagna di stampa si è scatenata nelle scorse settimane intorno all’arresto di 15 militanti dell’estrema sinistra, con due obiettivi assolutamente trasparenti.
Il primo, più limitato, era la manifestazione di Vicenza. Si è voluto gettare un bastone tra le ruote alla riuscita della manifestazione. Con un ricatto stringente: chi è determinato a non accettare la nuova base, chi non si accontenta delle pietose promesse del governo sulla riduzione dell’impatto ambientale dell’installazione militare, chi intende far valere fino in fondo le proprie ragioni, si rende complice del “terrorismo”. E tale ricatto lo si è esercitato anzitutto contro i lavoratori della Cgil e della Fiom, che molto hanno contribuito all’allargamento della mobilitazione.
Questo primo ricatto è stato respinto. È stato respinto dalla gente e dagli stessi lavoratori che non si sono fatti intimorire e che, partecipando in massa al corteo di Vicenza, hanno iniziato a far intravvedere quali sono i “soggetti” da cui occorre difendersi, i veri nemici dei lavoratori contro cui lottare. Sono i potentati economici e militari, statunitensi e italiani, che attentano all’ambiente, alla salute sociale, al patrimonio artistico; e che scatenano guerre in serie contro i popoli mediorientali “colpevoli” di non accettare il saccheggio delle risorse petrolifere dell’area e della loro forza-lavoro, “colpevoli” di non volersi piegare alla dittatura, questa sì realmente terroristica, dell’euro-dollaro.
Il secondo obiettivo, generale, della campagna orchestrata sul “pericolo brigatista” è la ripresa delle lotte. I poteri forti capitalistici nazionali e internazionali, quelli di cui sopra, si preparano a sferrare nuovi, durissimi colpi sulle pensioni, la produttività, gli orari, la flessibilità, etc., sia in prima persona che attraverso il governo Prodi (o il governo che dovesse sostituire Prodi). E sanno molto bene che la classe lavoratrice non potrà restare ferma e consenziente. Per questo vanno all’offensiva in anticipo, per prevenire e impedire la risposta dura e determinata di cui c’è e ci sarà bisogno, classificandola fin da ora come “terroristica”. Loro, proprio loro, che stanno creando nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro un clima di autentico terrore, per cui si va a lavorare anche malati; loro che hanno le mani sporche del sangue di migliaia e migliaia di “omicidi bianchi”; loro che pianificano con lurido cinismo ogni sorta di produzione di morte… Che nausea!
Dei militanti arrestati è stata enfatizzata l’appartenenza sindacale alla Cgil, per mettere spalle al muro la sezione del sindacato italiano in cui tuttora si organizzano, tra mille difficoltà, i lavoratori più combattivi. Ai dirigenti della Cgil è stato intimato di “decontaminare le sue strutture di base” –così ha scritto il Corriere del 14 febbraio con una terminologia ripresa pari pari dalla propaganda nazista–, mentre uno dei leccapiedi di Berlusconi, La Malfa, c’è andato giù piatto: sciogliamo la Fiom, e sia finita!
Ma pure all’interno del movimento sindacale c’è stato chi, come il segretario della Cisl Bonanni, ha preso immediatamente la palla al balzo per mettere in campo un altro tipo di ricatto: se vogliono preservare l’unità sindacale, la Fiom e la Cgil debbono tornare a fare solo e soltanto il sindacato -il sindacato “non antagonista”, ha subito precisato il segretario della Uil Angeletti-; debbono tagliare ogni legame con i “movimenti” e con la “politica”; debbono educare i propri appartenenti a tenersi alla larga dalle questioni “extra-sindacali”, anche se sono di decisiva importanza. La guerra, per prima.
Disgraziatamente questa catena di ricatti viene subìta e introiettata da parte della dirigenza della Cgil, pronta a raccogliere le intimazioni e a giurare che da ora in poi ancor più di prima i “terroristi” saranno indicati come i primi e assoluti nemici dei lavoratori. Pronta a blindare le strutture del sindacato nei confronti dei lavoratori che si discostino dalle linee ufficiali. E a deviare così, in nome di una nuova emergenza “brigatista” montata ad arte, le tensioni che si vanno accumulando nella classe lavoratrice contro il padronato e il governo.
Tra i pochi ad uscire, in parte, da questo coro d’ordine c’è stato Rinaldini. Quando ha parlato di alcuni degli arrestati come di “giovani operai, persone che lavorano in fabbrica e vivono per la prima volta nella certezza che la loro vita non sarà migliore di quella delle generazioni che li hanno preceduti”; giovani operai che “si trovano davanti un vuoto di prospettive che non può essere riempito solo dai sindacati”.
È così.
C’è un profondo malessere tra i lavoratori, giovani e meno giovani. C’è una delusione strisciante nei confronti del governo e dei partiti “amici”. E c’è la crescente difficoltà a reagire e a difendersi dai ricatti imposti dalle direzioni aziendali nei posti di lavoro e da un futuro all’insegna della precarietà. Non sarà certo l’avanguardismo di piccoli gruppi che, in un modo o nell’altro, pretendono di sostituirsi alla classe lavoratrice ad indicare uno sbocco reale a questo malessere e a rendere possibile il superamento di queste difficoltà e dalla passività via via più diffusa tra i lavoratori. Ma tanto meno potrà essere una soluzione arretrare dalle lotte e dagli impegni –troppo blandi, semmai!- degli ultimi anni, accettare di limitare al solo salario e alle singole aziende le nostre mobilitazioni, espellendo dal movimento sindacale ogni forma di vera attività di classe, non solo politica ma anche rivendicativa.
Anzi, è proprio questo il vero, grande pericolo da cui guardarci.
E’ tempo che i lavoratori si scuotano dalla paralisi in cui sono presi, prendano atto di ciò che bolle in pentola, e trasformino la preoccupazione e il malcontento presenti nelle proprie fila nella ripresa della mobilitazione aperta contro il padronato e contro un governo che non si sta rivelando per niente “amico” dei lavoratori.
Non facciamoci paralizzare dalla paura di lasciar spazio nuovamente a Berlusconi. L’esperienza del movimento operaio insegna che restare fermi per timore di danneggiare Prodi o l’Unione, sarebbe il miglior regalo possibile a Berlusconi e alla destra, che nel frattempo hanno ripreso a marciare nelle piazze lasciate vuote dai lavoratori. È già successo in occasione dei governi di centro-sinistra degli anni ‘90: si stette fermi con “il governo amico” Ciampi e poi arrivò Berlusconi; si stette fermi con i governi dell’Ulivo, e tornò di nuovo il cavaliere. Il “silenzio” della classe operaia non ha mai moderato gli appetiti dei capitalisti. Li ha sempre stimolati e ingigantiti.
Che ci piaccia o meno, lo scontro sociale anche in Italia sta per diventare più acuto. Negli ambienti confindustriali si parla della necessità di produrre “uno shock irreversibile” nelle politiche sociali. Ecco perché non abbiamo altra scelta che accettare lo scontro e far pesare i nostri bisogni vitali nell’unico modo possibile: contando sull’organizzazione e sulla mobilitazione proletaria, sulla forza che ci deriva dall’essere la classe che manda avanti tutta la società capitalistica. Entrando anche noi in “politica”.
Non aspettiamoci che siano le direzioni sindacali a prendere la testa di una simile risposta. Anche per esse la tutela degli interessi dei lavoratori va subordinata allo sviluppo della competitività dell’Italia e alla tenuta del governo attuale. Spetta ai lavoratori più combattivi e consapevoli prendere l’iniziativa. Spetta a noi, in prima persona, la responsabilità di far vivere il sindacato di cui c’è bisogno per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari, trasformando da cima a fondo l’attuale, sempre più grama e burocratizzata, vita sindacale. È necessario che siano gli operai, i lavoratori a farsi sindacato, ad essere, a diventare il proprio sindacato di classe.
E per assolvere al meglio questo compito, c’è bisogno come il pane che i lavoratori s’impegnino in prima persona anche sul piano politico, intraprendano l’impegno e la militanza politica per la propria classe. Mentre i D’Alema e i Bertinotti auto-affondano i propri partiti per abbracciare scelte sempre più moderate e contrarie agli interessi della classe lavoratrice, è tempo di avviare una attività nella direzione opposta che punti, da lontano, alla rinascita del partito di classe, il solo capace di esprimere ed organizzare le esigenze dei proletari.
20 febbraio 2007