Contro il razzismo di stato

Contro l’immonda campagna anti-romeni, anti-rom e anti-immigrati

del governo Prodi, della “grande stampa” e della destra

 

Prima in estate, per mano dei sindaci della “sinistra” reclamanti maggiori poteri di polizia, ora per mano del governo Prodi e di Fini, è avvenuto un salto di qualità della canagliesca retorica della “tolleranza zero”, che mira a scavare un fossato incolmabile tra i proletari italiani e i proletari immigrati e a preparare il terreno ai nuovi capitoli della “guerra infinita” (c’è stato anche un avvertimento di Napolitano in tal senso).

A questo disegno, che profitta vilmente dell’emozione per l’uccisione a Roma di Giovanna Reggiani, bisogna dare una risposta forte e chiara, lavoratori e giovani autoctoni e immigrati insieme, vincendo la paura e l’assuefazione. Bisogna mobilitarsi contro il razzismo di stato e lo squadrismo “privato” che aggredisce gli immigrati, rafforzando e unificando le spinte alla ripresa delle lotte che si sono espresse in questi mesi nel “no” all’accordo del 23 luglio, nel corteo del 20 ottobre, nelle manifestazioni degli immigrati del 27 e 28 ottobre, negli scioperi dei metalmeccanici e dei sindacati di base…

 

1. Benché sia stato commesso materialmente da un rumeno da poco arrivato in Italia, il delitto di Tor di Quinto a Roma non è figlio né della Romania, né –tanto meno- dell’immigrazione. E’ frutto di un degrado sociale e umano che cresce a vista d’occhio nelle periferie delle grandi città europee e italiane (per non dire di quelle statunitensi), inclusa la Roma tuttalustrini di Veltroni con i suoi 20.000 baraccati.

“Potrebbe averlo commesso anche un italiano”, ha dichiarato con lucida dignità il marito della donna assassinata. E’ proprio così. La cronaca quotidiana di casa “nostra” trabocca di orrori: maschi abbandonati che fanno fuori le loro ex-fidanzate troppo indipendenti; mariti gelosi o violenti che uccidono finanche donne incinte al nono mese (è successo in Umbria); fidanzatini drogati di buona famiglia che giustiziano madre non consenziente, e per buon peso fanno fuori un fratellino di dieci anni (Erika e Omar); mamme “stressate” che con un paio di legnate spediscono in cielo figlioletti “fastidiosi” (Cogne); padani appassionati di Oriana Fallaci che “ripuliscono” l’ambiente da vicini “marocchini”, quattro cinque per volta (Erba); ex-tiratori scelti che in un sol colpo “eliminano” due passanti a scelta, mandandone all’ospedale altri sette (Guidonia), etc.. Tutti delitti a firma italiana, italianissima, mai enfatizzata come tale, però. Anzi: per i facitori della “pubblica opinione” si tratta sempre e solo di singoli folli o depravati. Questa volta, invece, insieme con Nicolae Mailat e per suo mezzo è stato messo sotto accusa un intero popolo, i romeni, poi i rom, e poi ancora gli immigrati. Se si tratta dei “nostri”, la colpa è individuale; se si tratta degli “altri”, è, ovviamente, collettiva, di nazione, di razza!

 

2. Senza in nulla scusare né questi né quelli, noi marxisti affermiamo che se alla radice dei delitti a firma italiana ci sono sempre, in ultima istanza, delle determinanti sociali, così è anche per il delitto di Tor di Quinto e chi l’ha materialmente commesso. E per esso mettiamo sul banco degli imputati la forza sociale che è all’origine del degrado sociale e umano in espansione ovunque nel mondo: il turbo-capitalismo globalizzato. Che per segare, o almeno abbassare, il valore della forza-lavoro e i diritti dei proletari in attività, ha creato e continua a creare ventiquattrore su ventiquattro uno sterminato esercito proletario di riserva, composto in gran parte di gente “di colore” appartenente ai paesi più impoveriti, costretta a vegetare in una vita che non è vita ai quattro angoli della terra, nel proprio paese o altrove, in ghetti, piccoli o immensi.

Questo pianeta degli slum, dei semi-slum e dei super-slum descritto mirabilmente da Mike Davis non è confinato né confinabile alle megalopoli del Sud del mondo. Anche nelle “nostre” metropoli del Nord l’area dell’emarginazione economica e sociale, dell’estrema povertà, delle esistenze fatte di espedienti e piccole illegalità, dei baraccamenti, della disperazione, si allarga giorno dopo giorno. Una “umanità in surplus” è condannata a “vivere” di stenti ad un solo passo dalla ricchezza più sfacciata. E’ da questa folla di derelitti, di proletari in esubero scaraventati da sua maestà il mercato nell’abbrutimento di una condizione sottoproletaria, che proviene Nicolae Mailat, vittima dell’iper-capitalistica “civiltà” del denaro che ha colonizzato il suo paese di origine (e le terre di elezione dei rom), prima di diventarne uno sciagurato carnefice.

 

3. L’esistenza di questa “umanità in surplus”, il miliardo-miliardo e mezzo di disoccupati o cronici sotto-occupati di cui parlano le stesse istituzioni finanziarie internazionali, rappresenta di per sé stesso un grave atto di accusa contro la classe dominante, contro il capitalismo. Soprattutto perché non c’è alcuna possibilità che essa venga riassorbita dall’economia di mercato, né che il degrado dei luoghi in cui è addensata venga cancellato dai poteri (capitalistici) costituiti. E allora, per occultare le colpe del mercato-capitale e dei governi servi del mercato-capitale impegnati a tagliare un ramo dopo l’altro lo “stato sociale”, nulla di meglio che scaricare sui marginali, sui poveri, sulla miseria di strada, su chi vive di espedienti, sugli sbandati, e poi, per “naturale” estensione, sugli immigrati “irregolari”, ed infine sugli immigrati tutti, la responsabilità primaria, se non addirittura esclusiva, della loro condizione e delle loro devianze.

L’ideologia della “tolleranza zero”, forgiata e diffusa su grande scala negli anni ’80 negli Stati Uniti dal Manhattan Institute, dalla Fondazione Heritage, dall’Adam Smith Institute e dall’Institute of Economic Affaire (centri di ricerca legati a triplo filo con l’amministrazione di Washington, il sistema penitenziario e la lucrosissima industria carceraria privata, quotata in borsa), non è altro che la criminalizzazione della povertà, l’indicazione della gente emarginata come nemico pubblico n. 1 dell’intera società, da combattere con il pugno di ferro. I malati incurabili di europeismo per i quali l’Europa è, per il suo presunto dna, sempre e comunque un’altra cosa dagli Stati Uniti, speravano che questa onda melmosa non si riversasse anche qui. Essa, invece, sta dilagando. Con la “sinistra” europea in prima fila a ingrossarla, e per giunta proprio qui in Italia, nel paese “buonista” per definizione, nella patria della “brava gente”.

Da un paio di decenni la politica della “tolleranza zero” fa la seguente promessa: attraverso una lotta senza quartiere ai “piccoli disordini quotidiani”, alle piccole violazioni della “legalità” (a chi “rompe i vetri”), alla mendicità, ai graffitari, ai lavavetri, ai baraccati, alla gioventù dei quartieri a rischio, agli “irregolari”, la società può diventare più sicura, più vivibile, più immune non solo ai furti, agli scippi, alle rapine, alle violenze individuali, ma perfino ad altre patologie di più largo raggio quali la diffusione della droga e la prostituzione. E’ questa la menzogna che viene spacciata da tutto il sistema dei mass media, cioè dal grande capitale e dallo stato che lo hanno in pugno. Non meno menzognero l’appello che segue alla promessa: combattiamo tutt’insieme la piccola devianza, la piccola criminalità e ci salveremo anche dalla grande criminalità, che, in fondo, nascerebbe da una piccola criminalità non adeguatamente contrastata (ovvero: in ogni lavavetri si nasconde un potenziale Riina). Se viceversa “continuiamo” ad essere “permissivi” con le piccole illegalità, siamo perduti.

Gli effetti reali di questo genere di politiche sono di tutt’altro tipo. Ce lo mostra il paese, gli Stati Uniti, in cui tali politiche sono applicate da un ventennio. Esse hanno portato alla  moltiplicazione dei carcerati, ad un sistema sempre più capillare di controlli e schedature, all’esplosione della spesa statale per carceri e penitenziari e alla parallela riduzione della spesa sociale (in California si spende più per le nuove carceri che per le nuove scuole o gli ospedali), alla nascita dell’industria delle carceri private, ad una repressione di speciale intensità sui neri. Non dunque ad una maggiore sicurezza sociale, bensì ad una maggiore repressione tanto a scala generale quanto selettiva-razziale, e a maggiori tagli ai fondi per la sicurezza sociale. Dopo un quarto di secolo di questa terapia, gli Stati Uniti continuano ad essere la società estremamente violenta di prima (una violenza pesante al minuto sulle donne!) ed una società più che mai percorsa, perfino nel ceto medio abbiente, dall’insicurezza sociale (più del 40% dei salariati è privo di una qualsiasi tutela sanitaria in un paese in cui curarsi ha costi proibitivi). Un’insicurezza sociale che non è prodotta dai senza-casa che si accasciano di notte negli androni delle banche o sotto i ponti, bensì dai senza-cuore funzionari-personificazione del capitale di Wall Street e dintorni. Anche in Europa non vedremo risultati di altro segno, per quanto si voglia arrivare, come il paranoico Blair ha fatto, a recludere in carceri sperimentali per minorenni i ragazzini sotto i 14 anni.

 

4. E tuttavia negli Stati Uniti come qui da noi, gli spacciatori della droga chiamata “tolleranza zero” sanno di toccare con i loro “argomenti” un tasto a cui è sensibile una parte consistente degli “strati popolari”, per primi anziani e donne, che è assai più esposta delle classi abbienti alle conseguenze del degrado sociale urbano (e non solo urbano) per la maggiore contiguità fisica con esso e che non può certo ricorrere per la propria protezione personale alle legioni di guardie del corpo private. E quando promettono sicurezza, sanno di maneggiare un tema-chiave, non solo per i soggetti più esposti alla violenza fisica. La massa dei lavoratori salariati sente per davvero una crescente insicurezza, anche esistenziale, e la vive realmente (non si tratta affatto di autosuggestione). Questa insicurezza reale su grande scala non la portano in milioni e milioni di case i chicanos senza documenti o i rom provenienti dai Balcani (dove essi avevano trovato, peraltro, un decente “modus vivendi” prima della distruzione della Jugoslavia, prima che anche “noi”-Italia gli distruggessimo la Jugoslavia). La porta l’attuale tornata della mondializzazione del capitale con la precarizzazione strutturale delle condizioni di lavoro, i suoi labili contratti a termine, la concorrenza tirata allo spasimo di tutti contro tutti, che fanno cadere l’una dopo l’altra ogni certezza e garanzia del domani.

Su questa crescita generalizzata dell’insicurezza si innesta un’astuta informazione-disinformazione tendente a dirottare verso e contro altri proletari più sventurati e ‘degradati’, o verso la micro-illegalità o la micro-criminalità, preferibilmente di altra nazionalità, la rabbia per una condizione che il passare degli anni sta rendendo sempre meno provvisoria e più dura da sopportare. La fonte di  rischio che pesa per lo 0,1% è gonfiata fino a far temere una epidemia di micro-delitti per mano della gente dei ghetti: tutti debbono sentirsi potenziali Giovanne Reggiani, poiché tutti gli immigrati e i senza niente “sono” dei potenziali Nicolae Mailat o dei potenziali rapinatori. Mentre invece la fonte di rischio che pesa sulle nostre vite per il 99% – che ci rapina quotidianamente e sistematicamente con l’inflazione dei prezzi, i salari più bassi di Europa, i mutui bancari che lievitano all’infinito, i canoni usurari pagati ai detentori di monopoli, che ci tiene nell’insicurezza permanente con i contratti a termine e i licenziamenti facili, che ci rovina l’esistenza con l’epidemia dei morti sul lavoro o le malattie e le morti da inquinamento, la diffusione della droga e della prostituzione, e quant’altro: il capitalismo reale, il suo stato, il suo governo- è completamente occultata, anzi è presentata come la fonte della sicurezza. E’ il mondo alla rovescia. E’ l’infame, collaudatissima pratica del capro espiatorio che viene da fuori, o che si è messo volontariamente fuori dalle “regole del vivere civile”, accusato dai poteri costituiti di ciò di cui è esso stesso vittima.  

 

5. La matrice di questa operazione ideologica, politica, culturale, psicologica è chiaramente una matrice di destra. E l’insistenza con cui si va a colpire i rom e gli immigrati non può non evocare sinistri paralleli con la propaganda nazista.

Vi è tuttavia un crescente, e sempre meno condizionato, allineamento ad essa della “sinistra”. Han cominciato i sindaci dell’Unione con il pretendere maggiori poteri di polizia e l’attivare sgomberi in serie (con in prima fila quel Cofferati che appena cinque anni fa era considerato, ahinoi!, l’anti-Berlusconi). Sindaci unionisti a cui il leghista Gentilini ha giustamente opposto: “Mi avete accusato di nazismo e di razzismo, ma ero avanti di decenni. Avevo ragione io, e adesso sono diventati tutti discepoli del vangelo secondo Gentilini” (la Padania, 30 agosto). Poi, dietro i “novelli sceriffini” di sinistra, si sono messi a marciare in divisa militare i capi del neonato partito democratico, gli intellettuali, i gazzettieri “progressisti”. Le misure prese dal governo Prodi di prevedere l’espulsione anche solo sulla base del sospetto di “pericolosità” e anche di cittadini “comunitari”, e di allargare i titolari dei poteri di espulsione, sono indicative. Ma altrettanto lo è l’insistita richiesta alla destra a votare insieme con il centro-sinistra, e indurire insieme, se necessario, le misure del governo. Fini chiede di espellere tutti coloro che “non hanno mezzi” di sostentamento, ossia la massa degli inoccupati temporanei, che ha contabilizzato in 200.000. Nessuno dal Partito democratico gli ha risposto seccamente “no”; qualcuno ha solo bofonchiato: vedi, caro Gianfranco, non lo consente la legislazione europea, perché altrimenti… (del resto i precedenti ci sono: non rimpatriammo nel ’91 migliaia di albanesi in un baleno?). E qualcun altro, vis a vis, gli ha detto: vedi, caro Gianfranco, dobbiamo stare attenti a non pregiudicare i nostri interessi in Romania, non puoi dimenticare che abbiamo laggiù migliaia e migliaia di fabbriche che ci fruttano una bella cifra di soldini…

A “sinistra”, si fa per dire, si è perfino innescata una corsa a chi è stato il progenitore dell’attuale “tolleranza zero”, con Rutelli che tuona: “Ricordi bene, la destra, che da sindaco ho chiuso il campo nomadi più grande di Europa oltre a una cinquantina di insediamenti abusivi, ridotto a 5.000 unità i rom autorizzati…” (la Repubblica, 3 novembre). Essendo “il leader”, Veltroni non vuole, non può essergli da meno, e rilancia: “Per me parlano i dati: in sei anni abbiamo sgombrato almeno 15mila persone, abbiamo chiuso 40 campi rom, abbiamo abbattuto centinaia di baracche. Da gennaio abbiamo spostato dal fiume oltre 5mila immigrati. Abbiamo chiuso gli insediamenti alla stazione Tiburtina e alla Snia Viscosa. Ma mentre noi toglievamo l’acqua con il secchio, nel frattempo crollava la diga” (la Repubblica, 4 novembre). O.k. leader, hai le carte in regola. Chi non le ha è, paradossalmente, la destra, accusata da costoro di non aver imposto la chiusura dei confini italiani ai “neo-comunitari”, ed in particolare ai romeni, gli “untori” del momento. Ovvero: la nazionalità che detiene il record dei proletari morti sul lavoro: 35 nel 2004, 29 nel 2005, 30 nel 2006, e “vanta” oltre 44.000 seri infortuni sul lavoro (dichiarati…) in quel triennio. La nazionalità che, parola di Pietro Vulpiani, componente dell’Unar, Ufficio anti-discriminazioni razziali della presidenza del Consiglio dei ministri, detiene il record delle discriminazioni subite sul posto di lavoro (comunicato del 5 novembre). Ma di tutto ciò è vietato fare parola, a “sinistra” come a destra, perché si capirebbe chi quotidianamente brutalizza chi, se sono i romeni “illegali” a brutalizzare ogni giorno gli italiani e le italiane comuni, oppure gli sfruttatori italiani a brutalizzare i lavoratori romeni! Un silenzio che conferma quanto si stiano facendo evanescenti i “punti distintivi” della sinistra, quanto si stiano avvicinando tra loro le due “alternative” .

 

6. La presa di distanze della “sinistra radicale” da tutta questa melma è, una volta ancora, soltanto di superficie.

L’ala degli amministratori del Prc (che è come dire: chi comanda realmente in esso, è la regola nei partiti riformisti) si è quasi all’unanimità allineata con il governo. I “non allineati” rilasciano fumose dichiarazioni da cui si comprende soltanto questo: tra un richiamo allo “stato di diritto” che deve essere salvaguardato e un altro alla sacra Costituzione (C maiuscola) che non deve essere violata, si preparano ad ingoiare anche questo boccone, convinti come sono che anche i recenti provvedimenti del governo Prodi non siano affetti né da xenofobia, né da razzismo. “Il governo non è razzista”, assicura Russo Spena; dunque, perché mai negargli il voto? Rompere con una sì bella compagnia, l’onesto Mastella, il no global Di Pietro, il disoccupato organizzato Padoa-Schioppa, il pacifista D’Alema (non è quello che bombardò Belgrado, non fate confusione), per quattro romeni di m…? Non sia mai! 

Il massimo di cui una tale “sinistra” si rende capace è un sentimentalismo extra-proletario a buon mercato, di cui è campionessa continentale la contessa Rossanda, che dal suo “esilio” dorato nella ville lumière, dislocato, immaginiamo, non esattamente in un palazzone da banlieue, dispensa inviti alla liberalità e alla “tolleranza”. Un sentimentalismo ed un democratismo del tutto vuoti e formali,  espressione dell’incapacità e della mancanza di volontà di andare alla radice delle questioni (altro che sinistra radicale!); e, tanto più dell’incapacità di indicare la sola possibile via di uscita da questa strettoia: la lotta comune sfruttati autoctoni-immigrati contro le politiche che producono degrado sociale ed umano, contro la grande criminalità, contro i poteri forti spacciatori della tolleranza zero, contro il capitalismo globalizzato. D’altronde, come potrebbe farlo, se è proprio all’interno di esso che anche una tale “sinistra” vuole ritagliarsi, si è ritagliata, il suo spazio di emendamenti alle leggi sempre meno emendabili del sistema economico e della politica borghese?

 

7. Da questa “sinistra” e, a maggior ragione, da quella del Partito democratico è stato accuratamente evitato un tema-chiave sollevato con splendida chiarezza da parte di alcuni anonimi funzionari di polizia romeni: “I funzionari della polizia romena ci dicono: i lupi feroci siete voi italiani. Voi oggi sbranate più di 30.000 ragazze romene. Siete voi che mantenete i criminali romeni che le tengono schiave. Sono i vostri maschi italiani che pagano i delinquenti romeni. Noi dobbiamo chiedere perdono alla signora massacrata. Ma voi dovreste stare in ginocchio tutto l’anno” (così don Benzi su L’Unità del 3 novembre). Il linguaggio non è certo il nostro, ma la sostanza è sacrosanta. C’è uno stupro etnico di massa che si consuma quotidianamente sulle strade, nei locali millelire, nei finti night, nel chiuso delle case private, da parte di “maschi” italiani su giovani e giovanissime donne romene condannate dal mercato, dalla putrefazione dei “nostri” civilissimi costumi e dalla malavita romena a una precoce, e atroce, morte sociale. Contro questo traffico, questa abominevole violenza sessista e colonialista, a parte la testimonianza di un prete morente, non abbiamo sentito nulla di nulla proprio nei giorni in cui si metteva in scena lo spettacolo in cui “il” romeno, “il” rom, l’“immigrato” in quanto tale veniva bollato con il sospetto di essere un avido violentatore delle “nostre donne”. Proprio nei giorni in cui si è fatto tanto rumore perché nasceva, con il Pd, il primo partito deciso a dare grande spazio alle donne: sì, le donne di quale “razza”? di quale classe? e per quale politica? Alle giovani romene quotidianamente violentate sul nostro territorio le donne in carriera del Pd non avranno da offrire, potete scommetterci, null’altro che qualche manciata di preservativi gratuiti… per tutelare meglio la loro “salute” di donne in vendita e, soprattutto, la salute dei “nostri” maschi. La “preferenza nazionale” anzitutto e prima di tutto!

 

8. Altrettanto niente, assolutamente niente, poi, sulla lotta alla grande criminalità, se non parole di assuefazione a “convivere” con essa, come ebbe a dire francamente, bacchettato da tutti gli ipocriti, il berlusconiano ministro dei lavori pubblici Lunardi. A pronunciarle è stato uno dei predestinati a guidare la “Cosa rossa”, N. Vendola: “i grandi poteri criminali non sono certo al primo posto nella consapevolezza della politica” (il manifesto, 2 novembre), e amen. E non è un’omissione da poco. Perché proprio la grande criminalità organizzata ha un ruolo di primo piano nella grandissima parte dei fenomeni di micro-criminalità che producono insicurezza e degrado: vedi il fenomeno delle rapine, opera sempre più di tossicodipendenti alla urgente ricerca di liquidi, per non parlare poi della diffusione della droga, “impressionante” a detta dello stesso Amato, spacciata ormai non solo nei giardinetti e nei luoghi periferici abbandonati, ma anche nei bar e nei ristoranti dei centro-città, della prostituzione di strada, del traffico di immigrati “irregolari”, dell’usura illegale (a quella legale ci pensano le banche), del pizzo sul commercio al dettaglio, del doping sportivo e delle palestre, dei furti di auto, etc. Sì, è vero, hanno appena arrestato quattro esponenti di spicco della mafia siciliana dopo l’inezia di 12-25 anni di latitanza, ma nulla cambia di essenziale, se è vero che la Repubblica di oggi, 6 novembre, è già in grado di fornire la radiografia dei “nuovi mafiosi emergenti”, degli otto mandamenti, delle 27 “famiglie”, dei 5.700 affiliati. Si sa tutto di essa come, in genere, della grande criminalità organizzata, ma dio solo sa (e forse anche noi – vedi le nostre dodici tesi su “Capitalismo e criminalità oggi”) perché non si fa nulla di serio contro di essa, anzi non la si nomini nemmeno, scotta!, quando ci si riempie la bocca di portare sicurezza nella società. Anche la sinistra, che un dì faceva della lotta alla mafia, di una certa lotta legalitaria e statalista alla mafia, uno dei suoi cavalli di battaglia, è sempre più afona a riguardo. Il perché è sempre lo stesso: la criminalità organizzata è parte integrante e tutt’altro che secondaria del capitalismo nazionale (il fatturato della sola ‘ndrangheta è, secondo l’Eurispes, pari al 3,4% dell’intero fatturato italiano, nemmeno la Fiat vale tanto) e internazionale. Ove, per una assurdissima ipotesi, lo stato italiano decidesse di colpire seriamente le organizzazioni criminali, ci sarebbe immediatamente un tracollo rovinoso del sistema bancario e della borsa, oltre che dello stato, il 25% dei cui bot sono nelle mani della malavita. Dunque, acqua in bocca, e tutti i riflettori puntati sui Nicolae Mailat, poiché è da loro, solo da loro, che “ci” viene la minaccia mortale. 

 

9. Ovviamente la destra ha cavalcato, soprattutto con Fini e la Lega (Berlusconi, al momento, se la spassava al Bagaglino), questa canagliesca campagna di ordine e “tolleranza zero”. E’ a suo agio su tale terreno, salvo però ritrarsi per il momento, per il suo doppiopettismo e l’indecisionismo del suo capo, dalle conseguenze estreme più ovvie di essa: l’attacco fisico, i pogrom contro i rom e gli immigrati, in cui pure si sono segnalate da tempo alcune propaggini della destra ufficiale al Nord. I vecchi tromboni di Forza Italia alla Cicchitto hanno avuto buon gioco a spiazzare la Brambilla, che fiutando i fetidi umori della propria categoria sociale, era invece incline a qualche forma di mobilitazione di piazza, costringendola a fare marcia indietro: è lo stato che deve portare l’ordine! Egualmente, però, si sono avuti i primi pogrom “spontanei” ed “extra-statuali”, al Nord come al Sud, in parallelo con quelli istituzionali degli enti locali (a Salerno è stato guidato dal sindaco ex-diessino in persona). E non v’è dubbio che altri, di più pesanti, ne seguiranno, poiché è un clima da pogrom quello che via via si sta creando. Coinvolgendo magari in prima persona, questo il terribile paradosso, elementi popolari e finanche marginali, ai quali, nell’assenza di un’iniziativa di classe su questo terreno, formazioni come Forza Nuova offrono uno sbocco di mobilitazione suicida. Suicida perché si dà come bersaglio da colpire altri proletari (erano operai i tre romeni feriti a Tor Bella Monaca) o figli di proletari (come il ragazzo marocchino aggredito davanti all’istituto Einaudi a Roma) con l’effetto di intimidire i lavoratori immigrati spingendoli ad accettare in silenzio i ricatti e il super-sfruttamento che subiscono nei posti di lavoro e fornendo con ciò ai padroni una più efficace arma (involontaria) di ricatto contro gli stessi lavoratori, giovani e meno giovani, italiani.

Quanta ipocrisia nelle condanne di queste aggressioni da parte di D’Alema, Veltroni e Amato! Hanno parlato di “giustizieri armati dalla destra” e di “bestia xenofoba” aizzata dalla destra, per rivendicare al governo il tentativo di contenere gli uni e l’altra, fatto come?, appunto con il suo pugno di ferro. Ma cosa hanno fatto il governo e la “sinistra” se non partecipare a preparare le pre-condizioni per l’entrata in scena dello squadrismo razzista? Beh certo, per vedere nel decreto varato dal governo e nella campagna di stampa orchestrata dai mezzi d’informazione progressisti i sinistri mandanti dell’aggressione di Tor Bella Monaca ci vuole tutta la nostra fantasia…

 

10. Di fronte a questa accelerazione dell’offensiva razzista, la massa dei lavoratori immigrati spera di potersi difendere rimanendo in silenzio. O di non entrare nel mirino se è di nazionalità diversa da quella rumena o rom. O, anche, di trovare un qualche riparo nella dimostrazione di fedeltà alla nazione “di accoglienza”.

Sono incoraggiati in questi comportamenti dallo stesso governo Prodi che, come è avvenuto in passato con il governo di centro-destra, cerca di gerarchizzare il mondo dei lavoratori immigrati, sul piano sociale, delle condizioni giuridiche e delle posizioni politiche, innalzando così altri muri separatori, altri ostacoli sull’unica strada che può consentire ai lavoratori immigrati di auto-tutelarsi: quella della denuncia di questo corso della politica migratoria e della sicurezza, rivolta alla massa dei lavoratori italiani; della continuazione del percorso di lotta e di auto-organizzazione iniziato da anni per conquistare il diritto al permesso di soggiorno senza condizioni; quella dell’organizzazione attorno al proprio nucleo proletario, mettendo in primo piano gli interessi comuni da difendere al di là delle appartenenze nazionali e religiose.

Non è un caso che il razzismo di stato e la campagna xenofoba abbiano conosciuto un salto proprio a fine ottobre, appena dopo le due riuscite manifestazioni dei lavoratori immigrati svoltesi a Brescia e a Roma il 27 e il 28 ottobre e la “proposta”, discussa in queste giornate, di organizzare uno sciopero generale dei lavoratori immigrati in Italia sull’esempio dei lavoratori immigrati negli Usa. Proprio la “tolleranza zero” verso i “trasgressori della legge” serve al governo per promettere ai lavoratori immigrati: se vi accontenterete delle condizioni offerte dalla nazione di “accoglienza”, se ci aiuterete a isolare i “clandestini” o i lavoratori immigrati mobilitati in la difesa delle proprie condizioni, l’Italia, le imprese italiane, le istituzioni italiane vi saranno riconoscenti…

In realtà, l’esperienza italiana degli ultimi vent’anni e quella degli altri paesi occidentali in cui l’immigrazione ha una tradizione più lunga, mostrano che il super-sfruttamento e l’oppressione razzista possono essere contenuti e contrastati solo ed esclusivamente grazie alla lotta collettiva, alla trasformazione del ruolo centrale svolto nel mondo produttivo in peso politico con l’auto-organizzazione, con la mobilitazione fianco a fianco con i proletari autoctoni e il sostegno delle lotte antimperialiste nel Sud e nell’Est del mondo.

 

11. Le minuscole forze della nostra organizzazione sono mobilitate per sostenere e favorire la continuazione, l’allargamento e la radicalizzazione dell’iniziativa di lotta dei lavoratori immigrati. E per chiamare in campo i lavoratori italiani, mostrando quanto sia vitale per i loro stessi interessi reagire alla politica razzista del governo e della “tolleranza zero”, perché questa politica non è altra cosa dall’attacco che il governo, la destra e la “sinistra, le imprese e le istituzioni finanziarie stanno portando avanti sul fronte delle pensioni, della precarietà, dello sfibramento del contratto nazionale di lavoro, ecc.

Nessuna interruzione, quindi, della fragile ripresa di mobilitazione avvenuta nel corso dell’autunno. Al contrario, prendiamo atto che anche il decreto di urgenza sulle espulsioni conferma la natura anti-proletaria di questo esecutivo, che va trattato non come governo “amico” o “da raddrizzare”, ma come un governo nemico al servizio della classe sfruttatrice che ci torchia ogni giorno sul posto di lavoro. Respingiamo il tentativo di deviare il malcontento e la rabbia dei lavoratori italiani contro i fratelli di classe immigrati. Diamoci da fare, invece, per stabilire un’unità d’azione tra le iniziative, ancora in gran parte separate, dei lavoratori immigrati e dei lavoratori italiani, tra quelle del 20 ottobre e del 9 novembre e quelle del 27 e 28 ottobre. Impegniamoci direttamente a stabilire i collegamenti, gli incontri, gli organismi capaci di far andare in porto la risposta di lotta comune di cui c’è urgente bisogno.

La via d’uscita alla situazione di degrado che si sta creando nelle periferie urbane e alla concorrenza al ribasso tra i lavoratori italiani e i lavoratori immigrati, c’è, eccome se c’è! Sta nella convergenza degli uni e degli altri nella lotta per la piena equiparazione dei lavoratori immigrati con i lavoratori italiani. Per il permesso di soggiorno senza condizioni. Il che richiede che ci si organizzi e ci si batta insieme contro le politiche che stanno cercando di mettere sotto schiaffo, pur in modo differente, gli uni e gli altri. Che ci si organizzi e ci si batta contro le sacre leggi del mercato da cui tali politiche provengono e contro la “razza” padrona capitalistica che le mette in opera. Che ci si organizzi e ci si batta contro l’impoverimento e la torchiatura che tali politiche riservano ai paesi dell’Est e del Sud del mondo, ai loro sfruttati. Che ci si rimbocchi le maniche per stabilire dei collegamenti tra le mobilitazioni dei lavoratori in Italia e il percorso di riorganizzazione sindacale in corso in Romania, negli altri paesi dell’Est e negli altri paesi del Sud del mondo.

Tali lotte, di cui è uno splendido esempio quella dei lavoratori tessili egiziani, mostrano che dai paesi dell’Est e del Sud del mondo non arriva solo la concorrenza al ribasso di centinaia di milioni di sfruttati. Arriva anche una forza di lotta potenzialmente strepitosa, che intende opporsi a questa concorrenza, che respinge il ricatto “o questa minestra, o lo spostamento dell’investimento in un altro paese o in un’altra regione”, che si batte per un livellamento verso l’alto dei diritti e delle condizioni salariali esistenti nel mercato globale. Non è certo un caso se gli organi ufficiali di informazione si guardano bene dal darne notizia: i lavoratori del Sud e dell’Est del mondo devono apparire solo come emarginati, sfruttati sottomessi, straccioni, mai come lottatori! Ed è invece vitale che facciamo conoscere tali lotte, le sosteniamo, ci sforziamo di entrare in rapporto con esse.

Non serve a niente (anzi, è del tutto controproducente) unirci al coro: rispediamo a casa gli immigrati, sono troppi! Non serve perché il movimento migratorio è continuamente alimentato dalla rapina imperialista del Sud e dell’Est del mondo, dal bisogno spasmodico delle imprese in Italia e in Occidente di disporre di un esercito industriale di riserva super-ricattato per abbassare il valore della forza-lavoro di tutti i proletari, inclusi, anzi per primi, i più “garantiti”. I lavoratori immigrati vengono in massa a “casa nostra”, dalla Romania, dalla Jugoslavia, dall’Albania, dall’Egitto, dal Marocco, dal Pakistan, dal Perù, e ora sempre più anche dall’Iraq, dal Kurdistan, dalla Palestina, perché l’Italia, gli stati occidentali, le “nostre” banche, le “nostre” imprese, i nostri eserciti (non dimentichiamolo!) stanno distruggendo la possibilità per loro di vivere nella loro “casa” rumena, jugoslava, albanese, irachena, etc. Vengono a “casa nostra” perché i nostri poteri forti gli hanno demolito, o occupato, la “loro”.

Questa situazione si può superare solo andando avanti. Solo buttando giù i tramezzi che qui in Italia e in Occidente la concorrenza sul mercato del lavoro, le politiche statuali e le campagne razziste hanno eretto tra i lavoratori delle diverse nazionalità, solo organizzandoci contro la fonte di tutte le insicurezze e le brutture che ci appestano: il sistema capitalistico mondializzato, per dar vita, sulle sue ceneri, ad un altro sistema sociale altrettanto mondializzato, fondato però non sulla proprietà privata, la divisione in classi, lo sfruttamento del lavoro, i rapporti sociali alienati, l’antagonismo tra le nazioni, bensì sulla cooperazione solidale tra i lavoratori di ogni nazione e razza finalizzata alla piena soddisfazione dei bisogni umani. Un altro sistema sociale che, sfidando lo spirito dei tempi, noi continuiamo a chiamare con il suo nome proprio: comunismo.

Se ci incammineremo su questa strada di lotta, troveremo anche la forza, noi proletari italiani e proletari immigrati, per far “pulizia” dei costumi degradati presenti, e non marginalmente, tra i lavoratori italiani. Troveremo anche la forza per affrontare il degrado sociale legato anche a quella piccola fetta di immigrati divenuti la manovalanza dei veri gangster che controllano le attività criminali: i grandi boss mafiosi, i loro alleati politici e istituzionali, i loro amici nei consigli di amministrazione delle banche e nelle piazze finanziarie off-shore… L’organizzazione di classe è l’unico mezzo per strappare questa fetta di immigrati dalle grinfie degli avvoltoi.

Riproponiamo con ciò il “vecchio” di cui la storia ha mostrato il fallimento? No, ciò di cui la storia ha mostrato il fallimento è la possibilità di avere il valore di scambio, il profitto, la competizione, il mercato, l’azienda, e, insieme a ciò, la dignità dei lavoratori, la sicurezza sociale, un’esistenza senza violenza, senza razzismo, senza sopraffazione sessista, la fraternità tra i popoli…

6 novembre 2007

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista